Tezuka Architects. Sub-zero sanctuary

Costruito come un sottomarino, il Museo delle scienze naturali di Echigo-Matsunoyama sfida i rigori di una delle località climaticamente più estreme del Giappone. Del resto, Tezuka Architects, marito e moglie, considerano gli stessi fenomeni naturali un materiale essenziale per la loro architettura. Fotografia di Katsuhisa Kida. A cura di Joseph Grima
 
Il Museo delle scienze naturali di Echigo-Matsunoyama si erge sul placido declivio di una collina come un cobra in posizione d’attacco, la coda attorcigliata attorno a un minuscolo cortile ricavato tra i laboratori e la caffetteria, mentre la torre di osservazione vigila attenta sulla valle sottostante. Il parcheggio spiraliforme, opera dell’artista Tadashi Kawamata, si avvolge intorno al cortile frontale del museo, guidando i visitatori verso l’entrata. Per chiunque visiti questo bucolico angolo della prefettura di Niigata in un tiepido pomeriggio autunnale è difficile trovare una giustificazione alle 2.500 tonnellate di acciaio COR-TEN che formano l’epidermide e la struttura dell’edificio, ed è probabile che il tutto venga semplicemente liquidato come un ghiribizzo scultoreo dell’architetto.

Ma il visitatore che faccia ritorno nei primi giorni di gennaio si troverà dinanzi a uno scenario molto diverso: la strada che porta al museo, tenuta aperta grazie agli spazzaneve, sarà fiancheggiata da muri di neve alti cinque metri, e l’unico segnale di vita proverrà dal debole scintillio della luce che filtra oltre la candida coltre nevosa attraverso le estremità superiori dei grandi pannelli in acrilico delle finestre. Il museo rappresenta il più grande progetto finora completato da Tezuka Architects, studio guidato dai coniugi Tezuka, con base a Tokyo. Yui Tezuka proviene da studi al Musashi Institute of Technology e al Bartlett di Londra, dove fu allieva di Ron Herron, mentre Takaharu Tezuka, dopo aver conseguito un Master alla University of Pennsylvania nel 1989, ha lavorato per quattro anni nello studio di Richard Rogers - un’esperienza che aveva quasi convinto la coppia a trasferirsi a Londra in pianta stabile.

Tuttavia, nel 1994, l’imprevista commissione per la costruzione di un ospedale a Soejima ha fornito alla coppia l’opportunità e lo slancio per iniziare ad affilare gli artigli e affrontare come studio indipendente la scena giapponese del “dopo-boom”. Negli anni che hanno fatto seguito al completamento dell’edificio, così com’è accaduto per molti altri architetti della loro generazione, la maggior parte dei lavori dei Tezuka va cercata nel campo dei piccoli progetti di edilizia residenziale, a cui va aggiunta l’occasionale commissione di media grandezza (un condominio per musicisti, uno showroom della Toyota a Hiroshima). In quel periodo, la politica governativa mirata ad aumentare sia la percentuale delle case di proprietà sia la densità dei centri urbani ha portato a una grande espansione nazionale nella costruzione di abitazioni unifamiliari, mentre i pochi progetti su larga scala venivano affidati ai grandi nomi del settore.

Ma i Tezuka, anziché lasciarsi prendere dallo sconforto, hanno visto in tali piccole commissioni, basate su fondi ridotti e dal limitato impatto, l’opportunità di sviluppare un approccio altamente professionale verso un processo di progettazione sostenuto dalla convinzione che l’architettura debba derivare dall’osservazione del comportamento umano o dalla manifestazione dei fenomeni urbani piuttosto che dal semplice desiderio di produrre delle forme. Consideriamo, per esempio, la Roof House in Hadano, vicino a Tokyo. Si tratta di un esperimento programmatico concepito in base alla richiesta, da parte del cliente, di poter pranzare e cenare sul tetto: tuttavia il design spinge il concetto molto più in là, trasformando la copertura dell’edificio nel principale spazio comune della casa, un piano raggiungibile dal soggiorno e dalle camere da letto di ciascun membro della famiglia. In tal modo il FAR (rapporto tra superficie calpestabile e area del lotto) risulta raddoppiato, il tutto con costi supplementari molto ridotti – un risultato non trascurabile in una città affamata di spazio come Tokyo.

Alla Roof House, così come ad altri progetti, non sono comunque mancati i detrattori, non ultimi alcuni esponenti della nomenclatura giapponese, i quali hanno accusato i Tezuka di trattare con eccessiva noncuranza i seri principi dell’architettura e di servirsi di abili trovate per attirare i riflettori della stampa popolare. Ma la subitanea e singolare notorietà che la Roof House si è guadagnata tra il pubblico giapponese va attribuita, secondo la coppia, al proprio desiderio di impiegare il linguaggio della vita quotidiana per creare, in termini semplici, un’architettura che possa essere capita e apprezzata da tutti, non soltanto da un’elite. In ogni caso, il grado di popolarità raggiunto dai Tezuka è tale che nel 2003 essi sono apparsi in uno spot televisivo per la Toyota, e poco dopo tra la loro abitazione e lo studio è stato girato un documentario che copre un anno della loro attività.

