Oggi sembra molto più difficile trovare architetti convincenti in Germania, la maggiore potenza economica d’Europa e nazione dalla ricca cultura architettonica, di quanto non lo sia in paesi significativamente più piccoli come la Svizzera, la cui popolazione ammonta a un decimo di quella del suo grande vicino.
I tedeschi sanno dunque produrre automobili e buona musica, ma che dire dell’architettura? Per questo, ci si chiede se aver affidato a Norman Foster il restauro del Reichstag dia la misura del senso di sicurezza di una società, soddisfatta di trattare un progetto di tale importanza nazionale in modo così aperto: o non sia piuttosto una prova della mancanza di un architetto tedesco con una credibilità pari all’importanza dell’incarico.
A dispetto della presenza di una vibrante giovane generazione, è impossibile non essere colpiti dalla scarsa visibilità internazionale degli architetti tedeschi. La maggior parte di questi, a quanto pare, anziché unirsi al circo itinerante di architetti in perpetuo jet-lag, lavora esclusivamente nel proprio paese: ma questo può derivare dal fatto che gli architetti tedeschi, per ottenere commissioni, non hanno bisogno di guardare oltre i confini del loro paese, data la congrua disponibilità di clienti in Germania.
In un certo senso, anche Oswald Mathias Ungers è un tipico esempio di tale fenomeno. Tutte le sue costruzioni, infatti, si trovano in territorio tedesco, e persino l’unico progetto completato all’estero – la residenza dell’ambasciatore tedesco a Washington – occupa tecnicamente suolo germanico. Eppure Ungers è un professore di architettura di chiara fama e reputazione internazionale, titolare di cattedre ad Harvard e alla Cornell University: la sua più nota ossessione, la connessione razionalista di forme stereometriche, e il concetto di architettura come questione strettamente filosofica, dimostrano peraltro che si può ottenere un reale riconoscimento internazionale senza far parte della pattuglia dei girovaghi dell’architettura.
In un edificio di Ungers non si troverà certamente mai nulla di superfluo, perché il suo perseguire la verità nelle forme esclude ciò che è inutile o frivolo. Per lui l’architettura è una cosa seria, che si manifesta in edifici seri. Il suo ultimo progetto a Brema, un complesso di due costruzioni per una sede staccata del locale politecnico, non fa eccezione. L’ambiente non si prestava facilmente a ospitare edifici di carattere accademico: il sito è ubicato a fianco del modesto aeroporto della città, tra palazzi per uffici e parcheggi multipiano, e la scelta di situare il complesso di Ungers in un’area di questo tipo è in parte dovuta al facile accesso che essa offre alle società aerospaziali basate nella zona.
Eppure non si tratta esattamente di un luogo perduto in mezzo al nulla. Al contrario, il sito è in mezzo a qualcosa, ma a qualcosa che non ha nessuna delle caratteristiche di un centro urbano. Quando si costruisce in un luogo del genere, si può guardare al tentativo di stabilire una relazione contestuale come a una sfida; l’alternativa è abbandonare tale aspirazione fin dal principio, ossia dimenticare il contesto e creare un mondo indipendente. Il che rappresenta una risposta altrettanto valida alla mancanza di connessioni di un ambiente del genere: a Brema, Ungers ha optato per quest’ultima soluzione. Il complesso è diviso in due edifici paralleli. Il più grande, affacciato sulla strada, è il Zentrum für Informatik und Medientechnologie (ZIMT), che offre spazi per l’insegnamento e la ricerca a circa 800 studenti. Dietro ad esso è ubicato il gemello più piccolo, il Gründerzentrum Airport, che funge da ‘incubatore’ per nuove società fondate daegli ex allievi del politecnico. Tra i due edifici, uniti al pianterreno da un passaggio pedonale coperto, c’è un vialetto a tre corsie: l’unico segnale di vita urbana – per quanto modesto – nell’intero sito.
Ungers è noto per la sua irriducibile fedeltà allo spazio cubico, e tutto quello che progetta si basa sul quadrato. Tuttavia, a Brema ha pensato di fare qualcosa di nuovo: infatti ha scoperto la curva. Il profilo esterno della struttura riflette la curva della strada lungo cui è costruita, e ciò ha offerto la possibilità di tornare al concetto di anfiteatro, quasi di catturare un segmento di circo massimo. La curva finisce così per essere l’elemento che definisce il progetto, tanto che non vi è una singola stanza che sia completamente rettangolare. Entrando nel primo edificio, si incontra un foyer che si sviluppa su tre livelli, e che a prima vista può ricordare l’ampliamento rigorosamente ortogonale della Kunsthalle di Amburgo, realizzato da Ungers nel 1996. È sufficiente però una seconda occhiata per rendersi conto che, man mano che ci si inoltra, lo spazio si restringe leggermente. Sembra tuttavia un peccato che Ungers abbia scelto di non far filtrare la luce del giorno attraverso il tetto, perdendo l’occasione di usare questa geometria per dare al foyer un senso di maggiore ariosità. Con 6.500 metri quadrati su cinque livelli, l’edificio per la ricerca e l’insegnamento supera di oltre tre volte la grandezza della seconda struttura, che ha solo tre piani. Quest’ultima, di conseguenza, è priva del tetto a terrazza che amplia notevolmente la lunghezza interna del quarto piano del fabbricato più grande: e offre una bella vista verso l’aeroporto (ma anche su un posteggio multipiano, stranamente fuori posto). In modo accorto, Ungers ha nascosto gli impianti per il riscaldamento e la ventilazione sotto una tettoia metallica all’ultimo piano: l’edificio risulta così piacevole a vedersi, sia a distanza sia dall’aereo, mentre sulla cima della costruzione è collocata una piccola piattaforma per esperimenti all’aperto.
Per la facciata Ungers ha impiegato un solo elemento, il mattone, del tipo noto qui come Bockhorner Klinker. Si tratta di un tipo di laterizio che fa autenticamente e molto chiaramente parte della tradizione costruttiva locale. Ungers lo ha usato in una versione smaltata che offre maggior durata: la sua uniformità fa da complemento a quella delle finestre, che sono di misura identica su ogni facciata e su ogni piano. Ad entrambe le estremità, i due edifici presentano lati rivestiti con lo stesso tipo di mattone, ma qui ogni piano è accentuato da una fila di mattoni composti verticalmente, per inserire un elemento più espressivo. Nel produrre un edificio tanto imponente, per quanto serio, Ungers ha dato la sua risposta all’ansiosa domanda: “Cosa costituisce l’architettura genuinamente tedesca?”.







Time Space Existence: l'Architettura del Futuro a Venezia
Fino al 23 novembre 2025, Venezia è il centro del dibattito architettonico globale con "Time Space Existence". La mostra biennale, promossa dall'European Cultural Centre, presenta progetti da 52 paesi focalizzati su "Riparare, Rigenerare e Riutilizzare" per un futuro più sostenibile.