Negli ultimi anni, a Medellín, Colombia, numerosi interventi di architettura pubblica hanno trasformato radicalmente il paesaggio urbano. Questi progetti non solo rappresentano il prodotto dell'eccellente lavoro indipendente dei loro autori, ma – e questo è ancora più interessante – sono uniti da un legame invisibile: un tacito accordo tra progettisti appartenenti a generazioni e provenienze diverse, oggi tutti impegnati ad aiutare la città colombiana a sfruttare al meglio la lungimiranza delle recenti amministrazioni comunali. Queste ultime, dal canto loro, hanno individuato nell'architettura di qualità un motore per la trasformazione sociale e un fattore in grado di rendere la città un contesto urbano più socialmente equo.

Un buon esempio del modo in cui è stato costruito il nuovo spazio urbano di Medellín e del funzionamento della rete di architetti che lo stanno progettando può essere individuato nell'Orquideorama, un insieme di padiglioni costruito per l'orto botanico comunale, oltre che nel Palasport e nel polo natatorio, inaugurati in occasione della nona edizione dei Giochi Sudamericani. Responsabili di questi progetti sono tre gruppi che hanno già lavorato insieme. Felipe Mesa di Plan:B Arquitectos, per esempio, ha collaborato con Camilo Restrepo e con Giancarlo Mazzanti e sta realizzando un libro insieme a Paisajes Emergentes. Questi ultimi hanno progettato una mostra con Restrepo e presentato proposte insieme a Mazzanti, il quale, a sua volta, conta collaborazioni con tutti gli autori precedenti. Questo è solo un esempio dei legami che intercorrono tra un nutrito gruppo di architetti locali, una rete sostanzialmente spontanea tra colleghi con interessi affini, nata intorno a idee su Medellín e l'architettura. Una sorta di intelligenza collettiva che va oltre associazioni e organizzazioni e sulla quale poggia un numero non insignificante di eventi che hanno per teatro Medellín e altre città.

I tre progetti in questione – l'Orquideorama, il Palasport e il polo natatorio – hanno contribuito, inoltre, ad aprire le porte di alcune aree che, in precedenza, rappresentavano delle enclave private, rendendole così accessibili al grande pubblico. Queste tre iniziative architettoniche formano scenari possenti, capaci di interpretare con sguardo fresco le caratteristiche geografiche e ambientali di una città tropicale, senza impantanarsi, allo stesso tempo, in metafore ingenue o in un vuoto intellettualismo. I rapporti tra l'Orquideorama e il Palasport appaiono molto chiari: entrambi agiscono come tettoie o ripari, mentre la vita urbana scorre con naturalezza tra di essi e in rapporto a programmi d'uso predefiniti. Per quanto le condizioni di entrambi i concorsi specificassero la richiesta di edifici riconducibili al formato scatola/contenitore, nei due casi gli architetti hanno prodotto qualcosa di più vicino all'idea di organismo vegetale: le due strutture derivano da paralleli tentativi di rifarsi agli schemi organizzativi dei sistemi viventi.

Nel modo in cui è concepita, l'architettura dell'Orquideorama segue due modelli – la foresta e il suo fogliame e l'efficienza esagonale dell'alveare – ed è costruita accanto agli alberi dell'orto botanico. Più che una massa o un volume immutabile, l'Orquideorama si presenta come un mazzo di fiori enormi, o ancora come un gruppo di alberi di metallo coperti da barre lignee che, visto da uno dei sei lati, crea una superficie irregolare attorno al suo perimetro, simile a quella delle foglie di una pianta. Questi nuovi 'alberi' amplificano l'atmosfera del giardino, filtrano la luce, attirano l'acqua e aprono in orizzontale il paesaggio dell'orto botanico. Il padiglione, appartenente all'area lasciata a bosco e a giardino, è in grado di espandersi o contrarsi all'interno di questo stesso spazio e di sostenere la vita delle piante.

Anche nel Palasport è presente un doppio motivo, con una brezza che spira in orizzontale attraverso la struttura verso la montagna. Il visitatore si trova di fronte a uno schema di sbarre collocate a distanza ravvicinata, strisce a livello del pavimento e superfici orizzontali che si trasformano in linee. Queste ultime si librano nell'aria, fluttuando da una parte all'altra, come fossero fibre di un tessuto più vasto e invisibile. Il progetto diventa un convettore di raggi, linee di forza o vettori che si riuniscono sotto una struttura di protezione. Allo stesso tempo, tuttavia, il prospetto è un profilo montuoso che combina scheletro e muscolatura. Interno ed esterno sono collegati, formando un corpo continuo, privo di precise demarcazioni. All'interno, le linee si gonfiano senza perdere fluidità o contatto con l'esterno. Questa specie di riparo controlla l'ombra, la luce, l'ingresso di acqua piovana e l'addizione o l'espansione del volume. Dal punto di vista formale, il Palasport si presenta come una protrusione che si solleva dal suolo, ma anche come un accogliente riparo flottante: tra di loro, questi motivi danno vita a un ardito equilibrio tra disintegrazione e crescita. Entrambi i progetti sono organismi, strutture in attesa di espandersi, cambiare, rimpicciolirsi, ripetersi, smembrarsi, morire: motivi che possono essere amplificati e collegati senza perdere la loro profondità. Sono esemplari di architettura che mantengono la loro forma in sospensione, che pensano già ai loro nuovi utenti e alle loro attività, estendendo perciò la loro funzione. Diventando sempre più vitali e latenti.

Il polo natatorio, per quanto molto diverso, funziona in modo simile. La sua architettura lo libera dal suolo, da cui si stacca per mezzo di rampe, basamenti, cortili e passaggi sotterranei, mentre l'unico volume che emerge dal terreno è il sostegno delle tribune. Il complesso rimane sotto la superficie dell'acqua e dei giardini, creando spazio per mezzo di una serie di passerelle attentamente studiate, nelle quali ogni movimento è stato pianificato. L'architettura del centro per gli sport acquatici è sommersa e nascosta dietro l'acqua, sotto il livello del suolo, da cui spunta a malapena. Questa è un'architettura semi-sotterranea, al punto che il progetto fa pensare a un'opera di Land Art, con la sua struttura simile a solchi nel terreno, percorsi sui quali si può camminare e ci si può perdere. Gli interni sono spazi interrati appena definiti, con pareti rivestite d'acqua, cemento irregolare, spazi acquei e vetrosi. Occupare questo spazio, un mondo sotterraneo, alcune parti del quale si protendono a raggiungere il livello stradale, diventa un rituale. Tuttavia, questa disposizione di rapporti implica un'intenzione che spiazzerà l'acqua, sommergerà le piscine, farà uso dei giardini, invaderà i cortili sotto il livello del suolo o si alzerà per contemplare dall'alto. Piuttosto che guardare le gare in un cubo d'acqua, gli spettatori sono collocati in una posizione tale da permettere loro di spingere lo sguardo oltre il paesaggio acquatico: una piccola Atlantide riscoperta.

Questi tre progetti sono basati su un singolo principio condiviso: che l'ordine stabilito dall'architettura sia in grado di generare nuovi modi di vivere. Miguel Mesa R.