Architettura e territorio

Cancha: Chilean Soilscapes, il padiglione del Cile curato da María Pilar Pinchart e Bernardo Valdés alla Biennale d'Architettura di Venezia 2012, gioca sulle tensioni tra architettura e territorio.

Si prenda una porzione di territorio. Poi si associ a questa sezione di terreno una serie di regole che definiscano il comportamento degli occupanti. Infine si fissi una serie di provvedimenti che determinino gli spazi di ciascun tipo di comportamento. Questa porzione di territorio regolamentata e governata ora è una cancha: uno spazio attivo dove giocano interessi diversi.

È questo l'invito del padiglione del Cile alla Biennale di Architettura di Venezia 2012: un invito a sperimentare il rapporto tra architettura e territorio, realizzato a partire da un'ampia serie di regole che danno al visitatore e agli architetti partecipanti abbastanza spazio di manovra per interiorizzare (invece che reprimere) e comunicare le contraddizioni insite nel rapporto di produzione che intercorre in Cile tra architettura e territorio. Fissando questo insieme di regole e di spazi l'operazione non solo mette in discussione la lettura internazionale dell'architettura cilena, ma anche il modo in cui quest'ultima si insedia nel territorio.

Come afferma Bernardo Valdés, uno dei due curatori della mostra, "L'architettura cilena è stata di fatto identificata con un'architettura tutta facciate, ricca di angolature buone per la fotografia e circondata da un paesaggio che – per rifarsi a un'antipoesia' di Nicanor Parra – fa sbiadire il Cile come paese e lo riduce esclusivamente a paesaggio. Ma in realtà esiste un bisogno interiore di architettura per affrontare il paesaggio. Che deve riflettere a fondo su di esso e progettare un paesaggio artificiale. In questo senso, più che un appello a guardare all'architettura cilena sotto una nuova luce, Cancha è un appello rivolto all'architettura cilena a pensare in una prospettiva globale, ecologica e politica".
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura <i>Common Ground</i>, Biennale di Venezia 2012
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura Common Ground, Biennale di Venezia 2012
L'appello è stato raccolto da Pedro Alonso, ELEMENTAL, Juan Pablo Corvalán (Susuka), Genaro Cuadros, Germán del Sol, Ivan Ivelic, e Rodrigo Tisi, gli architetti invitati dai curatori a elaborare una ricerca inedita in occasione della mostra. Ciascuno di essi presenta un aspetto differente del rapporto tra architettura e territorio in Cile. Poiché i materiali di ciascuna di queste indagini sono montati su una lampada nello spazio dedicato alla mostra all'Arsenale, è letteralmente tramite il supporto di queste indagini in controluce, che è possibile esplorare la funzione principale del padiglione: la costruzione di un secondo territorio fatto di sale e di blocchi di sale portati qui direttamente dai territori del deserto cileno.

"Il padiglione crea un'atmosfera simbolica che fornisce una cornice interpretativa ai contenuti", spiegano i curatori: "Dal punto di vista dell'atmosfera e del comportamento dei visitatori nello spazio il padiglione costituisce uno spazio governato dalla luce: dall'esterno si entra in un'anticamera, accolti da una scultura al neon a forma di cristallo di sale. Poi si entra in uno spazio il cui protagonista è il pavimento: un pavimento fatto di sale proveniente dal Salar de Tarapacá e da cinque rocce di mezza tonnellata ciascuna; il tutto illuminato da sette fonti luminose, ciascuna delle quali presenta l'intervento di uno degli architetti partecipanti".
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura <i>Common Ground</i>, Biennale di Venezia 2012
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura Common Ground, Biennale di Venezia 2012
Le interpretazioni di questa strategia possono essere molteplici e, nelle parole dei curatori, "Molte delle ambizioni di lettura del padiglione sono state lasciate nel vago". Questa strategia di vaghezza dell'interpretazione fa del padiglione cileno uno spazio dove scoprire e leggere le tensioni tra architettura e intervento sul territorio cileno inteso come risorsa, come patrimonio e come paesaggio.

