Novantadue piani di vetro poggiati su cavalletti di legno cadenzano lo spazio espositivo per custodire e al contempo svelare al pubblico, attraverso 800 documenti residuali delle performance, l’eclettica ricerca dell’artista belga dal 1976 a oggi. Ricerca nel senso più letterale del termine; forsennata ricerca, studio, esplorazione sempre al confine tra le discipline, con le più svariate tecniche, materiali e linguaggi espressivi.
Al centro, troviamo costantemente se stesso: dal corpo alla mente, entrambi ispezionati, perlustrati e tormentati centimetro dopo centimetro. Lo si deduce dai video delle performance – dapprima esperimenti di body art, poi complessi spettacoli teatrali – ma lo si comprende dalla distesa di disegni, appunti, oggetti e thinking model che occupa lo spazio espositivo.
Il disegno è il grande protagonista della mostra: ci parla, come nient’altro, dell’artista, ed è anch’esso atto performativo. Disegnare per Fabre è un’azione che coinvolge strettamente il corpo, è un gesto ripetuto ossessivamente per esternare il proprio universo creativo. Fabre disegna con l’inchiostro ma anche con il sangue, lo sperma e l’urina; registra il suono del passaggio della penna sulla carta, lo ascolta come fosse il risultato di una partitura musicale.
Con la stessa veemenza scrive continue annotazioni, un modo per riflettere in maniera perpetua sul suo percorso, sui suoi obiettivi e le sue mancanze. Come il disegno anche la scrittura si propaga a mo’ di flusso di coscienza, le parole si rincorrono in maniera affannosa, mai paga.
Metamorfosi e trasformazione diventano concetti centrali desunti dal mondo della natura. Fabre colleziona e archivia insetti per studiarli e costruire fragili composizioni di piccoli corpi sezionati e tramutati in nuove creature. Una passione ereditata dal bisnonno, il famoso entomologo Jean-Henri Fabre.
L’attenzione rivolta alla scienza – spesso vista in relazione all’arte – è ben tradotta anche dall’asciutto e per questo efficace allestimento espositivo, ideato da Celant insieme all’artista. I piani di vetro alloggiano i disegni come tavole scientifiche, le teche per i modelli offrono al visitatore la possibilità di curiosare nelle riproduzioni in scala degli ambienti scenici, con l’approccio dello studioso che guarda al microscopio.
Al contrario delle esuberanti scenografie che spesso hanno ospitato gli spettacoli teatrali, la mostra ha un carattere tutto archivistico e qui sta la sua forza ed eccezionalità. Compaiono come apparizioni pochi elementi scenici, come i surreali costumi da insetto indossati da Fabre e Ilya Kabakov per il video girato su un grattacielo di New York, mentre discutono di filosofia e rapporti tra mondo dell’arte e degli insetti.
Da ricordare infine, tra i materiali esposti, una piccola, ma preziosa, teca dotata di lenti d’ingrandimento con la quale esaminare le miniature delle corazze indossate dall’artista fiammingo e da Marina Abramović per Virgin/Warrior, la performance rappresentata nel 2008 al Palais de Tokyo di Parigi.
Fino al 16 febbraio 2014
Jan Fabre. Stigmata. Actions & Performances 1976- 2013
a cura di Germano Celant
MAXXI
via Guido Reni 4A, Roma