Architettura a giudizio

In mostra al RIBA i progetti di Mies per Mansion House Square e di James Stirling per Number One Poultry dimostrano che difficilmente l’architettura non è politica.  

Il 17 agosto 1969 moriva a Chicago Mies van der Rohe. Cinque settimane dopo la scomparsa di Walter Gropius, quasi quattro anni esatti dopo quella di Le Corbusier, e un decennio e pochi mesi dalla morte di Frank Lloyd Wright. Sebbene dovessero trascorrere altri 35 mesi prima delle 15.32 pm del 15 luglio 1972 (demolizione del complesso di Pruitt-Igoe di Minoru Yamasaki), quando Charles Jencks certificò la morte dell’architettura moderna, la liberazione dai maestri, completata con la scomparsa di Mies, spianava la strada a una nuova generazione.

Vista della mostra "Circling the Square" al RIBA di Londra

Laddove i CIAM di Le Corbusier e Gropius erano surclassati dai proclami di “riscoperta della strada” del Team 10 e da quelli, più di “facciata”, del postmodernismo-in-quanto-stile (vedi Strada Novissima), Mies avrebbe goduto di un mito in grado di mettere insieme adulatori, letteralmente, della sinistra radicale e della destra conservatrice. Così, di lì a poco si sarebbero giustapposte, da un lato, le esorcizzazioni della “città come catena di montaggio del sociale” dei gruppi Radical italiani, e dall’altro, la continua professione di fede nel vocabolario formale che aveva dato agli Stati Uniti una risposta spaziale alla crescente presenza di finanza e corporation come costruttori di città (vedi l’eredita raccolta a Chicago da SOM). Le “torri su piazza” di Mies avevano lasciato intendere che l’unica possibilità per garantire la sopravvivenza di qualche tipo di spazio civico nelle metropoli americane, sempre più privatizzate, stava nella manipolazione delle esigenze di rappresentatività urbana da parte delle grandi aziende capitalistiche. In questo modo, Madison Avenue aveva ricevuto il Seagram, Chicago il Federal Centre, e Toronto il Dominion Centre.

Vista della mostra "Circling the Square" al RIBA di Londra

Quel 17 agosto 1969, Mies se ne andava lasciando incompiuto il tentativo finale d’impiantare il proprio spazio corporate assoluto in un’Europa che aveva abbandonato (salvo pochi, ma importanti, ritorni) nel 1938. Sui tavoli del suo studio di Chicago rimanevano i disegni di un nuovo Seagram-cum-shopping mall sotterraneo, ridotto da 157 a 45,7 metri, e proposto per riconfigurare uno spazio centrale del cuore finanziario di Londra, a pochi passi dalla Bank of England di Soane (o quel poco che ne rimaneva).

Oggi il RIBA rispolvera quei disegni e lo fa ripercorrendo le tappe postume del progetto per Mansion House Square, conclusosi in un nulla di fatto nel 1985 sotto i colpi di un conservatorismo incalzante, forte del patrocinio di un Principe di Galles sulla soglia del sodalizio con Leon Krier per la realizzazione del proprio sogno anacronistico (recarsi a Poundbury, Dorset, per conferma). Ma la tenacia di un costruttore, discendente da famiglia di costruttori, Peter Palumbo, si dimostrò inflessibile anche alla bocciatura reale. Due mesi dopo la notizia del rifiuto alla concessione edilizia per il progetto Mies – finito, nel corso di oltre 20 anni di gestazione, anche davanti ai giudici – Palumbo iniziò un dialogo con il successore per la realizzazione di una nuova architettura su quel prezioso pezzo di terra che aveva conquistato, pezzo per pezzo, freehold per freehold, durante quattro decenni.

Vista della mostra "Circling the Square" al RIBA di Londra

Venticinque anni dopo il viaggio a Chicago per convincere Mies ad accettare l’incarico, Palumbo dava l’incarico a James Stirling – scelta forse logisticamente più semplice, trattandosi di un architetto locale – ma sicuramente impressionante per l’apparente divergenza tra i due architetti chiamati a ripensare lo stesso sito. Due architetti accomunati da alcuni fatti: entrambi chiamati in causa nel loro tardo periodo – Mies a 76 anni, Stirling a 59 –; entrambi reduci da almeno due fasi principali di carriera – geografica (Europa–USA) per Mies, di collaborazione (Gowan–Wilford) per Stirling –; ed entrambi vittima dello stesso fato. Complice un’ernia più dannosa del previsto, anche Stirling, infatti, finirà per non vedere la realizzazione del proprio progetto – ora ribattezzato Number One Poultry (Street).

