Scalata allo Shard

Lo scorso novembre, due giovani incappucciati, Bradley L. Garrett e Marc Explo, sono sfuggiti di notte al controllo della sicurezza e hanno raggiunto la cima dello Shard. Garrett, ricercatore universitario specializzato in geografia culturale, ripercorre la sua ascesa alla torre più alta d'Europa e riflette sul valore dell'esplorazione urbana.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 960, luglio/agosto 2012

Londra è una città in costante mutamento. Le fotografie conservate negli archivi storici e risalenti agli anni Sessanta ritraggono aree ormai irriconoscibili. La continua espansione dei suoi diversi nodi urbani — a est, ovest, sud e a nord — ingloba sobborghi, urbanizzando non solo il paesaggio, ma anche la cittadinanza. Negli scorsi decenni e in particolare con i nuovi insediamenti — One Canada Square, le torri del Barbican, Balfron Tower, Trellick Tower, 122 Leadenhall Street, Swiss Re Tower, Heron Tower, Centre Point, Strata, 20 Fenchurch Street e, naturalmente, The Shard — la città è cresciuta in altezza, in profondità e in ampiezza. Non potendo essere ignorati, questi megaliti verticali, inevitabilmente, sono diventati parte della coscienza pubblica e sono stati ironicamente ribattezzati: Thatcher's Dick, The Gherkin, The Lipstick (o Blow Dryer), The Tower of Terror, The Cheesegrater, The Walkie Talkie. In pochi ricordano il nome 'ufficiale' di questi edifici, consumati e rigurgitati da una giocosa immaginazione. È questo uno dei modi in cui facciamo nostri gli spazi privati, largamente inaccessibili, delle multinazionali. Nel frattempo, si realizzano sotto i nostri piedi progetti apparentemente pubblici, mentre nuovi network urbani — il progetto Crossrail — sono immersi a profondità sempre maggiori sotto fogne, impianti del gas, fibre ottiche e corridoi telefonici e dei trasporti. Di tanto in tanto, prende forma un diagramma a sezione trasversale della Londra sotterranea e la gente, meravigliata da tanta complessità, desidererebbe vederla con i propri occhi. Noi lo facciamo.

In apertura: lo skyline di Londra fotografato da Garret dalla cima dello Shard. Cresciuto in California, Bradley L. Garrett esplora la capitale inglese con la consapevolezza della sua preparazione: dopo aver studiato storia e antropologia all’University of California, e archeologia marina alla James Cook University di Townsville, Australia, ha recentemente ricevuto un dottorato di ricerca in geografia culturale presso il Royal Holloway, University of London. Qui sopra: Garret osserva la sponda sud del Tamigi dal neo Bankside, complesso residenziale progettato da Rogers Stirk Harbour + Partners, accanto alla Tate Modern. Photo Bradley L. Garrett

La maggioranza delle persone visita questi luoghi indirettamente attraverso qualche raro documentario televisivo con "accesso esclusivo": non è questo il caso del nostro gruppo di amici. Nel corso degli ultimi anni, siamo penetrati in piena notte in queste costruzioni. Nel cuore urbano, immersi nelle tenebre, abbiamo eluso il controllo e raggiunto la cima dei grattacieli, uno dopo l'altro, fin quando, l'anno scorso, siamo stati i primi a scalare la più alta torre della comunità europea: lo Shard. È stata una sorpresa constatare che dopo tutte le nostre imprese 'esplorative' — avere violato la cabina di controllo della Battersea Power Station, stazioni della metropolitana abbandonate, il London Mail Rail e altri enormi rifugi urbani — sia stata questa ricognizione ad avere destato maggiore interesse. I gesti estremi incoraggiano il sensazionalismo dei media: il più alto, il più profondo, il più lungo e via dicendo. La stampa definisce lo Shard "l'Everest urbano" e lo ha messo in relazione con le prossime Olimpiadi 2012, correlandolo al tema della 'sicurezza' e dello "sport urbano". La risposta dei servizi addetti alla sua sicurezza è stata un'annoiata dichiarazione secondo cui la sua protezione era stata 'rafforzata'. La società immobiliare e l'architetto Renzo Piano hanno probabilmente gioito di questa pubblicità gratuita e si sono fatti quattro risate. La reazione più interessante, a mio avviso, non è stata quella dei media o dell'azienda immobiliare, ma quella dei londinesi.

Garrett a Aldgate East, sulla gru di un edificio in costruzione apparentemente abbandonato. Photo Bradley L. Garrett e Hount

