Black lives matter, anche nell’arte

Alla luce dell’attualità ripercorreriamo una pagina della storia dell’arte europea troppo spesso dimenticata.

C’è una pittura trascurata, non diciamo dimenticata, ma mai resa famosa, forse, o forse anche a distanza di secoli, non si riesce a farla entrare nel nostro quotidiano attraverso i suoi soggetti. L’attualità lo conferma, gli scontri in America per via delle proteste contro la morte dell’afroamericano Floyd riportano alla luce la questione mai sopita. Gli orientamenti artistici tendono ad uniformarsi secondo linee di tendenza, e spesso, le scelte nuove degli artisti sono sostenute con passione polemica, osservate con rispetto, o altre volte con feroce irrisione o con solidale disdegno .

Figure dalla pelle scura iniziano ad entrare nella pittura subito dopo la scoperta dell’America, i pittori del rinascimento avevano spesso l’abitudine d’inserire schiave o schiavi nei loro dipinti per alludere alla fase alchemica della nigredo, ma è subito dopo la rivoluzione francese, con il primo mandato che abolisce di fatto la schiavitù, poi ristabilita da Napoleone, che donne e uomini dalla pelle scura arrivano con il loro fascino a diventare protagonisti delle tele degli artisti, sopratutto francesi.

Marie-Guillaumine Benoist, Ritratto di Madeleine, 1800

Marie-Guillaumine Benoist, agli inizi dell’800, dipinge il Ritratto di Madeleine, una stupenda Fornarina raffaellesca dalla pelle nera. I tessuti bianchi, a contrasto con la pelle che le avvolgono il capo e nascondono appena i seni, enfatizzano ed esaltano i tratti e il colore della donna. Alle sue spalle  un manto blu adagiato sulla poltrona che la ospita, come se fosse una madonna che ha abbandonato il proprio ruolo. Fu Nietzsche ad avanzare l’ipotesi che nell’antica Grecia si evitasse il blu perchè disumanizzava, più di qualsiasi altro colore, e il blu da sempre è attribuito alla Madonna, per non renderla terrena, per non descriverla come reale. Un colore forte e prezioso, il più illustre, un colore sopratutto costoso poiché ottenuto con un procedimento laborioso.

Uomini e donne dalla carnagione scura arrivano sulle tele degli artisti, tra le pagine dei libri, non dimentichiamo la figura di Jeanne Duval, amante di Charles Baudelaire. Difficile accettare le loro particolarità, i loro visi, i loro corpi, i loro abiti, Edouard Manet però si adegua, dipingendo la sua Olympia, reclinata come una dea, che alle spalle è accompagnata da una potente figura: la serva nera. Porge con reverenza i fiori alla prostituta, come protesta in una tipica ambientazione borghese, dove le “serve negre”, così denominate, erano dedicate alle prostitute, poiché le bianche si rifiutavano di accettare simili lavori per donne così poco raccomandabili.  

Ai piedi del letto, un gatto nero, tradizionale simbolo di lussuria e tradimento, contrariamente al solito cane, come nella Venere di Tiziano, simbolo di fedeltà. L’animale si spaventa per l’ingresso del cliente che la donna sembra stia guardando e scatta sulle zampe rizzando il pelo. Critiche inferocite gli piovvero addosso, un’ interpretazione in chiave moderna di un capolavoro rinascimentale. Tutto nell’esatto posto, ma quel tutto è il contrario di tutto. Lo scandalo.

Stendhal disse che la pittura non è che morale costruita.

Édouard Manet, Olympia, 1863

Queste idee e questa voglia di fascino esotico, da trasferire sulle tele, non verranno di certo abbandonate negli anni a venire. Felix Vallotton, circa 50 anni più avanti, ritrae Aicha, un simbolo dei primi del 900, che porta gli afro americani a trovare accoglienza, sopratutto a Parigi, tra le note del jazz. Si sforzò di dimenticare tutto quello che aveva visto e studiato nei musei e trasferì i consigli ricevuti dai dipinti del passato rivolgendosi alla cronaca della realtà contemporanea. L’artista così ottenne un’opera che rappresentava una bellezza personale, forte, diversa, con un diverso temperamento, con un bisogno imperioso di ricreare in quella donna uno spettacolo più vasto. I suoi colori più tipici restano: un verde brillante veste la donna, forse imbarazzata o titubante per la sua posa, ma fiera di quello che era e che in quegl’anni rappresentava. Tutto perfettamente bilanciato in una scala cromatica quasi assente, ma estremamente seducente e vibrante. Il verde ed il rosso costruiscono l’opera in una figura chiastica che bilancia ed avvolge e al centro irrompe la pelle setosa, più scura: il fascino, un reale quasi impalpabile, straniero.

Un’esperienza di osservazione reale, culturale, fondata su un’idea d’evoluzione e cambiamento, d’inclusione sociale che arriva da un lontano passato e che non in tutti trova terreno fertile. L’arte dovrebbe essere un modello preliminare  grazie al quale l’uomo può scoprire come ordinare, analizzare e, sopratutto, poter riflettere sul proprio ambiente. Essa detta le linee guida di una visione sociale ed esteticamente rivoluzionaria. Ma allora perché questi soggetti son stati abbandonati, dalla critica contemporanea, dalle mostre, dai libri e dal pubblico? Abbandonati e poco rispettati. Ancora oggi.

Immagine di apertura: Felix Vallotton, Aicha, 1922

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