Il Masp di Bo Bardi è diventato lo scenario di una catastrofe ambientale

L’artista brasiliana Clarissa Tossin trasforma il museo di San Paolo, progettato dalla grande architetta, in uno scenario post-apocalittico costruito con i resti di un’alluvione.

Il Masp – Museu de Arte de São Paulo Assis Chateaubriand presenta “Clarissa Tossin: Point of No Return”, una mostra-installazione che trasforma gli spazi del museo in uno scenario di catastrofe ambientale. Curata da Adriano Pedrosa e Guilherme Giufrida, la mostra raccoglie oltre quaranta opere realizzate negli ultimi vent’anni dalla artista brasiliana, nella sua prima personale in un museo del Paese.

Il percorso espositivo si configura come un’esperienza immersiva, una sorta di museo post-apocalittico costruito con ciò che rimane dopo l’alluvione. “È come se il museo fosse stato sommerso e stessimo esponendo ciò che è sopravvissuto”, spiega Giufrida. Le opere di Tossin intrecciano la riflessione sulle conseguenze del collasso ecologico con i segni materiali lasciati da disastri naturali recenti.

Clarissa Tossin, Point of No Return, Museu de Arte de São Paulo Assis Chateaubriand, 2025. Photo Eduardo Ortega

Tra i lavori inediti spicca Dead Pool (2025), commissionato dal Masp e realizzato con pigmenti ottenuti dal suolo di tre aree del Rio Grande do Sul colpite dalle inondazioni del 2024. L’intervento ricostruisce sulle pareti del museo le linee di fango che avevano segnato gli edifici sommersi, richiamando anche le tragedie minerarie di Mariana e Brumadinho. L’uso del materiale come testimonianza diretta dei disastri ambientali diventa un archivio fisico della perdita.

È come se il museo fosse stato sommerso e stessimo esponendo ciò che è sopravvissuto.

Guilherme Giufrida

Altre opere rievocano distruzione e memoria. You Gotta Make Your Own Worlds (2019), ad esempio, è presente solo attraverso una didascalia e una traccia muraria: l’opera originale è andata distrutta negli incendi che hanno devastato la California all’inizio del 2024. Il titolo, tratto da Parable of the Sower di Octavia Butler, evoca il gesto di ricostruire mondi in un contesto di collasso climatico e politico.

Clarissa Tossin, O Pior ano. Courtesy Clarissa Tossin. Photo Brica Wilcox

In Death by Heat Wave (Acer pseudoplatanus, Mulhouse Forest) (2021), tronchi e rami di un albero morto durante un’ondata di calore in Francia sono disseminati sul pavimento tra altre opere. Come afferma Giufrida, le installazioni di Tossin appaiono “come resti non morti di paesaggi post-umani”, frammenti che suggeriscono una futura archeologia dei fossili del presente.

L’artista estende inoltre la riflessione al rapporto tra cartografia e colonialismo, accostando mappe storiche e immagini satellitari della ricerca di risorse su altri pianeti. Le confezioni di Amazon, ricorrenti nelle sue opere, aggiungono un ulteriore livello di lettura sul consumo di massa e sulle nuove forme di colonizzazione economica e digitale.

Clarissa Tossin, Point of No Return, Museu de Arte de São Paulo Assis Chateaubriand, 2025. Photo Eduardo Ortega

Attraverso scultura, tessitura, video e performance, Tossin intreccia critica geopolitica, finzione speculativa e pratiche artigianali per interrogare le narrazioni di memoria, consumo e crisi ambientale. “Point of No Return” si inserisce nel programma annuale del Masp dedicato alle Histories of Ecology, accanto alle mostre di Claude Monet, Frans Krajcberg, Abel Rodríguez, Hulda Guzmán, Minerva Cuevas e del collettivo Mulheres Atingidas por Barragens. 

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