Tadao Ando: “Portagioielli metropolitani”

Nell’editoriale di febbraio il guest editor 2021 parla della necessità di produrre dichiarazioni critiche nei confronti delle istituzioni urbanistiche e di fare in modo che gli edifici agiscano come “emissari di uno spirito che non accetta compromessi”.

Per sopravvivere, gli esseri umani si sono riuniti in comunità e hanno costruito le città. L’attento esame dei nostri spazi condivisi consente di individuare, impresse nell’ambiente costruito, le memorie collettive delle differenti generazioni. Negli strati delle nostre città sono scolpite silenziose tracce della nostra vita di tutti i giorni, le espressioni del potere esercitato dalla classe dominante oltre che gli sforzi e gli insuccessi lasciati dagli idealisti del passato mentre cercavano di creare il futuro. La metropoli è l’incarnazione stessa della storia, coltivata e stratificata in un ‘luogo’.

Pertanto, ogni nuova architettura dovrebbe rispondere al paesaggio fisico, culturale e storico del ‘luogo’ tramite un dialogo contestuale. Ciò non si deve però tradurre sempre in progetti che si pongano in armonia o in conformità con l’ambiente: interventi audaci, che entrano apertamente in contraddizione con il loro contesto attraverso idiosincrasie invadenti, possono generare nuove interpretazioni della città. La cultura architettonica conta illustri precedenti che adottano questo approccio nella seconda metà del XX secolo, come il Centre Pompidou e il Grand Louvre, a Parigi.

Non sono comunque le dimensioni a far sì che un edificio abbia il potere di lasciare un segno sulla città, come ha dimostrato negli anni Sessanta l’architetto austriaco Hans Hollein con il Retti Candle Shop nel centro storico di Vienna e con altri progetti dalla scala modesta ma molto stimolanti.

Più questa critica sarà pura, più l’architettura che essa esprime sarà radicale, saprà sfidare l’ordinamento della società. Una rete di strutture critiche che superano questi conflitti può dare nuova vita all’ambiente costruito.

Forse, quello che conta è produrre dichiarazioni critiche nei confronti delle istituzioni urbanistiche esistenti e fare in modo che gli edifici agiscano come emissari di uno spirito che non accetta compromessi. Più questa critica sarà pura, più l’architettura che essa esprime sarà radicale, saprà sfidare l’ordinamento della società. Una rete di strutture critiche che superano questi conflitti può dare nuova vita all’ambiente costruito. Per me, il termine portagioielli simboleggia al meglio questa categoria di costruzioni. Il suo vero valore ‘contestuale’ non è determinato dal progetto del contenitore, ma dalla radiosità delle pietre preziose – gli esseri umani – che custodisce. In altre parole, ciò che più conta è che questi spazi stimolino le nostre pratiche creative e sociali.

Oggi, con le attività urbane che stanno cambiando drasticamente a causa dei progressi della tecnologia dell’informazione e il continuo aumento della separazione fisica tra le persone, quali tipi di portagioielli dovrebbero fare da stimolo alle nostre città? Quali gemme brilleranno al loro interno?

Immagine di apertura: Guggenheim di Bilbao, progettato da Frank O. Gehry & Associates nel 1997, lungo il fiume Nerviòn. Foto Christian Richters 

Speciale Guest Editor

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