Fault Lines

La nuova mostra “nomade” della Fondazione Trussardi ci conduce nel cuore di Brera, dentro lo storico Palazzo Cusani, per incontrare il lavoro site responsive degli artisti portoricani Allora & Calzadilla.

Nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele, una roulotte conficcata a terra, apre uno squarcio al centro di un passaggio, il più battuto dai turisti e da una certa classe di milanesi al lavoro, che assieme al Duomo e alla Madonnina rappresenta uno dei luoghi più iconici e simbolici di questa città.

Allora & Calzadilla, Stop, Repair, Prepare: Variations on ‘Ode to Joy’ for a Prepared Piano, 2008. © Allora & Calzadilla. Performance a Palazzo Cusani, Milano. Photo Marco De Scalzi

Siamo nel 2003 e ovviamente non si tratta di un incidente “fuori strada” ma di un’installazione di  Michael Elmgreen & Ingar Dragset. Una mostra che coincide con l’esordio dell’attività della Fondazione Trussardi sotto la direzione artistica di Massimiliano Gioni, che da un decennio scopre e s’introduce nei luoghi più ameni, insoliti e sconosciuti al pubblico della città, trasfigurandoli per pochi mesi grazie al lavoro di artisti contemporanei provenienti da tutto il mondo. Un nomadismo consapevole, che ha portato alla scoperta di segreti urbani, fiori all’occhiello di una città che gli stili architettonici li conserva tutti: gotico, barocco, liberty, eclettico e razionalista. Una quantità di metri cubi di architetture, portatori di forti contraddizioni, proprio a causa dell’utilizzo spesso inopportuno e di una poco accurata sensibilità che la governance cittadina destina all’arte contemporanea e allo sviluppo culturale (basti pensare al famoso dilemma della necessità di un museo dedicato all’arte contemporanea, come in qualsiasi città europea). 

Allora & Calzadilla, Wake Up (Rising), 2013. © Allora & Calzadilla. Performance a Palazzo Cusani, Milano. Photo Marco De Scalzi

Palazzi storici, magazzini industriali, cinema abbandonati, caserme militari, arena civica. Architetture temporanee o temporaneamente “liberate”, per usare un linguaggio comune a chi, durante questi ultimi due anni, ha avviato occupazioni mirate, di edifici della città abbandonati o inutilizzati, allo scopo di sottrarli all’inesistente gestione o di segnalare lo scandalo alla cittadinanza, che nove volte su dieci ne ignora l’esistenza. A farlo da tempo è una Fondazione, un ente di natura privata, sebbene con altri presupposti e obiettivi. Il fine è quello di mostrare al pubblico, animati di una forma mai vista, luoghi chiusi e impolverati, spazi riconvertiti a servizi privati e palazzi signorili non ancora ristrutturati. Ogni volta con la stessa regola che coinvolge artisti già famosi, in un processo di ripensamento della propria ricerca, per insediare un immaginario artistico dentro luoghi atipici o naturalmente “museali”.

Allora & Calzadilla, Petrified Petrol Pump, 2012. © Allora & Calzadilla. Allestimento a Palazzo Cusani, Milano. Photo Marco De Scalzi

Un processo che accoglie letteralmente la sostanza dell’azione site specific, per cui il luogo è l’ambiente dentro al quale prende forma l’espressività e il carattere del linguaggio. Diventa più che mai importante considerare in quest’ottica, l’ultima scelta di Fondazione Trussardi, che ci conduce nel cuore di Brera ad incontrare il lavoro di Allora & Calzadilla dentro lo storico Palazzo Cusani. Una residenza privata tuttora in attività, sede dell’Esercito Italiano e del Comando del Corpo di Reazione Rapida della Nato. Al suo interno sono ancora conservati gli stucchi e gli affreschi originali del tardo barocco, nonché la sala da ballo Radetzky, intitolata al generale austriaco che ispirò a Strauss l’omonima marcia composta per celebrare il ritorno a Milano dopo i moti rivoluzionari del 1848. La coppia di artisti, che vive in Portorico, ma si è conosciuta a Firenze oltre quindici anni fa, trova qui dentro un humus interessante con cui interagire, se pensiamo alla ricerca che accompagna gran parte della loro produzione. Un complesso ibrido di scultura, performance e sperimentazione musicale, risultato di indagini storiche, politiche e sociali, che con la guerra, il conflitto, e più recentemente le origini della musica e le sue implicazioni sull’evoluzione della specie, ha costruito la propria referenza tematica. Ne abbiamo parlato insieme, in una delle belle sale del Palazzo che li ospita. Riportiamo qui sotto, alcuni interessanti stralci della nostra lunga conversazione