Le scelte progettuali che definiscono l'esperienza del padiglione instaurano un dialogo con le funzioni attribuite in precedenza all'architettura nell'immagine internazionale del Cile. Il trasporto del sale del deserto nel padiglione, come ricorda Valdès, fa riferimento al padiglione cileno all'Esposizione universale di Siviglia del 1992, che "contraddistinse la prima aspirazione a un Cile democratico – senza Pinochet – con l'obiettivo di mostrare un Cile freddo ed efficiente attraverso il trasferimento di frammenti di iceberg dall'Oceano Antartico. Nella mostra, accanto al ghiaccio, comparivano degli scaffali da supermercato con scatole di cartone che recavano stampate immagini del Cile, da acquistare e portarsi via. A fronte di questo riferimento (e in seguito a uno scambio di idee con Pedro Livni e Gonzalo Carrasco, membri di Vostokproject e curatori del padiglione uruguaiano), il sale di Cancha allude allo scioglimento di quel ghiaccio.
Più che un appello a guardare all’architettura cilena sotto una nuova luce, Cancha è un appello rivolto all’architettura cilena a pensare in una prospettiva globale, ecologica e politica
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura <i>Common Ground</i>, Biennale di Venezia 2012
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura Common Ground, Biennale di Venezia 2012
In questo senso, sciogliendo il ghiaccio del 1992, Cancha cerca di "Diluire l'immagine del 'Cile in vendita' e di mettere in primo piano una lettura trasparente dell'architettura e del suo territorio". La trasparenza consente la revisione critica delle occasioni e dei rischi del rapporto che il Cile ha intrattenuto negli ultimi vent'anni con lo scambio globale di risorse e che ha dato forma al suo territorio. Il sale di Cancha (trasportato a Venezia grazie a una catena logistica tipica del commercio globale delle risorse naturali) sottolinea l'urgenza e l'attenzione dell'architettura nei confronti della commercializzazione del territorio cileno, offrendo uno spazio governato da regole interpretative.