Questo interesse pubblico, per inciso, non ha minimamente compromesso il loro lavoro: tra il 1998 e il 2003 lo studio ha completato quaranta progetti per abitazioni. Il cambiamento di scala, in parte per la controversa accoglienza tributata alla Roof House, si è tuttavia dimostrato una sfida. Il grande salto è avvenuto quando i due sono stati nominati vincitori del concorso per il nuovo Museo delle scienze naturali di Echigo-Matsunoyama, scelta effettuata da una giuria di cui facevano parte, tra gli altri, Kazuyo Sejima, Jun Aoki e Kazuhiro Kojima. La genesi del progetto si deve a Furamu Kitagawa, il coordinatore della Triennale d’arte di Echigo Tsumaari, che ha svolto un ruolo determinante anche nell’ottenere fondi governativi per altri edifici portati a termine nella regione del Niigata, tra cui il Centro della Cultura Rurale di Matsudai firmato MVRDV.

Progetti che rappresentano un tentativo di iniettare nuova vitalità artistica in aree rurali fondamentalmente prive di strutture culturali, ma parte anche di una visione a lunga scadenza mirata ad aumentare la conoscenza e la comprensione di un paesaggio il cui declino e le cui ferite sono il frutto delle troppo tolleranti leggi di pianificazione promulgate nei decenni seguenti al periodo di “rapida crescita economica” degli anni Sessanta.

Il Museo delle scienze naturali di Echigo-Matsunoyama porta il segno distintivo della scuola di pensiero high-tech, ma solo in quanto edificio concepito intorno alle sue prestazioni strutturali. Qui non c’è traccia del compiacimento quasi ornamentale nell’esibire elementi strutturali sobri e finemente costruiti così frequente in Europa, ma si tratta piuttosto di una forma semplice, realizzata sulle specifiche pseudo militari di un sottomarino. Questa scelta si basa tuttavia su delle buone ragioni: il museo infatti non è concepito come un contenitore elegante, esercizio di estetica per sé, ma quale veicolo per offrire al pubblico nuove maniere per confrontarsi con la rigidità del clima.

In inverno la neve raggiunge infatti i cinque metri e mezzo di altezza, avvolgendo quasi completamente l’edificio, e le falde che si accumulano sul tetto arriverebbero quasi a coprirlo totalmente se non fosse per la torre di osservazione, che svetta come un faro dagli scogli. Con l’andare dell’inverno la temperatura, scendendo fino a -20°C, trasforma le falde di neve in enormi blocchi di ghiaccio che attanagliano la superficie esterna, esercitando una pressione che raggiunge i 1.500 Kg/m2 e, contraendosi e scivolando lungo il fianco della montagna, forzano la struttura in direzioni del tutto imprevedibili.

E non si tratta che del primo aspetto della questione: in estate, la regione di Niigata diventa la zona più calda del Giappone, con temperature che salgono regolarmente a 45°C e che portano l’epidermide dell’edificio a toccare i 70°C: questa escursione di 90°C tra estate e inverno è sufficiente a causare un’espansione di venti centimetri nella lunghezza dell’edificio. Gli interni sono estremamente sobri, si potrebbe parlare persino di una frugalità nel design. Non ci vuole molto però ad accorgersi che ciò è funzionale a evidenziare l’intento del museo di creare un rapporto con l’ambiente esterno, trasformandolo nel suo principale oggetto d’esposizione.

In tal senso, la linea di veduta è stata sviluppata come dispositivo per generare continuità fra interno ed esterno: ognuno degli spazi a tunnel, di sezione trapezoidale, termina con una finestra a tutta altezza, proporzionata alla vista panoramica, che costringe inevitabilmente lo sguardo a fermarsi all’esterno. La transizione visiva tra un interno climaticamente controllato e le condizioni estreme dell’esterno risulta innaturalmente fluida, e crea un singolare effetto, amplificato dalla sorprendente trasparenza dei pannelli in acrilico alti quattro metri (il più grande dei quali pesa quattro tonnellate ed è costato circa € 300.000). Nella stagione invernale, le finestre diventano degli elementi divisori che trasformano le delicate stratificazioni nevose in uno spettacolo aperto a tutti.