Allora & Calzadilla, Raptor’s Rapture, 2012, allestimento a Palazzo Cusani, Milano. © Allora & Calzadilla. Photo Marco De Scalzi

Domus: Qual è la relazione fra site specific e displacement? Come intendete il concetto di site specific riferito a questo luogo, con la sua storia e la sua attuale destinazione? Guillermo Calzadilla: Credo che questa mostra sia più site responsive che site specific. Ovvero, parte da un sito e lo considera come momento, come luogo, come discorso, come punto di partenza del quale esaminare aspetti storici e programmatici della sua configurazione materiale come i lampadari, gli stucchi, gli affreschi, caratteristiche peculiari di questo luogo. Di Palazzo Cusani, abbiamo considerato entrambi gli aspetti, strutturali e storici, una pratica che tendenzialmente usiamo sempre. Non siamo interessati a trattare un luogo come un luogo neutro. Jennifer Allora: Credo che in questo senso ci sia stata una ricerca equilibrata sulla storia di Palazzo Cusani. Ovvero, non direttamente collegata solo all’aspetto formale e al fatto di essere sede dell’esercito e della NATO. Pensiamo che questo luogo presenti un set simbolico, un punto di collegamento che informa e contestualizza aspetti del nostro lavoro passato. Riallestirli qui dentro, diventa un modo interessante per far dialogare le opere, l’architettura, e la sua funzione, storica e attuale. Questo luogo offre molte possibilità per azzardare interessanti interpretazioni e riflessioni e in generale cerchiamo di costruire il nostro lavoro in un modo simile: partiamo da diversi materiali apparentemente distanti fra loro e li uniamo insieme attraverso una nostra scelta artistica, per creare significati nuovi.

Allora & Calzadilla, Raptor’s Rapture, 2012, allestimento a Palazzo Cusani, Milano. © Allora & Calzadilla. Photo Marco De Scalzi

Domus: La stanza Radetzky, per esempio, presenta un’evidente connessione fra il lavoro e la funzione che questo luogo ha avuto. Questa stanza è stata storicamente la sala del pianoforte, e adesso ospita la vostra opera col pianoforte (Stop, Repair, Pprepare: Variaions of ode to joy for a prepared piano, 2008).
Guillermo Calzadilla: Sì esatto, ma non è successo solo in questo caso, ce ne sono altri. Per esempio, Returning Sound, il video della motocicletta con una tromba saldata sulla marmitta, guidata da un giovane attivista portoricano, ne è un esempio.  L’isola di Vieques, in Portorico, è stata usata come base della Nato per le simulazioni belliche, per oltre sessant’anni, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale fino a oggi.

Allora & Calzadilla, Ciclonic Palm Tree, 2004. © Allora & Calzadilla. Allestimento a Palazzo Cusani, Milano. Photo Marco De Scalzi

Domus: Sono sempre stata affascinata dall’opera Sediments Sentiments. La scultura appare come il risultato di un disastro sconosciuto, un set apocalittico che ospita cantanti performer in grado di ri-pronunciare i più importanti discorsi politici declamati nella storia, da Kennedy a Gandhi. Qual è la relazione fra oggetto e performance? Guillermo Calzadilla: C’è sempre una relazione fra l’oggetto e il gesto. Per un certo tipo di oggetto esiste un gesto che lo segue naturalmente, ad esempio una sedia, dove il tuo corpo si può sedere o sdraiare a seconda di come si sente più comodo. In questo lavoro non esiste questo tipo di relazione fra oggetto e gesto perché si tratta di una colata informe di materia, e lo spazio al negativo che si crea all’interno, determina il tipo di gesto e di funzione. Ogni oggetto in qualche modo conserva la traccia fantasma di un gesto, che ne determina una funzione diversa. Giochiamo spesso con questa modalità, usando impropriamente (misuses) la funzione degli oggetti, anche se queste scelte sono sempre molto specifiche e meditate. Jennifer Allora: Trasformare il significato dall’uso improprio di un oggetto, per suggerire un’altra funzione o un altro modo di relazionarsi ad esso. Nel caso di Sediments, Sentiments, una delle cose a cui pensavamo, era il momento in cui nell’Opera lirica, la figura eroica si trova sdraiata sul letto di morte, qualche minuto prima di morire. Ciò che era importante considerare, era questa giustapposizione, fra l’orizzontalità dello stare sdraiati e la verticalità del discorso politico pronunciato di fronte ad un pubblico, così come giocare con questo tipo di dialettica di relazione. In altre performance, è stato più sensato lavorare con un readymade, come nel caso del piano ad esempio. Qui invece la “roccia” non doveva sembrare reale, ma una finta roccia e funzionare da “struttura scenica” per l’azione. A volte se una forma non esiste, è necessario costruirla per “incorniciare” la parte performativa del lavoro.

