Shin Takamatsu e l’architettura come evento simbolico

Un nuovo sguardo al lavoro svolto negli anni ‘80 dall'architetto giapponese, celebre per i suoi edifici postmoderni e futuristici.

Shin Takamatsu è uno di quegli architetti anticonformisti le cui opere non hanno ricevuto la giusta attenzione da parte della critica. Figlio spirituale di leggende dell'architettura quali Kenzo Tange e Arata Isozaki, venerati in Giappone per la loro interpretazione riformista del modernismo internazionale, Takamatsu ha contribuito a definire, senza mai scendere a compromessi, il paesaggio architettonico sperimentale e futuristico del Giappone degli anni Ottanta.

Evocando al tempo stesso l’universo distopico di Blade Runner e l’architettura meccanica dell’era industriale, gli edifici di Takamatsu rappresentano forse le forme più provocatorie e radicali dell'architettura postmoderna. Nonostante alcuni dei suoi più accaniti detrattori sostengano che i suoi progetti siano nel migliore dei casi ornamentali, e nel peggiore dei casi tutt’altro che pratici, dovremmo considerare i modi incredibilmente fantasiosi attraverso i quali, all’inizio della sua carriera, Takamastu è riuscito a porre la funzione al servizio della forma.

L’anno dopo aver conseguito il dottorato in architettura e ingegneria presso l’Università di Kyoto, Takamatsu ha fondato il suo personale studio di progettazione, ottenendo il suo primo incarico. Origin I (1980-81) è un edificio estremamente innovativo, frutto di un’insolita richiesta del cliente, il quale chiese al giovane architetto di “progettare per prima cosa l’architettura, e solo una volta completata decideremo come utilizzarla”. Questo genere di flessibilità è un lusso che pochi nuovi arrivati nel mondo dell’architettura possono permettersi, e un’opportunità che Takamatsu ha saputo invece cogliere appieno. Origin I è immediatamente riconoscibile per via della facciata indipendente in marmo rosa, simile a quella di una fortezza, caratterizzata da un meraviglioso gioco di linee rette e curve. La pianta semiaperta e gli spazi interni altamente funzionali e riparati dalla strada hanno permesso al proprietario di utilizzare l’edificio come sede della sua azienda tessile. Con Origin I, Takamatsu ha creato un’opera che ha decisamente condizionato il suo studio per tutto il decennio seguente.

Origin III, Kyoto, Giappone, 1985-1986

Nei successivi progetti, Takamatsu ha collaborato con clienti che lo cercavano proprio per le sue visioni futuristiche e artistiche, e per i quali l’uso e la funzione non erano la prima preoccupazione. I suoi edifici più rappresentativi, Ark (1981-83) e Pharaoh (1983-84), entrambi cliniche odontoiatriche di cui parleremo più dettagliatamente a breve, non assomigliano per niente a un luogo in cui vorremmo andare a fare la pulizia dei denti. Alcuni critici hanno paragonato il primo a una locomotiva vecchio stile, e il secondo a un forno crematorio per via dell'uso smodato di cemento grezzo e camini d’acciaio che ricordano molto l’architettura industriale. L’idea alla base di Earthtecture Sub-1 (1987-1991), un edificio per uffici a Tokyo, era quella di allestire la maggior parte degli uffici e degli spazi di lavoro sottoterra, più di 20 metri sotto il livello della strada. Per la facciata visibile, Takamatsu ha utilizzato giganteschi lucernari a forma di farfalla (“conformemente alle regole del giardinaggio paesaggistico”) per far sì che la luce raggiungesse il sottosuolo. La scelta di queste ali di farfalla stilistiche ma allo stesso tempo anche quasi prive di funzionalità al posto di utilizzare la luce naturale diretta per gli impiegati è stata piuttosto audace, e per molti versi anche rappresentativa del disprezzo di Takamatsu per le regole dell’architettura tradizionale. Si potrebbe persino sostenere che i suoi edifici sarebbero incredibili sculture, se fossero riempiti di calcestruzzo. Come egli stesso ha osservato, “sogno sempre l’architettura come se fosse un monumento, o qualcosa con una presenza simbolica”.