E per finire, il padiglione segna anche il debutto di nuovi attori, risultato delle trasformazioni della politica culturale pubblica in Cile. Per la prima volta il padiglione nasce dalla selezione di un concorso aperto, che ha riunito nella sua organizzazione una serie di istituzioni pubbliche impegnate a promuovere e diffondere l'architettura cilena. La speranza è che l'esperienza e il dibattito offerti da Cancha inneschino e rafforzino lo sviluppo pertinente di nuove istituzioni culturali e il loro ruolo nella proposta di un dibattito pubblico.
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura <i>Common Ground</i>, Biennale di Venezia 2012
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura Common Ground, Biennale di Venezia 2012
Cancha: Chilean Soilscapes
Elemental, Germán del Sol, Pedro Alonso, Juan Pablo Corvalán (Susuka); Iván Ivelic, Genaro Cuadros, Rodrigo Tisi
Commissario: Cristóbal Molina Baeza
Curatori: María Pilar Pinchart Saavedra, Bernardo Valdés Echenique
Sede: Isolotto all'Arsenale
Scultura al neon: Iván Navarro e Pedro Pulido.
Mini documentaries: Cristóbal Palma.
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura <i>Common Ground</i>, Biennale di Venezia 2012
Padiglione del Cile alla 13. Mostra Internazionale di Architettura Common Ground, Biennale di Venezia 2012
Pedro Alonso, ELEMENTAL, Juan Pablo Corvalán (Susuka), Genaro Cuadros, Germán del Sol, Ivan Ivelic, e Rodrigo Tisi, gli architetti invitati dai curatori a elaborare una ricerca inedita in occasione della mostra. Ciascuno di essi presenta un aspetto differente del rapporto tra architettura e territorio in Cile. Poiché i materiali di ciascuna di queste indagini sono montati su una lampada nello spazio dedicato alla mostra all'Arsenale, è letteralmente tramite il supporto di queste indagini in controluce, che è possibile esplorare la funzione principale del padiglione: la costruzione di un secondo territorio fatto di sale e di blocchi di sale portati qui direttamente dai territori del deserto cileno.
"Il padiglione crea un'atmosfera simbolica che fornisce una cornice interpretativa ai contenuti", spiegano i curatori: "Dal punto di vista dell'atmosfera e del comportamento dei visitatori nello spazio il padiglione costituisce uno spazio governato dalla luce: dall'esterno si entra in un'anticamera, accolti da una scultura al neon a forma di cristallo di sale. Poi si entra in uno spazio il cui protagonista è il pavimento: un pavimento fatto di sale proveniente dal Salar de Tarapacá e da cinque rocce di mezza tonnellata ciascuna; il tutto illuminato da sette fonti luminose, ciascuna delle quali presenta l'intervento di uno degli architetti partecipanti".
Le interpretazioni di questa strategia possono essere molteplici e, nelle parole dei curatori, "Molte delle ambizioni di lettura del padiglione sono state lasciate nel vago". Questa strategia di vaghezza dell'interpretazione fa del padiglione cileno uno spazio dove scoprire e leggere le tensioni tra architettura e intervento sul territorio cileno inteso come risorsa, come patrimonio e come paesaggio. ??Le scelte progettuali che definiscono l'esperienza del padiglione instaurano un dialogo con le funzioni attribuite in precedenza all'architettura nell'immagine internazionale del Cile. Il trasporto del sale del deserto nel padiglione, come ricorda Valdès, fa riferimento al padiglione cileno all'Esposizione universale di Siviglia del 1992, che "contraddistinse la prima aspirazione a un Cile democratico – senza Pinochet – con l'obiettivo di mostrare un Cile freddo ed efficiente attraverso il trasferimento di frammenti di iceberg dall'Oceano Antartico. Nella mostra, accanto al ghiaccio, comparivano degli scaffali da supermercato con scatole di cartone che recavano stampate immagini del Cile, da acquistare e portarsi via. A fronte di questo riferimento (e in seguito a uno scambio di idee con Pedro Livni e Gonzalo Carrasco, membri di Vostokproject e curatori del padiglione uruguaiano), il sale di Cancha allude allo scioglimento di quel ghiaccio.
In questo senso, sciogliendo il ghiaccio del 1992, Cancha cerca di "Diluire l'immagine del 'Cile in vendita' e di mettere in primo piano una lettura trasparente dell'architettura e del suo territorio". La trasparenza consente la revisione critica delle occasioni e dei rischi del rapporto che il Cile ha intrattenuto negli ultimi vent'anni con lo scambio globale di risorse e che ha dato forma al suo territorio. Il sale di Cancha (trasportato a Venezia grazie a una catena logistica tipica del commercio globale delle risorse naturali) sottolinea l'urgenza e l'attenzione dell'architettura nei confronti della commercializzazione del territorio cileno, offrendo uno spazio governato da regole interpretative. ?
E per finire, il padiglione segna anche il debutto di nuovi attori, risultato delle trasformazioni della politica culturale pubblica in Cile. Per la prima volta il padiglione nasce dalla selezione di un concorso aperto, che ha riunito nella sua organizzazione una serie di istituzioni pubbliche impegnate a promuovere e diffondere l'architettura cilena. La speranza è che l'esperienza e il dibattito offerti da Cancha inneschino e rafforzino lo sviluppo pertinente di nuove istituzioni culturali e il loro ruolo nella proposta di un dibattito pubblico.
Cancha: Chilean Soilscapes
Architetti: ?Elemental, Germán del Sol, Pedro Alonso, Juan Pablo Corvalán (Susuka); Iván Ivelic, Genaro Cuadros, Rodrigo Tisi ?
Commissario: Cristóbal Molina Baeza ?
Curatori: María Pilar Pinchart Saavedra, Bernardo Valdés Echenique
Sede: Isolotto all'Arsenale ?
Scultura al neon: Iván Navarro e Pedro Pulido ?
Mini documentari: Cristóbal Palma

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