È speranza dichiarata degli architetti che questo sia un edificio la cui vita verrà misurata in secoli più che in decenni: “Se non prendi in considerazione il modo in cui i tuoi edifici invecchiano, tra dieci anni non ti troverai più di fronte agli stessi edifici che tu hai progettato”, Takaharu Tezuka dichiara di rammentare spesso ai suoi studenti. Una specie di paradosso, possiamo dire, in un paese dove l’abitazione di recente costruzione viene abbattuta in media dopo soli ventidue anni. Ma se diamo un’occhiata ai primi lavori di Arata Isozaki, vediamo pochi esempi migliori del concetto di qualità: edifici che dopo anni di uso quotidiano conservano la vitalità e la freschezza dei primi giorni.

Un ovvio riferimento per una nuova generazione di architetti che cercano di contrastare gli effetti di un paesaggio fatto di edifici usa e getta. I Tezuka sostengono di non occuparsi di ricerca, non almeno nel senso di architetti che affrontano studi teorici del settore o producono mappe su larga scala dei fenomeni urbani alla ricerca di punti di possibile sviluppo. Tuttavia, sotto ogni loro progetto è possibile percepire una viva comprensione del comportamento umano in relazione allo spazio circostante, un’incessante osservazione delle complessità del quotidiano.

Tezuka Architects
Lo studio Tezuka Architects, fondato a Tokyo nel 1994 da Takaharu e Yui Tezuka, impiega oggi stabilmente uno staff di quattordici persone. Tra i progetti attualmente in costruzione vi sono la scuola Adachi Gakuen, a Tokyo, il cui completamento è previsto nel 2005, e l’asilo Fuji, che verrà ultimato nel 2007. Takaharu Tezuka inoltre insegna progettazione al Musashi Institute of Technology. Tra i progetti già completati compaiono la Balcony House, nella quale uno sbalzo di 3,6 metri in ogni piano permette di offrire una vista non ostruita da colonne e far sì che la zona giorno sia aperta sull’esterno, e la Roof House (2001, foto in alto), che nonostante un budget inferiore a € 200.000 è diventata uno dei loro lavori più conosciuti. Il tetto della casa è inclinato con un rapporto di 1:10, ed è collegato agli spazi abitativi sottostanti tramite lucernari e scale. È dotato di un tavolo e sedute, ed il piccolo muro che lo protegge sorregge anche un lavello ed una superficie di lavoro. Il profilo del tetto è particolarmente sottile grazie all’uso di due strati di compensato strutturale, che rivestono una struttura in assi di legno a sezione quadrata da 105 mm.
Viste dall’alto, le 2.500 tonnellate di acciaio COR-TEN che formano la struttura si stagliano sul verde scuro dei boschi circostanti
Viste dall’alto, le 2.500 tonnellate di acciaio COR-TEN che formano la struttura si stagliano sul verde scuro dei boschi circostanti
I lavori di costruzione sono stati affidati quasi interamente a manodopera locale, impiegando un abitante su tre del villaggio più vicino
I lavori di costruzione sono stati affidati quasi interamente a manodopera locale, impiegando un abitante su tre del villaggio più vicino
Il lato nord del museo in estate
Il lato nord del museo in estate
Il lato nord del museo in inverno
Il lato nord del museo in inverno
Le finestre in acrilico, spesse 75 millimetri, mettono in mostra i cinque metri di neve che cadono normalmente nella regione di Niigata
Le finestre in acrilico, spesse 75 millimetri, mettono in mostra i cinque metri di neve che cadono normalmente nella regione di Niigata
Il più grande dei quattro pannelli in acrilico ad alta trasparenza misura 4 x 14 metri, pesa 4 tonnellate ed è costato circa 300,000 euro. Come il guscio in COR-TEN dell’edificio, questi pannelli sono progettati per sopportare pressioni pari a 1.500 kg/m2
Il più grande dei quattro pannelli in acrilico ad alta trasparenza misura 4 x 14 metri, pesa 4 tonnellate ed è costato circa 300,000 euro. Come il guscio in COR-TEN dell’edificio, questi pannelli sono progettati per sopportare pressioni pari a 1.500 kg/m2
I viottoli che serpeggiano intorno all’edificio e attraverso i boschi circostanti sono opera dell’artista Tadashi Kawamata
I viottoli che serpeggiano intorno all’edificio e attraverso i boschi circostanti sono opera dell’artista Tadashi Kawamata
Una struttura di travi in acciaio funge da supporto alla conchiglia in acciaio COR-TEN; per unire tutti i pannelli in un’epidermide continua, sono serviti dodici chilometri di saldature. Data l’assenza di giunti a espansione, in estate, con temperature che raggiungono i 45°C, la lunghezza dell’edificio aumenta di venti centimetri
Una struttura di travi in acciaio funge da supporto alla conchiglia in acciaio COR-TEN; per unire tutti i pannelli in un’epidermide continua, sono serviti dodici chilometri di saldature. Data l’assenza di giunti a espansione, in estate, con temperature che raggiungono i 45°C, la lunghezza dell’edificio aumenta di venti centimetri
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