5 cose da sapere su Bill Viola, ora in mostra a Milano

Tra slow motion e alterazioni acustiche, per Bill Viola la manipolazione del video permette di vedere la realtà invisibile. La mostra al Palazzo Reale ripercorre la sperimentazione dell'artista nel tempo.

“Sono sempre stato interessato a vedere l’invisibile, senza ricorrere a effetti speciali. Ed è stata questa tensione che mi ha portato oltre il mondo dell’elettronica, verso l’acqua con le sue trasformazioni e proprietà riflettenti, verso la slow motion.”

Bill Viola, in conversazione con Hans Belting nel 2003 (traduzione italiana di V. Valentini) in occasione della mostra The Passions al Getty Museum di Los Angeles, riassume non solo il punto di arrivo della sua ricerca in quel momento, ma anche l’esperienza di oltre quarant’anni di carriera.

BILL VIOLA, l’esposizione da poco inaugurata a Milano nelle sale di Palazzo Reale e curata da Kira Perov, ripercorre l’attività dell’artista americano a partire dagli anni Novanta con quindici opere, che mostrano concretamente quella tensione che l’artista indica come impulso fondamentale per la sua poetica.

Sono sempre stato interessato a vedere l’invisibile, senza ricorrere a effetti speciali. Ed è stata questa tensione che mi ha portato oltre il mondo dell’elettronica, verso l’acqua con le sue trasformazioni e proprietà riflettenti, verso la slow motion.

Tra i massimi esponenti della video art americana, Bill Viola (New York, 1951) esplora le possibilità del video dagli anni Settanta, come nuovo mezzo per indagare l’uomo e la sua relazione con l’esterno, partendo dall’osservazione del mondo reale e sperimentando con tecniche di registrazione e montaggio. 

Bill Viola, The Veiling, 1995. Video/sound installation. Two channels of color video projections from opposite sides of a large dark gallery through nine large scrims suspended from ceiling; two channels of amplified mono sound, four speakers. Scrim size: 2.4 x 3.3 m each. 30:00 minutes. Performers: Lora Stone, Gary Murphy. Photo: Kira Perov © Bill Viola Studio

Considerando il potenziale espressivo amplificato del video rispetto ai media tradizionali, il suo lavoro attraversa i grandi temi del nostro tempo. L’approccio di Viola riflette su come i meccanismi della tecnologia imitino il funzionamento di ciò che costituisce l’interiorità umana, come la natura elettrica degli impulsi del cervello. In questo l’artista vede una possibilità di esplorazione degli stati interiori dell’uomo, creando un collegamento tra visibile e invisibile.

Dagli anni Novanta questa ricerca sfocia in una nuova composizione dell’immagine, come scena quasi cinematografica con chiare ispirazioni storico artistiche, e negli anni Duemila prosegue con uno sviluppo nella dimensione performativa.

Ecco cinque approfondimenti utili sulla sua vita e della sua poetica, per comprendere a fondo le opere di Bill Viola.

Il contesto della Video Art negli anni Sessanta

A partire dagli anni Sessanta, l’immagine in movimento diventa il fulcro della ricerca di alcuni artisti pionieri della Video Art, come Nam June Paik, Peter Campus e Bruce Nauman. Bill Viola si forma mentre le esplorazioni di questo nuovo medium sono in corso da diverso tempo, e all’inizio della sua attività ha già assorbito le pratiche di sperimentazione tecnologica del e sul video in quanto tale. L’artista considera da subito il video come uno dei mezzi a disposizione dell’arte contemporanea, attraverso cui approfondire la conoscenza della realtà.

Il rapporto tra suono e video nella formazione di Bill Viola

Bill Viola nel 1973 si diploma alla Syracuse University, e subito dopo inizia a lavorare con David Tudor. Molte delle sue prime esperienze con il video derivano da esperimenti sonori, e il suono resta a tutti gli effetti un elemento fondamentale nel suo lavoro. All’artista interessa la capacità di un microfono e di una videocamera di registrare la continuità di una porzione di tempo. Nel 1976, in occasione del suo trasferimento a Firenze per lavorare al progetto Art/Tapes/22 gestito da Maria Gloria Bicocchi, incontra Nam June Paik e molti altri artisti che lo influenzeranno, come Vito Acconci.

Bill Viola e l’Italia

Nelle opere degli anni Novanta e Duemila, è molto forte il legame con l’arte italiana medievale e rinascimentale, che l’artista aveva studiato a fondo nei suoi anni a Firenze. In particolare, opere di arte sacra diventano fonte d’ispirazione per una nuova modalità compositiva dell’immagine, più patetica, cinematografica e diretta a una dimensione performativa. Esempi di questo cambio di direzione sono, tra le altre opere in mostra, The Greeting (1995), ispirata alla Visitazione del Pontormo (1528), ed Emergence (2002), ispirata al Cristo in pietà di Masolino da Panicale (1424).

Il legame tra Oriente e Occidente

Spiritualità, vita e morte, sacralizzazione del quotidiano, la natura, nell’opera di Viola sono temi ricorrenti, che fanno riferimento al suo avvicinamento alle filosofie orientali, grazie ai suoi numerosi viaggi nel continente asiatico. L’artista crea un rapporto di scambio e unione tra Oriente e Occidente, ponendo in evidenza anche simbologie comuni, come quella dell’acqua, uno degli elementi fondamentali della sua poetica per le sue implicazioni materiali e simboliche, di purificazione, rinascita, rigenerazione.

La temporalità espansa

La scelta dell’artista di estendere in maniera estrema il tempo dell’azione, conferisce a quest’ultima una statura ritualistica. La tecnica dello slow motion, permette di accedere dal visibile all’invisibile: la lentezza del movimento invita lo spettatore a fissare attentamente l’immagine per coglierne l’evoluzione, inducendo contemporaneamente uno stato contemplativo e di immedesimazione. 

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