Gli hotel vuoti di Benidorm come metafora del periodo della pandemia

Il progetto fotografico di Manuel Álvarez-Diestro suggerisce che dietro alle anonime e ripetitive facciate di una Benidorm insolitamente priva di turisti si nasconda la storia di questi tempi inclementi.

La seconda ondata del Coronavirus sembra essere ormai sotto controllo, ma con l’avvicinarsi del Natale le politiche interne dei Paesi del mondo più colpiti dovranno prevedere misure più restrittive di quel che molti d noi vorremmo. Per evitare una terza ondata in primavera, bisogna infatti arginare quell’ “effetto Ferragosto” che, complice la speranza di esserci lasciati il virus alle spalle, ha condizionato la nostra vita questo autunno, e dai cui effetti stiamo solo ora cominciando faticosamente a riprenderci.

Il settore più colpito sarà decisamente il turismo, che puntava proprio alle vacanze invernali per rientrare delle gravi perdite comunque accumulate quest’estate. E i luoghi che più soffriranno sono quelli che sul turismo puntano il 100% di investimenti e aspettative.

Tra questi non fa eccezione Benidorm, tra le principali mete vacanziere in Spagna. Soprannominata “la New York del Mediterraneo”, è la prima città del mondo per il rapporto tra grattacieli e abitanti (sì, superando la stessa New York, che però è avanti di un posto se si prende come riferimento il metro quadro), e la terza in Spagna, dopo Madrid e Barcellona, per numero di camere d’albergo. Va da sé che molti dei suoi grattacieli ospitano degli alberghi e che, in mancanza di turisti, questi enormi e altrimenti anonimi edifici diventano elementi tra i più surreali — o metafisici, verrebbe da dire— del paesaggio terrestre.

Se n’è accorto il fotografo Manuel Álvarez-Diestro, che dei luoghi desolati e a loro modo inquietanti è del resto un habitué: che siano le new towns iraniane, le megalopoli cinesi o le nuove capitali nel deserto egiziano, Álvarez-Diestro, sembra da sempre avere un occhio di riguardo per quelle aree del pianeta dove l’ambizione umana sposa una modernissima ossessione per il cemento, e dove gusto e autorialità vengono fagocitati dall’arrivismo consumistico e dal conseguente consumo di suolo.

Manuel Álvarez-Diestro, dalla serie Benidorm Empty Hotels, 2020
Manuel Álvarez-Diestro, dalla serie Benidorm Empty Hotels, 2020

Come nella miglior fotografia d’architettura, che non è quella che ricrea una visuale ideale perfettamente ortogonale o ricerca la visione idealizzata di un olimpico progettista, le facciate degli alberghi vuoti di Benidorm raccontano fondamentalmente una storia.

Prima di tutto quella di una città in cui non c’è traccia della fervente attività che, pur nei limiti imposti dal Covid–19, caratterizza invece la metropoli a cui viene accostata. E poi quella di un turismo che, nell’accezione meno civile dell’aggettivo, si dimostra davvero democratico. E, senza bisogno di scomodare Wittgenstein, che facendolo nella forma lo fa essenzialmente nella sostanza: facciate tutte simili l’una all’altra, dove le finestre si ripetono come numeri, ma sempre gli stessi, in un casellario o in un formulario; forme geometriche ridotte all’osso, prive di particolarità o personalità, anonime come gli ospiti delle camere che nascondono. Una matrice, ripetuta all’infinito, o almeno fin quando e dove è possibile.

E se le facciate degli hotel di Benidorm sembrano implicitamente dire che, a patto che paghiamo, per il turismo siamo davvero tutti uguali, le fotografie di Álvarez-Diestro, dicono con sottigliezza persino di più: che, a prescindere dal settore economico o dal privilegio sociale colpito, anche il virus non fa distinzioni, che anche il virus è democratico, che anche per il virus siamo tutti uguali. Che si scelga la pillola blu del negazionismo e dell’indifferenza o quella rossa della consapevolezza e della solidarietà, la sua matrice è sotto gli occhi di tutti.

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