La storia della Biennale raccontata da Paolo Baratta

Nel suo libro Il giardino e l'arsenale. Una storia della Biennale l’ex direttore riassume la sua ventennale esperienza da presidente di una delle più importanti istituzioni culturali al mondo.

“Le scelte artistiche sono del curatore, ma nell’individuazione della persona a cui affidare la Mostra si manifesta il ruolo di indirizzo culturale e artistico espresso dal vertice della Biennale.” Sono queste le parole con le quali Paolo Baratta descrive la scelta dei curatori e formulato l’indirizzo delle Biennali nel suo libro Il giardino e l'arsenale. Una storia della Biennale (Marsilio, Venezia 2021). Uno spesso volume di oltre quattrocento pagine nel quale riassume la sua ventennale esperienza di presidente della più importante istituzione culturale nazionale e della più vasta manifestazione artistica al mondo. Non si tratta di un puro resoconto, ma un vero e proprio “memoriale politico”, in cui si raccontano la presa di decisioni, il compimento di scelte, l’organizzazione concettuale e pratica di una serie infinita di iniziative ed eventi che si sono svolti nello spazio (e a volte anche al di fuori di esso) di una città dai caratteri unici, Venezia. Un insieme di azioni che, complessivamente, hanno determinano una “politica culturale”, forse la più duratura nella storia dell’ente e forse la più cruciale per la storia delle arti in Italia.

Paolo Baratta, Il Giardino e l'Arsenale. Marsilio Editori,. 1° ed. 2021
Paolo Baratta, Il Giardino e l'Arsenale. Marsilio Editori,. 1° ed. 2021

Quello che Baratta ci consegna con questo libro, non sono le memorie di un generale in pensione, ma una narrazione in prima persona nel campo ancora troppo poco trattato nella letteratura – anche accademica – della storia delle istituzioni. Una storia dall’interno e per mezzo di un racconto diretto e in prima persona. Estremamente utile non solo per conoscere molti fatti, ma per capire la struttura decisionale, le personalità, i profili e gli organigrammi che determinano le forme di qualcosa che spesso è ridotta solo a due parole aride e contraddittorie come “cultura” e “arte”. Nella soggettività della narrazione personale questi fatti sono eloquenti e ricchi di temperamento e mostrano ancora una volta le ragioni del recente rifiorire della teoria e della storia orale e in prima persona, stimolato dalle nuove narratività multimediali.

Il racconto di Baratta è misurato, anche se non mancano le indiscrezioni e la fisiognomica delle molte figure incontrate che sono quasi un segno stilistico dell’autore, ma è orientato soprattutto a far comprendere e voler rendere trasmissibile un’esperienza decisiva nel quadro degli ultimi due decenni del mondo del turismo, della azione educativa, della comunicazione, dei rapporti tra strategie urbanistiche e spazi urbani, delle relazioni tra Stato ed enti locali, delle azioni artistiche e di molto altro che la Biennale è e sarà nel tempo.

Ricco di contestualizzazioni, premesse e approfondimenti atti a poter comprendere il panorama di lungo e breve periodo in cui le decisioni vengono prese e discusse, il volume ci consegna un pezzo di storia d’Italia, nel quale l’autore svolge il ruolo di protagonista di un cambiamento cruciale della forma dell’istituzione Biennale: la trasformazione di un soggetto pubblico che opera come un’impresa. Cresciuto nello Svimez di Pasquale Saraceno, con incarichi significativi in istituzioni come il Nuovo Banco Ambrosiano, di cui per un periodo è stato vicepresidente, Baratta è sto infatti la prima figura manageriale designata alla guida di una istituzione italiana dedita alla organizzazione creativo-artistica. Questo economista “pubblico”, ha svolto in questo senso un incarico storico, che formalmente é consisto nel mettere in atto la riforma dell’ente legiferata nel 1998, ma che in sostanza è stato un grande esperimento amministrativo-istituzionale fondamentale a livello nazionale, e che poi ha avuto numerose – ma ancora tutte da valutare – emulazioni e applicazioni.

Quello che Baratta ci consegna con questo libro, non sono le memorie di un vecchio generale in pensione, ma una narrazione ancora troppo poco trattata nella letteratura della storia delle istituzioni.