Di tutti i commenti ricevuti, due mi hanno fatto davvero piacere. Il primo è quello di un banchiere che ha scritto: "Ragazzi, ho lavorato davanti al London Bridge per anni e l'ho visto nascere. Lo guardavo e mi sono sempre chiesto che aspetto potesse avere dall'alto in basso. Ora tutte le mattine guardo lassù e mi sudano le mani. Mi viene da ridere. Grazie!". Il secondo commento è stato quello di una mamma di quattro bambini: "Ho visitato il vostro sito dopo avere saputo da bbc News della vostra impresa… Mi piace questa storia. Sono felice della vostra esistenza". Naturalmente, qualcuno ci ha definiti idioti e vandali. La gente o ci ama o ci odia, ma la maggioranza dei feedback ricevuti è assolutamente incoraggiante. L'attenzione che abbiamo ricevuto dai media dopo questa vicenda è stata notevole. Molti esploratori urbani ritengono che la nostra pratica debba restare ai margini: una botta di adrenalina egoistica e ombelicale. Io non sono di questo parere. Le esperienze e le scoperte che facciamo in città meritano di essere condivise proprio perché risvegliano commenti come quelli sopra citati. Le persone sono oberate di lavoro, stanche, annoiate e apatiche. Sono frustrate da governi, corporations, banche e dal proprio impiego. La nostra ricerca li toglie da questa banale orizzontalità capitalista (anche per pochi momenti) e li eleva in un reame urbano verticale, dove l'impossibile diventa possibile: sia al di sopra, sia al di sotto del terreno. Bighelloniamo sulle rive di fiumi sotterranei, fluttuiamo tra le nuvole, percorriamo binari di treni e troviamo luoghi persi da tempo.

La stampa definisce lo Shard 'l'Everest urbano' e lo ha messo in relazione con le prossime Olimpiadi 2012, correlandolo al tema della 'sicurezza' e dello 'sport urbano'. La risposta dei servizi addetti alla sua sicurezza è stata un'annoiata dichiarazione secondo cui la sua protezione era stata 'rafforzata'.
Garret sulla cima del King’s Reach, una torre di 111 metri nel quartiere londinese di Southwark. Progettata da Richard Seifert, fu completata nel 1972. Photo Bradley L. Garrett

È possibile leggere dell'importanza storica delle fogne o della magnificenza ingegneristica di un grattacielo, ma non c'è niente di paragonabile all'esperienza di viverle in prima persona, di immergersi nelle storie di quei siti. Non tutti sono interessati a fare le cose che facciamo noi (né noi vogliamo che lo siano), ma nel comunicare che può essere e che è stato fatto cominciamo a riscrivere le nostre nozioni su cosa sia ancora possibile in un'epoca di apparente costante sorveglianza. Ricominciamo a rielaborare i confini della città conosciuta e a sfidare la gente a pensare perché è stato loro negato l'accesso a certi luoghi. Più mettiamo in discussione il condizionamento sociale che ci tiene in gabbia, più questo condizionamento appare ridicolo. Per essere chiari, la barriera concettuale nei confronti di certi luoghi delle nostre città è generata da processi di esclusione programmati. Mentre lo sviluppo e il cambiamento orizzontale sono visibili, visitabili e incidono sulle nostre vite (un esempio è l'aumento del traffico dovuto all'estensione delle linee di trasporto), di frequente ci sentiamo tagliati fuori dall'espansione verticale perché questi spazi, in particolare i grattacieli, non sono costruiti per noi, ma per le élite: l'uno per cento della popolazione, i banchieri, gli uomini d'affari. Nel caso dello Shard, gli appartamenti compresi tra il 53° e il 65° piano costeranno da 3 a 5 milioni l'uno. Nonostante, di tanto in tanto, siano fatte delle concessioni — come l'inclusione di piattaforme di osservazione pubblica sullo Shard — di solito l'ingresso (come nel caso del London Eye) è consentito a chi è in grado di pagare cifre non indifferenti. Queste piattaforme hanno inoltre entrate esclusive che impediscono l'accesso dei visitatori ad altre aree dell'edificio. È evidente che questi spazi verticali, benché facciano parte in modo imprescindibile del processo di formazione urbana, non sono costruiti per noi.

Yaz e Garrett all’interno della rete fognaria sotto la stazione della metropolitana di Stockwell. Photo Photo Otter, Yaz e Bradley L. Garrett

Nell'intrufolarci là dentro a scattare fotografie da condividere con gli abitanti della città, cominciamo a rendere pubblici gli spazi privati, a democratizzare l'architettura oligarchica, a ridare umanità e vivacità agli astratti spazi delle aziende private, a restituire le infrastrutture pubbliche al pubblico che ne finanzia la manutenzione con le tasse. Lo facciamo per amore: amore per l'architettura, amore per la narrazione storica e amore per l'esperienza di essere in prima linea nel testimoniare l'inarrestabile processo di mutazione di Londra. Noi coltiviamo la città creativa che il denaro non può comprare. L'esplorazione urbana potrebbe sembrare, grazie all'attuale elevata copertura mediatica, qualcosa di nuovo. Lasciate che vi rassicuri: non è così. Il desiderio di esplorare l'ambiente in cui viviamo è connesso, e lo è sempre stato, al nostro sistema di esseri curiosi, passionali, indiscreti. Sia che scaliamo picchi innevati, che ci immergiamo nelle profondità marine, che scaviamo alla ricerca di edifici preistorici o che penetriamo nei condotti di ventilazione delle gallerie della metropolitana, il desiderio di esplorare fa parte di noi. In qualunque luogo una porta sia chiusa, troveremo il modo di aprirla. In qualunque luogo la storia sia sepolta, troveremo il modo di riportarla alla luce. In qualunque luogo l'architettura sia esclusiva, troveremo il modo di liberarla.

Bradley L. Garrett @Goblinmerchant, ricercatore, esploratore e fotografo

L’”esploratore urbano” Winch all’interno dei condotti della fognatura del River Tyburn. I membri del gruppo di Garrett usano dei soprannomi per non essere identificati dalle autorità. Photo Winch e Bradley L. Garrett