Vista della mostra "Circling the Square" al RIBA di Londra

Il cambio di nome non è casuale, ma anzi, fondamentale per capire i due progetti. Nonostante il timido tentativo nel testo introduttivo della mostra del RIBA, di reclamare un’identità d’intenti, i due progetti sono, infatti, fondamentalmente diversi e non solo in termini di “stile” (moderno o postmoderno). Number One Poultry Street è un Flatiron Building troncato, conferma della griglia urbana, fedele alla strada. Mansion Square House è un Seagram (anch’esso troncato) che conferma la volontà di esorcizzare la griglia, di derogare alle linee del passato – quasi un monito per Londra di non ripetere il conservatorismo storicamente radicato nella propria urbanistica, da quando la città rinacque dalle ceneri nel 1666 sulle sue vecchie orme. Forse per questo, il progetto di Mies trovò tra i suoi sostenitori quegli Smithson che erano riusciti nella superimposizione di una “area di quietudine” nel centro di Londra con l’Economist Building. Gli Smithson si aggiungevano ad altri illustri sostenitori – la mostra passa in rassegna John Summerson, Peter Cook, Richard Rogers, Denys Lasdun e Berthold Lubetkin – della causa per la realizzazione di un pezzo di Stati Uniti nel pezzo di Europa dove, apparentemente, aveva più senso impiantarlo. Di diversa opinione si dichiarava Philip Johnson, che imperterrito nel suo progetto di auto-dichiararsi curatore del Ventesimo secolo, scriveva dell’errore di svilire un Mies laddove la griglia americana non esisteva – ma solo le strade strette e irregolari di una città del vecchio continente. Dietro questa difesa del padre, però, stava la realtà di un momento fondamentale nella storia del tardo modernismo, per cui Johnson stesso avrebbe messo la faccia (e il grattacielo in braccio) sulla copertina del Time. E non sarebbe bastata neanche l’accettazione di Mies a derogare al proprio stesso canone, spostando i corpi di servizio nel Seagram londinese dal centro della pianta al retro, e in tal modo innescando un movimento periferico che un decennio dopo (e per lo stesso inquilino che originariamente avrebbe dovuto occupare Mansion House Square) si sarebbe cristallizzato nel manifesto high-tech di Richard Rogers per i Lloyds di Londra.

Vista della mostra "Circling the Square" al RIBA di Londra

In un tale clima ideologico di superamento del moderno ortodosso – e, con esso, dello stile corporate Mies –, lo Stirling+Wilford degli anni Ottanta calzava alla perfezione. Nel 1985, Palumbo non era riuscito ad ottenere un Mies – sua vera ossessione, come testimoniato nel documentario che mostra uno dei celebri fotomontaggi dei primi grattacieli berlinesi miesiani come unico quadro appeso ai muri della reception dello studio di Palumbo con vista sul sito conteso nel centro della City. Nel 1997, uno Stirling si sarebbe, al fine, aggiunto ai Wren, Dence, Soane (il poco che restava) e Lutyens che gravitavano intorno al lotto triangolare che Mies aveva pensato di spianare. Pura tabula rasa? In realtà, si trattava di un vuoto politicamente attivo. Con la piazza (con sottostante shopping mall e soprastante torre) Mies non semplicemente innestava un pezzo di sua America in Europa, ma coreografava il potere della finanza: eliminando l’ostruzione al centro, i vari gruppi di potere si interfacciavano come in una piazza medievale. Con la differenza che le forme di potere erano ormai sempre più ridotte a una – la finanza (la residenza del sindaco e la chiesa circondate dai giganti finanziari; il mercato letteralmente sotterrato).

Di contro, lo Stirling non imponeva un ordine nuovo, astratto. Tuttavia, anch’esso creava un commento – da insider – nei confronti di Londra e dello spazio globale che si andava definendo nella City nel fervore neoliberale lanciato dal Tatcherismo. Oggi, Number One Poultry rimane come memoriale alla città intesa quale spazio ormai votato alla commercializzazione di ogni sfera del vivere – la città, notava Michael Sorkin agli inizi degli anni Novanta, come variazione di un parco a tema, riassunto da Stirling nel tetto-giardino all’italiana e nella torre egiziana che accentua lo storico conservatorismo della Londra moderna.

Vista della mostra "Circling the Square" al RIBA di Londra

Due progetti, dunque, che si avvicendano per dimostrare che difficilmente l’architettura non è politica. O, almeno, questo è il messaggio principale della mostra del RIBA, che esplicitamente sminuisce indulgenze su dicotomie di stile tra i progetti. In un altro video, che scorre in parallelo alla difesa architettonica a Mies da parte dei citati Cook, Rogers, Summerson, Lasdun e Lubetkin, si vede il pubblico, in cammino nella City, fermato per rispondere alla domanda: è a conoscenza della diatriba riguardo a ciò che si vuole costruire qui? La risposta, invariabilmente, è no.

Se il tentativo di risvegliare una coscienza diffusa sul valore politico dello spazio urbano unisce la mostra del RIBA a una serie di recenti simili tentativi (per citarne due, il symposium “Is Architecture Political?” all’Architectural Association, e il “compasso politico” dell’architettura contemporanea pubblicato da Aleandro Zaera Polo e velocemente circolato sui social media), i no dell’uomo della strada sembrano confermare che, invariabilmente, l’architettura è vissuta in uno stato di distrazione, come notoriamente osservava Walter Benjamin. Nella triplice ri-messa in scena del processo all’architettura operata dal RIBA – la ricostruzione del processo a Mansion House Square negli anni Settanta-Ottanta; quella, più en passant, esperita anche da Number One Poultry negli anni Ottanta; e il “processo” organizzato come evento collaterale alla mostra, contrapponendo le due parti architettoniche di Mies e Stirling, aleggia la domanda: che non ci sia vera politica in architettura, ma solo potere?  

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fino al 25 giugno 2017
Circling the Square
Royal Institute of British Architects