Allora & Calzadilla, Land Mark (Footprints), 2004. © Allora & Calzadilla

Domus: Come si configura l’idea di una “economia politica della musica” specialmente alla base di questo lavoro, in accordo con il testo di Jaques Attalì? Jennifer Allora: Ho riletto quel libro di Attalì non molto tempo fa e anche se è stato scritto negli anni ‘70 tuttavia resta attuale la ricerca storica, filosofica, teoretica. È molto interessante questa idea che rumore e silenzio sono le due cose alla base del concetto tradizionale della musica e come la musica sia di fatto un sistema ordinario. Guillermo Calzadilla: Fin dal tempo dei Greci, la teoria musicale in termini di definizione, si è costruita attorno a due perni – quello della scienza o matematica e quello del mondo reale tumultuoso; in qualche modo la sua definizione la si può trovare all'interno di questi due estremi. Ci sono poi due concetti molto importanti, il primo è 'dissonanza' e l’altro è 'silenzio': entrambi tengano insieme molte delle opere in mostra. Jennifer Allora: Abbiamo molte affinità con il libro di Attalì, per noi resta un ottimo appiglio teorico. Molti dei nostri lavori cercano di andare a fondo delle origini della musica, della sua storia sociale, dei suoi utilizzi e implicazioni.

Allora & Calzadilla, Revolving Door, 2011. © Allora & Calzadilla. Performance dal vivo a Palazzo Cusani Milano. Photo Marco De Scalzi

Guillermo Calzadilla: Questa è stata anche una delle premesse alla base di Raptore’s Rapture, uno degli ultimi lavori incentrato su un flauto antichissimo riscoperto oggi. Si trattava di capire come suonare questo strumento, se verticalmente o trasversalmente; le uniche istruzioni che abbiamo dato a Bernadette Käfer, specializzata nel suonare strumenti preistorici, sono state quelle di provare a suonare questo strumento con l’idea che qualsiasi suono prodotto, poteva essere stato prodotto e ascoltato oltre quarantamila anni fa. Un’altra cosa interessante è – e credo che questo per la biomusicologia possa essere considerato uno scandalo – il fatto che qualcuno scelse di prendere questo osso e decise di farci questo stesso flauto e poi di suonarlo, assecondando l’evoluzione del cervello che in quella fase rappresentava un grado di intelligenza ulteriore. Anche perché, se qualcuno lo suonava, qualcuno lo avrebbe ascoltato, generando così un atto collettivo. Un’intelligenza che si sviluppa attraverso l'atto di creazione di uno strumento musicale, una tappa fondamentale dell’evoluzione di una specie. Jennifer Allora: L’uomo di Neanderthal non faceva musica. L’Homo Sapiens invece, dal momento che ha avuto la capacità di produrre musica, ha trovato in questo una delle ragioni per la sua sopravvivenza, da un punto di vista dell’evoluzione. È una prova di sopravvivenza della specie in qualche modo. Abbiamo letto molte cose in merito ovviamente, come persone interessate, non come esperti. Apparentemente è solo dal XX secolo che è lecito domandarsi quali siano le origini della musica e del linguaggio, prima era vietato. In Francia, per esempio, era vietato tenere lezioni nelle scuole di linguistica, si potevano fare studi comparativi, ma la domanda sulle origini del linguaggio veniva considerata pericolosa