Esplicitamente i suoi compiti sono consistiti nell’“implementare lo statuto e riorganizzare gli uffici, costruire l’adozione di un contratto collettivo privato”, gestire l’“intreccio tra mezzi e fini della gestione economica dell’ente (efficiente, ma non remunerativa per un capitale) e il dualismo dialettico tra stabilità istituzionale e massima disponibilità alle nuove idee”. Una renovatio structurae che si è intrecciata con una forma urbis, o meglio con “un basilare intervento sui siti” in cui le complesse e molteplici manifestazioni artistiche della Biennale si svolgono. 

Nel racconto di Baratta, come si deduce anche dal titolo del volume, tale intervento sui siti ha avuto “importanza prioritaria per l’identità dell’istituzione e per l’avvio della nuova gestione” e si intreccia a fondo nel determinare nuovi rapporti tra Stato e città, tra ministeri e municipalità, tra partecipazioni internazionali e competenze burocratiche locali. In questo quadro, al di là dei rinnovamenti degli edifici e degli spazi aperti dei Giardini è la scoperta dell’Arsenale a costituire il tratto principale di riforma urbana e di cambiamento fisico. Le pagine in cui sono raccontate le relazioni con la Marina e le sue diverse figure sono in questo senso esemplari se si vuol capire in cosa consista realmente essere coinvolti nei processi di trasformazione e non produrre arte e conoscenza subordinate. Per l’azione fisico-spaziale Baratta, “la Biennale aveva bisogno di patrimonio e di risorse pubbliche e poteva trovarli solo intervento su spazi pubblici da restaurare e rinnovare, dirottando i contributi ottenuti dal comune alla riqualificazione e riuso di una struttura storica, ovvero destinano le somme ricevuta dello stato alla valorizzazione del patrimonio pubblico.”

Il padiglione della Gran Bretagna alla Biennale di Architettura di Venezia 2018.
Il padiglione della Gran Bretagna alla Biennale di Architettura di Venezia 2018. Foto Hélène Binet

Nella sostanza della gestione artistica Baratta interpreta invece la Biennale come “un’istituzione di ricerca”. Sin fin dall’inizio del suo incarico egli abbandona però l’idea dei “direttori come professori”, ovvero di specialisti che si sarebbero insediati come direttori di settore e raccolti in comitato scientifico, avrebbero svolto ricerche e attivato le scelte di curatori di loro fiducia per le singole manifestazioni; e sceglie di optare per “direttori di settore”, nominati dagli amministratori come soggetti che completano l’organizzazione, fossero essi stessi capaci di proporre e realizzare progetti, insomma dei veri e propri “curatori”. Si determina così una seconda profonda discontinuità con la organizzazione istituzionale precedente, decretata dallo statuto post-sessantottino del 1973.

La convergenza di questi due rinnovamenti fa si che per Baratta la Biennale, non più ente statale, durante il suo lungo mandato si trasfiguri in “un’impresa della conoscenza e della consapevolezza”. E la consapevolezza ci consegna una serie notevole di progetti compiuti, seppur coscienti di essere imperfetti, nel senso che andranno proseguiti e sviluppati nel tempo guardando sempre al futuro più che al presente. Il futuro delle relazioni con la città, il futuro di una prospettiva internazionale oggi radicalmente mutata, il futuro di come si possano produrre, organizzare, gestire e realizzare attività creative in settori estremamente diversi.

Se osserviamo dunque dalla prospettiva di questo libro l’immenso cantiere in corso – a cui finanziamenti del decreto risorse hanno dato un nuovo impulso con l’affermazione decisiva della costruzione del rinnovato Archivio Storico delle Arti Contemporanee che sarà il centro fisico dell’Arsenale e il cuore dell’istituzione — non possiamo che riconoscere che la precisa definizione di “mutevole giardino e robusto arsenale” che l’autore dà della Biennale non sia tanto un riconoscimento al proprio lavoro, quanto un profondo augurio per il di lei destino. 

Immagine di apertura: Vista del Padiglione della Germania “Bungalow Germania” alla 14. Biennale di Venezia. © CLA / Photo Bas Princen

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