L’officina Fiat Tagliero, simbolo ambivalente dell’architettura coloniale italiana

Abbiamo rivisitato il capolavoro modernista di Asmara: come rileggerlo a quasi un secolo dall’esperienza del colonialismo italiano in Africa?

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938

Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938

Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938

Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938

Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938

Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938

Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938

Foto Daniele Ratti

Asmara è un mito agrodolce nell’immaginario italiano. Massimo esempio di architettura modernista razionalista in Africa orientale –come ha riconosciuto anche l’Unesco inserendola nella lista del patrimonio mondiale nel 2017, la capitale dell’Eritrea non smette di sprigionare un effetto nostalgico che, ad oltre ottant’anni dalla caduta del regime fascista e a circa cinquanta dall’esodo della comunità italiana, assume oramai dei contorni sfuocati. Trasposizione degli ideali urbanistici del fascismo, il tessuto urbano di Asmara vanta una coesione architettonica d’eccezione puntellata di landmark quali chiese, cinema, bar, o vecchie sedi di aziende del Bel Paese. Per gli italiani, il sentimento di familiarità può essere straniante, sia per la consuetudine al linguaggio del razionalismo, sia per l’immagine da cartolina, sospesa nel tempo e ammantata di presunto buonismo, che questa città-scenografia sembra emanare. 

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938. Foto Daniele Ratti

Con la partenza degli italiani nel 1974 a seguito della rivoluzione marxista del consiglio militare dei Derg etiopi, gli spazi del centro sono stati occupati dagli eritrei, che hanno iniziato ad abitarli senza stravolgerli, in una sorta di fluida continuità. Bar, farmacie, e scuole sono ancora lì, rievocando nei rari visitatori che si avventurano ad Asmara, come ci racconta il fotografo Daniele Ratti, la sensazione di ritrovarsi nei primi anni ’60. Architetto di formazione, Ratti si è recato in Eritrea in più occasioni, con l’intento di documentare questo grande patrimonio oggi minacciato dall’incuria e, soprattutto, dalla mancanza di risorse destinate al restauro. “Immagina una città che per l’80% è costituita da architettura razionalista, mente il restante 20% è stato costruito dagli anni ‘60 agli ‘80. Il patrimonio è talmente grande che si potrebbero realizzare tantissimi libri solo su Asmara. Ad esempio, nel quartiere delle ville ci sono edifici di grandissimo pregio, ognuno diverso dall’altro. Poi, esistono architetture fuori dalla norma, semplicemente uniche. E tra queste c’è la Fiat Tagliero. È il primo grande edificio che ho visto Ad Asmara, ed è rimasto il mio primo amore”, commenta Ratti. 

È una città che per l’80% è costituita da architettura razionalista, mente il restante 20% è stato costruito dagli anni ‘60 agli ‘80. Il patrimonio è talmente grande che si potrebbero realizzare tantissimi libri solo su Asmara.

Daniele Ratti

Il progetto della Fiat Tagliero è la storia di un’avanguardia architettonica che, prendendo corpo fuori dai confini della penisola italiana, trova la possibilità di sperimentare con maggiore autonomia, sfuggendo ai criteri più tradizionalisti che vigevano in Italia. L’edificio, una autofficina e pompa di benzina della Fiat, fu progettato da Giuseppe Pettazzi e inaugurato nel 1938. L’architetto si ispirò alla forma di un aeroplano, sotto l’impulso, come ci racconta Ratti, del Manifesto dell’Architettura Aerea che l’architetto futurista Angiolo Mazzoni pubblicò nel 1934 insieme a Filippo Tommaso Marinetti e Mino Somenzi. La struttura si distingue per la presenza di una torre centrale, dove erano ubicati un negozio e un ufficio, da cui si dispiegano due pensiline a sbalzo di quindici metri l’una, realizzate in calcestruzzo e caratterizzate da una linea aerodinamica propria di un velivolo. Furono proprio queste ali-pensilina che gli valsero il soprannome di “aeroplano”, e furono sempre loro ad alimentare il racconto esilarante dell’inaugurazione dell’autofficina.