Allora & Calzadilla, Revolving Door, 2011. © Allora & Calzadilla. Performance dal vivo a Palazzo Cusani Milano. Photo Marco De Scalzi

Domus: Come siete arrivati alla realizzazione del film Apotome? Jennifer Allora: Analizzando le questioni che riguardano la differenza fra uomo e animale, il concetto dell'uomo nella storia naturale. Per questo motivo il film è stato girato al Museo di Storia Naturale di Parigi, e coinvolge un esperimento che fu realizzato nel 1798; si trattava di un concerto per due elefanti, portati a Parigi come bottino di guerra (venivano dall'Olanda), anzi probabilmente fu un regalo. Fu la prima volta che una città, un'istituzione civica, si trasformò in una sorta di zoo; alcuni musicisti decisero che era interessante fare un concerto per animali, selezionare brani musicali che potessero provocare una reazione degli elefanti. Oggi non ci sembra nulla di straordinario, ma ai tempi fu un esperimento molto radicale. Era un tentativo di comunicazione tra specie diverse. All’epoca la storia naturale stava appunto studiando la definizione di queste categorie di specie, era anche il momento in cui persone dall'Africa e dall'America latina venivano mostrate in gabbia, ad esempio. Fu un esperimento interessante, provare a testare se la musica fosse un linguaggio universale, non verbale, uno spazio interstiziale dove più specie possono comunicare. E dopo aver fatto ricerca sulla voce, siamo giunti a Tim Storms, la persona col timbro di voce più basso al mondo. 8 Hertz, frequenze subsoniche inudibili, che Tim è in grado ad emettere perché le sue corde vocali sono lunghe il doppio rispetto alla normalità. Ancora una volta questo soggetto rappresenta ciò che può essere considerato il risultato di una mutazione evolutiva. Se si considera la logica dell'evoluzione, si può ipotizzare che i suoi eredi nel futuro potranno sviluppare un apparato uditivo che gli permetterà di udire queste frequenze.

Allora & Calzadilla, Sediments, Sentiments (Figures of Speech), 2007, performance eseguita quotidianamente da cantanti d’opera. © Allora & Calzadilla.

Domus: Qual è il ruolo e il concetto di pubblico, nel vostro lavoro e nella vostra ricerca? Guillermo Calzadilla: Il modo i cui lavoriamo riguarda sempre la relazione col pubblico. Nei nostri lavori c’è sempre il pubblico fin dal loro nascere, anche una sola persona. Questo fa si che qualsiasi cosa dica o pensi o tenti di analizzare, non rappresenta mai il mio unico punto di vista, e sviluppa una pratica interrogativa. Il porsi domande (Questioning) diventa importante nella costruzione dell’opera, e anche quando quest’ultima viene realizzata, preserva questo potenziale che continua il processo di interrogazione nella natura del perché esistono le cose, cosa significano, qual è la loro funzione. In questo modo le idee s’interrompono o si invertono. Tutti i nostri lavori indagano la relazione fra la proporzione e la sproporzione, in senso sociale, musicale, esperienziale. Jennifer Allora: Un’altra cosa è che, guardando alla storia della performance nella storia dell’arte, la questione del pubblico è sempre legata a qualcuno che agisce, che presuppone un coinvolgimento reale, un’interazione, una partecipazione. Noi non lavoriamo in questo modo, speriamo in un approccio più critico e partiamo dalla considerazione di quale sia il ruolo stesso del performer. È importante chiarire come intendiamo la collaborazione con le persone che coinvolgiamo, perché sono sempre persone a cui sono richieste competenze speciali. Se abbiamo bisogno di un pianista ad esempio, deve essere in grado da un lato, di lavorare con noi e di provare l’esperienza di suonare la Nona Sinfonia di Bethoven al contrario, dall’altro è qualcosa che ancora una volta deriva da Attali, e dalla sua idea riguardo al comporre, perché il pianista, deve comporre la sua personale interpretazione della sinfonia, e la performance è prima di tutto per se stesso.

Allora & Calzadilla, Stop, Repair, Prepare: Variations on ‘Ode to Joy’ for a Prepared Piano, 2008. © Allora & Calzadilla. Performance a Palazzo Cusani, Milano. Photo Marco De Scalzi