Sarebbe restrittivo ridurre il lavoro di Takamatsu alla tradizionale dicotomia tra forma e funzione. Il suo contributo all’architettura non sta nella giocosa impraticabilità a cui i suoi edifici sono stati così spesso ridotti. Lo stile architettonico di Takamatsu dovrebbe invece essere visto come un microcosmo di riferimenti artistici che trascendono le consuete ed esagerate reinterpretazioni dell'euro-classicismo così spesso associato all'architettura postmoderna. Ciò è ancora più evidente se si osservano le facciate, i cui elementi ludici e spesso antropomorfi diventano elementi caratterizzanti, dalle torri di lucernari a forma di farfalla di Earthtecture Sub-1 all'imponente cupola rossa a forma di ragno di Origin III (1985-1986). I suoi edifici sono dotati di parti del corpo astratti e di personalità proprie, che diventano punti di riferimento per il paesaggio urbano.

Pharaoh, Kyoto, Giappone, 1983-1984

Al di là dei riferimenti figurativi, Takamatsu si affida anche ad aspetti di un passato industrializzato per inserire nei suoi edifici simboli referenziali, che le sue due strutture più iconiche esemplificano perfettamente. Nel numero di settembre 1984 di Domus, Ark è stato descritto come una “macchina” fatta di “pistoni e cilindri che scandiscono il ritmo veloce della facciata”. La clinica odontoiatrica fa riferimento all'era industriale in modi sorprendenti e estremamente fantasiosi. La facciata principale, che ricorda la testa di una locomotiva, ricorda la vicina stazione ferroviaria, e i funzionali camini d'acciaio su un lato dell’edificio si stagliano nel cielo e scandiscono l’edificio. Questa cattedrale di metallo e cemento è un monumento di forza che incanala spiritualmente alcune delle macchine più complesse della Rivoluzione Industriale.  

Questa dualità si ritrova ancora una volta in Pharaoh, un'altra clinica odontoiatrica realizzata principalmente in cemento e acciaio. Il cliente, che aveva vissuto e lavorato in questa casa per molti anni, aveva chiesto a Takamatsu di sostituire la struttura originale in legno con un esterno più massiccio e robusto che lo proteggesse dai rumore della strada. Takamatsu ha creato un’altra facciata ermetica, simile a una cittadella, caratterizzata da una grezza estetica industriale. Sopra l’edificio si ergono tre camini, che possono essere descritti come un gioco di finestre circolari in acciaio su ogni lato circondate da pareti di cemento verticali e orizzontali. “In questo caso, l'intera architettura è diventata una maschera”, ha spiegato. “Le richieste estreme del cliente mi hanno permesso di correre rischi architettonici senza precedenti”. 

Origin I, Kyoto, Giappone, 1980-1981

Come ha scritto nel 2012 Waro Kishi nell'introduzione alla sua monografia, Takamatsu è “un architetto che costruisce un’architettura ‘inesistente’”. Non più intesi come strutture sociali o politiche, i suoi edifici diventano così manifestazioni simboliche su larga scala di concetti dinamici e polimorfi. Questo soprattutto perché Takamatsu rifiuta deliberatamente i significanti dell'architettura tradizionale e crea invece un significato attraverso nuovi codici visivi e artistici, facendo contemporaneamente riferimento a un passato industrializzato e immaginando un futuro giocoso e ipermoderno. Gli anni Ottanta sono stati il periodo in cui ha sviluppato la nozione di architettura come evento provocatorio, cercando il tipo di eccitazione che i punti di riferimento storici o i monumenti su larga scala tradizionalmente generano.

I suoi edifici sono concepiti come oggetti artistici ipersensibili, che si integrano e si oppongono ferocemente all'ambiente urbano. Le facciate difensive, la loro presenza simbolica e spesso senza riferimento a una funzione specifica fanno sì che si presentino come entità autosufficienti e sospese sullo sfondo di città giapponesi secolari. Oggi vivono come strutture congelate nel tempo, che fungono contemporaneamente da simboli del radicalismo degli anni Ottanta e della visione arcaica di un futuro lontano che non si è mai materializzato. Molte delle sue opere sono state ormai demolite, e anche lo stesso Takamastu sembra essersi gradualmente orientato verso progetti più semplici e ordinati. Non bisogna sottovalutare il suo contributo all'espansione delle possibilità dell'architettura radicale in Giappone in questo decennio incredibilmente creativo.

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