Quando il design è sopravvivenza umana

Paola Antonelli riflette sull’interrotto rapporto tra uomo e natura, che sarà il tema della sua XXII Triennale di Milano.

Revital Cohen e Tuur Van Balen, “75 Watt”, 2013

Leggi l’articolo completo sulla Innovation issue di Domus, in allegato con il numero di marzo 2018.

Riparare l’equilibrio tra umanità e natura è uno dei quesiti posti al design contemporaneo. È un rapporto che si gioca su diverse scale: dal microbioma al cosmo, dagli oceani agli insetti, includendo le comunità umane. Questi legami non riguardano soltanto le risorse naturali e l’ambiente, ma anche le sfere dell’etica e della politica. I designer sono chiamati ora a riparare ora a creare nuovi ponti tra persone e discipline. “Broken Nature” è il titolo della XXII Triennale di Milano (1 marzo – 1 settembre 2019) curata da Paola Antonelli che, con quest’iniziativa, intende offrire strumenti critici per guardare al futuro con una diversa consapevolezza. La ricerca e la testimonianza della curatrice per l’architettura e il design al MoMA di New York sono l’occasione per riflettere sul ruolo del design nella ricerca di un nuovo equilibrio. (…)

Al design è chiesto di ristabilire il rapporto con la natura a tutte le scale. Come può essere gestita questa complessità? E come si sta trasformando la metodologia progettuale?
Il design ha sempre avuto un’attitudine progettuale di squadra, finalizzata alla creazione di gruppi di lavoro che si occupano delle questioni più urgenti. Da sempre, ha alla base un intento sociale e politico. Il vero cambio di paradigma oggi, sta nell’unire il tema del sociale alla biologia, e nell’ampliarne lo spettro di azione, per esempio passando dalla comunità umana al microbioma. Come evidenzia Neri Oxman nel suo modello per un Krebs Cycle of Creativity, design, arte, ingegneria e scienza si alimentano a vicenda. I progettisti che ammiro di più oggi sono quelli che stimolano ed educano il mondo all’attività interdisciplinare. Perché credo che anche le soluzioni di problemi complessi debbano essere complesse.

L’interdisciplinarietà e il cambiamento degli obiettivi nel design darà origine anche a nuove competenze. Qualche esempio?
Ci sono alcuni progettisti come i Formafantasma che in ogni lavoro tentano di evidenziare criticamente la necessità di recuperare il rapporto con la natura collegando ecologia e manualità. Revital Cohen e Tuur Van Balen usano gli oggetti per svelare i paradossi e i percoli di alcune attività umane. Neri Oxman trasforma in algoritmi i comportamenti naturali che divengono metodi produttivi e manifatturieri. Hilary Cottam si occupa di nuove dinamiche sociali ispirate dagli strumenti del digitale. Ci sono discipline che meglio si integrano con il design come la biologia, le scienze naturali e l’entomologia, o quel ramo dell’informatica che si occupa dell’intelligenza artificiale. Il biodesign è un nuovo campo, non tanto perché il design non si sia occupato di biologia, quanto perché i biologi sono diventati più ricettivi e partecipativi nella sperimentazione. Grazie anche al digitale e all’intelligenza artificiale, il design è oggi più vicino alla comprensione di come la natura progetta e costruisce. C’è però ancora troppo protezionismo nelle scienze. Se l’arte ha fatto breccia nello STEM (acronimo per scienze, tecnologia, ingegneria e matematica – discipline in cui il Governo degli Stati Uniti investe), trasformandolo in STEAM, mi auguro che presto possa essere aggiunto anche il design: STEAMD. La difficoltà sta nel fatto che il design è poco quantificabile e spesso viene malinteso. (…)

Foto di apertura: Revital Cohen e Tuur Van Balen, “75 Watt”, 2013

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