Una chiesa organica in dialogo con la comunità locale

Di stampo contemporaneo ma con elementi barocchi e tipici dell’architettura novecentesca, la chiesa di Santa Maria Goretti è il primo progetto religioso dello studio di Mario Cucinella. 

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Domus 1061, ottobre 2021.

A Mormanno, nel Parco Nazionale del Pollino, Mario Cucinella Architects completa la Chiesa di Santa Maria Goretti, la prima nella carriera ormai trentennale dell’architetto italiano. È l’occasione per intervenire in quei “territori interni” già esplorati nel 2018 con Arcipelago Italia, il suo padiglione nazionale alla 16a Biennale di Architettura di Venezia, innestandovi un’architettura contemporanea qualificante per il suo contesto. 

Nella chiesa e nella canonica si combinano i temi tradizionali della progettazione di edifici sacri, su tutti la commistione tra architettura e arte, oltre agli interessi di Cucinella, tra cui il dialogo con la comunità locale, come testimoniano le formelle in creta in facciata, via crucis realizzata dai bambini del luogo su disegno dell’artista Giuseppe Maraniello, autore anche delle sculture conservate nell’edificio. In termini architettonici, Cucinella descrive la chiesa come organica e barocca. È certo organica la pianta, in senso novecentesco e wrigthiano, perché le sue curve abbracciano i fedeli e assonano con il paesaggio. È di stampo barocco, invece, l’espediente della piccola finestra che il sole attraversa per illuminare il crocifisso nel giorno della morte della santa. 

L'interno della Chiesa di Santa Maria Goretti a Mormanno. Foto Duccio Malagamba
L'interno della Chiesa di Santa Maria Goretti a Mormanno. Foto Duccio Malagamba

L’opera di Cucinella, poi, merita una riflessione sul piano formale e linguistico. Si può speculare a lungo sulle affinità con altre architetture religiose contemporanee: la Chiesa di Santa Maria Goretti è candida e totemica come la Chiesa di Santa Maria a San Marco de Canaveses di Álvaro Siza (1990-1996), mentre la croce luminosa che movimenta le sue murature non è immemore della Chiesa della Luce di Tadao Ando a Osaka (1989).

 Soprattutto, però, si apprezza qui la capacità di Cucinella di ampliare il proprio vocabolario di fronte a un programma per lui inedito: la componente tecnologica tipica del suo linguaggio, non radicalmente high-tech, ma sempre addomesticata e consensuale, si stempera di fronte alla potenza simbolica del tempio. L’edificio non si mostra come un dispositivo comprensibile nella sua efficienza, ma come una scultura al tempo stesso ermetica ed evocativa. Non a caso, la soluzione più riuscita del progetto è il velario di drappi traslucidi che diffonde la luce naturale nell’aula, allusione al mistero della fede molto più che all’esattezza della scienza.

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