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938. Foto Daniele Ratti

Secondo le leggi in vigore nell’epoca, le pensiline avrebbero dovuto essere sostenute da pilastri. Pettazzi, che le aveva concepite autoportanti, si limitò ad utilizzare pilastri smontabili durante la costruzione, e pretese che questi fossero eliminati prima dell’inaugurazione. Al rifiuto delle maestranze, dice il racconto, Pettazzi tirò fuori una pistola, minacciando di servirsene se non gli avessero dato retta. Un gesto estremo, il suo, che sembra però aver avuto la meglio sulla sfida della statica e sulla sfida del tempo. A poco meno di un secolo di distanza, le ali sono ancora lì, senza nessuna colonna che contribuisca a sorreggerle.

L’eredità coloniale italiana è spesso rimossa dal dibattito pubblico, relegata a nota a piè di pagina nei manuali di storia. Eppure, i suoi simboli sono ancora presenti, vivi, visibili. La Fiat Tagliero in Eritrea è uno di questi.

Jermay Michael Gabriel

La stazione rimarrà in funzione fino al 1974, quando Giovanni Tagliero, direttore della fabbrica Fiat locale, se ne tornerà in Italia. Restaurata nel 2003, la stazione non è più dotata di una pompa di benzina, ed è vissuta dalla popolazione locale come uno dei simboli indiscussi della loro città. Le foto di Daniele Ratti esprimono innanzitutto la valorizzazione di una costruzione volumetrica, il racconto di come la sovrapposizione di linee e di curve contribuisce a restituire l’aerodinamismo auspicato dal futurismo. Al tempo stesso, gli scatti restituiscono anche una patina, documento sulla metamorfosi dolce esercitata dal tempo. Una dolcezza, ancora una volta, di cui non dobbiamo dimenticare il lato oscuro: quella dell’aereo come simbolo della volontà di potenza sui cieli, che ha fatto di Asmara una delle basi aree da cui partivano i bombardieri per la vicina Etiopia, una delle pagine più infauste della vita del regime – che, ricordiamolo, causerà con le guerre coloniali fasciste almeno 500mila vittime tra militari e civili.

L’invito a leggere la Fiat Tagliero come un simbolo ambivalente ci arriva anche da Jermay Michael Gabriel, artista e curatore italo-eritreo-etiope che ha fatto delle memorie d’archivio del colonialismo italiano uno spunto per una pratica artistica capace di scardinare la permanenza e l’elusività dell’immaginario a cui abbiamo accennato. “Nella retorica fascista, tecnologia e conquista erano due facce della stessa medaglia. Il progresso industriale non era fine a sé stesso, ma parte di un disegno ideologico più ampio, volto a proiettare la superiorità della ‘civiltà italiana’ su territori ritenuti ‘primitivi’. Quando Benito Mussolini pronunciò il suo celebre discorso della dichiarazione di guerra il 10 giugno 1940 – ‘Combattenti di terra, di mare e dell’aria!’ – non stava solo annunciando l’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, ma stava definendo l’orizzonte della modernità fascista”, racconta Jermay Michael Gabriel a Domus.

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938. Foto Daniele Ratti

Il volo, tanto militare che simbolico, diventa dunque l’estensione di una volontà di potenza, l’“espressione della sua virilità tecnica”, per dirla ancora con le parole di Jermay Michael Gabriel. Che mette in guardia rispetto all’identificazione della Fiat di Asmara come un semplice tributo all’ingegno. “Celebrare oggi questi monumenti senza un’adeguata contestualizzazione significa rischiare di perpetuare quella stessa visione epistolografica. La mia critica non è rivolta all’ingegneria in sé, né all’abilità tecnica degli architetti o degli operai che hanno costruito l’edificio. È rivolta alla narrazione che spesso ancora oggi accompagna questi spazi: una narrazione che celebra l’‘eccellenza italiana’ senza fare i conti con ciò che questa eccellenza ha significato in un contesto coloniale. L’eredità coloniale italiana è spesso rimossa dal dibattito pubblico, relegata a nota a piè di pagina nei manuali di storia. Eppure, i suoi simboli sono ancora presenti, vivi, visibili. La Fiat Tagliero in Eritrea è uno di questi. Non possiamo più permetterci di guardarlo solo come un capolavoro dell’ingegneria italiana. Dobbiamo guardarlo per quello che è: un monumento ambivalente, un prodotto della modernità coloniale. Un frammento di storia che chiede giustizia, e soprattutto memoria”.

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938 Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938 Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938 Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938 Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938 Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938 Foto Daniele Ratti

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara Eritrea, 1938 Foto Daniele Ratti