Mademoiselle. 37 artiste, riunite nel nome della femminilità

Nel Sud della Francia, una mostra collettiva prova a esplorare i limiti del femminismo, con artiste come Gery Georgieva, Laure Prouvost, Rebecca Ackroyd e Zanele Muholi

 Mademoiselle, Veduta della mostra, CRAC OCCITANIE à Sète - Rebeca Ackroyd , NAVE!, 2018 Sculpture, Courtesy of Peres Projects and the artist & Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova, Haiku - Ask The Time, 2007-2009 Tubes neon, transformateurs, fils électriques/ Neon tubes, transformers, electric wire 42 x 227 cm Courtesy Christine Köning Galerie, Vienne - Photographie 26982 © Marc Domage

Al Centre Regional d’Art Contemporain Occitanie / Pyrénées-Méditerranée, situato a 13,4 km da Béziers, “Mademoiselle” si presenta come una mostra collettiva che riunisce assieme una generazione di sole artiste. Ma perché mai, ancora una volta, l’insistente rinascita del binomio Arte e Femminismo ambisce ad appassionare dialoghi sull’importanza della femminilità nel cosiddetto periodo post-femminista dell’universo contemporaneo? E come portarlo sul piano di una ricerca evolutiva? “Mademoiselle” prova a offrire un possibile spettro di risposte, non solo perché le donne di tutte le generazioni si trovano spesso in conflitto con le trasformazioni dei codici del femminismo. Ma anche perché l’arte contemporanea può provare a diventare il medium sensibilmente più appropriato per rappresentare il prisma complesso del femminismo, guardato attraverso le sfaccettature della storia, del senso, del significato, della capacità di aggregazione e dei fini.

Provando a selezionare una rosa di portavoce della recente e cosiddetta feminist art, la mostra ricognitiva dimostra il motivo per il quale il femminismo sia ben lontano dal trovare termini fissi. Mettendo da parte l’ossessione fuorviante per la semantica, radicata nelle teorie femministe, la parola che conferisce il titolo a “Mademoiselle” ambisce a includere nel proprio percorso molte e variegate fazioni ideologiche, programmi politici, identità e storie che sposino ogni singola definizione non fastidiosamente essenziale, riduzionista e allo stesso tempo vaga. “Mademoiselle”, riflettendo sulla diversità delle esperienze femminili e degli approcci alle loro singole identità, ci rivela, ancora una volta, come l’arte di genere possa risultare un campo estremamente aperto, con aspirazioni, attitudini, estetiche e obiettivi che possono comprendere tanto lo slancio pulsionale di Elsa Sahal e Nevine Mahmoud quanto le pre-visioni di Verena Dengler.

Nel museo, a partire dalla sala d’ingresso, che dispone, fra gli altri lavori, proprio quelli eroticamente carichi di passione di Elsa Sahal e Nevine Mahmoud – che rappresentano parti di corpi femminili frammentati e dunque feticizzati nello sguardo maschile –  fino alla sala dell’ultimo piano, lo sguardo è rivolto verso l’origine della stima cognitiva della donna, della sua figura ponderata dall’uomo in termini di oggetto del desiderio, proprio come raccontano i lavori di Lucia Tkacova, di Celia Hempton e Anetta Mona Chisa. La riflessione sul consumo di massa da parte di Sara Cwyner, sul sesso definito come soft, sul potere e l’obsolescenza, crea contrasti con l’installazione di Liv Wynter e la traccia della performance lasciata nella sala accanto, denunciando la vuota retorica e l’indifferenza che caratterizza i numerosi attacchi alle donne nella sfera domestica e privata. Il lavoro di Sanam Khatib, invece, introduce la capacità di dominio del potere femminile nelle figure dei dipinti che evocano gli arazzi medievali e che provano a riscrivere la storia dell’arte a partire da una prospettiva femminile; questo progetto è posizionato sulla sezione dell’ultimo piano che si affaccia quasi direttamente sull’area nella quale le sculture di Anna Uddenberg e Verena Dengler esaminano l’evoluzione della fede nel potere femminile e nei suoi simboli.

Anna Uddenberg, Sisterunit on Fly, 2017 Courtesy de l’artiste, Kraupa-Tuskany Zeidler, Berlin. Photograph © Gunter Lepkowski
Anna Uddenberg, Sisterunit on Fly, 2017 Courtesy de l’artiste, Kraupa-Tuskany Zeidler, Berlin. Photograph © Gunter Lepkowski

Al centro del femminismo rappresentato da “Mademoiselle” risiede tanto la grande forza ideologica quanto la pratica erronea di considerare l’idea che “quel che sia personale sia politico”. E, infatti, militanti femministe come Zanele Muholi, in questo percorso, dispensano le donne dal rifiutare o dall’accettare che il desiderio sessuale maschile possa essere regolamentato attraverso le nostre legislazioni, mostrando semplicemente gli effetti della repressione contro la libertà di parola e le cause della denuncia di irregolarità all’interno di relazioni strettamente personali. Mentre artiste emergenti come Romana Londi (sorella della curatrice di “Mademoiselle”) o Maria Thurn und Taxis, che potrebbero risultare scettiche nei confronti dell’etichetta “femminista”, probabilmente invalidano lo stereotipo di confusione esistenziale, psicologica e filosofica delle vite di quelle donne che sembrano abitare l’immaginario legittimo di uno suadente dominio maschile dell’arte.

Titolo della mostra:
Mademoiselle
Date di apertura:
21 luglio 2018 - 6 gennaio 2019
A cura di:
Tara Londi
Luogo:
Centre Regional d’Art Contemporain Occitanie / Pyrénées-Méditerranée
Indirizzo:
26, Quai Aspirant Herber 34200 SÈTE - France

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