La tradizione vuole che il guest editor si presenti con una dichiarazione di intenti. Questo mi porta a riflettere sul fatto che oggi viviamo in un futuro che le generazioni passate potevano immaginare solo nelle loro più ardite fantasie. Ciò che oggi diamo per scontato oltrepasserebbe di molto la loro comprensione e apparirebbe come qualcosa di magico.
Si sarebbe mai potuto credere che premendo un interruttore sarebbe stato possibile ottenere istantaneamente luce, calore o freddo, e persino cucinare senza accendere il fuoco? O che ruotando una manopola si potesse avere acqua corrente a portata di mano? O ancora, concepire l’idea di un bagno con servizi igienici moderni, o i miracoli della medicina odierna?
Tutta questa magia della nostra tecnologia attuale è per noi un lusso scontato, che spesso non sappiamo più nemmeno apprezzare. Tuttavia, in un modo o nell’altro, molto di ciò che ho descritto è attualmente inaccessibile a più di un miliardo di persone che vivono in insediamenti informali, circa un settimo dell’umanità1.
Dobbiamo cercare di separare le speranze, le mode e i pregiudizi dai fatti, per confrontarci con la realtà dei dati reali.
Per affrontare questa disuguaglianza, per far fronte alle necessità dei tre miliardi di persone in più che si prevede popoleranno il pianeta in futuro, e per preservare la qualità della vita per il resto di noi, abbiamo bisogno di un’enorme quantità di energia elettrica pulita. Quella sporca inquina e uccide: ogni anno, sette milioni di persone muoiono prematuramente a causa dell’aria inquinata, soprattutto bambini che bruciano legna, carbone o rifiuti animali per riscaldarsi e cucinare2.
Contrariamente alla percezione popolare, il nostro utilizzo di combustibili fossili è in aumento: solo il 10,5 per cento dell’energia globale è prodotta da energia solare ed eolica, che ha comunque bisogno del supporto dei combustibili fossili3,4. I veicoli elettrici che stiamo man mano adottando, con batterie spesso caricate con elettricità prodotta da una fonte inquinante (come oltre il 60 per cento della fornitura globale), sono in realtà veicoli inquinanti.
Mentre devastiamo il nostro prezioso ambiente naturale con un tappeto di pannelli solari dalla vita limitata e turbine eoliche rumorose e antiestetiche, ignoriamo fonti energetiche statisticamente più sicure, sostenibili, affidabili e infinitamente più discrete.
Come cercherò di chiarire nei numeri di Domus 2024, dobbiamo cercare di separare le speranze, le mode e i pregiudizi dai fatti, per confrontarci con la realtà dei dati reali.
Il nostro ambiente costruito è costituito da città e infrastrutture. Queste ultime sono il collante urbano dei singoli edifici: gli spazi pubblici, i viali, le strade, le piazze e i ponti, i terminal e le metropolitane che forniscono connessione. Insieme agli edifici, queste infrastrutture determinano l’identità, il Dna, la qualità della vita e l’impronta di carbonio della città.
Le città con la più bassa impronta di carbonio e la più alta qualità di vita sono compatte, percorribili a piedi e a densità medio-alta in termini di numero di abitanti per chilometro quadrato. È probabile che nei loro quartieri si possa svolgere una serie di attività diverse in spazi vicini tra loro, ben serviti da un trasporto pubblico efficiente. Sono l’opposto delle città tentacolari, che obbligano a usare l’auto.
Se ci rimettiamo al paesaggio naturale, come collochiamo l’oggetto creato dall’uomo, sia esso un gazebo, un grande edificio o un’enorme opera infrastrutturale?
Statisticamente, le città compatte sono il tipo di luogo che si sceglie più volentieri, sia per viverci sia per turismo. L’ho scoperto intuitivamente da studente nell’estate del 1959, quando ho studiato e analizzato nove spazi pubblici in sei città europee. Una progettazione e una pianificazione urbanistica illuminate sono fondamentali per il successo delle città, che peraltro cambiano e si evolvono nel tempo.
Se queste sono le città che più desideriamo, qual è il loro equivalente in termini di edifici? Fin dai primi giorni della mia attività di architetto, mi sono convinto che un edificio con luce naturale, sole e aria fresca, che offre un panorama e abbraccia la natura, sarebbe stato di maggior beneficio tanto per il corpo quanto per lo spirito. La gestione della luce e delle viste esterne è, ovviamente, centrale nella dimensione poetica dell’architettura.
Oggi, a distanza di 60 anni, abbiamo la prova scientifica che questi edifici sono effettivamente più sani ed efficaci: i pazienti in convalescenza in una stanza con vista, soprattutto sulla natura, lasciano l’ospedale prima di quelli che si trovano di fronte a una parete vuota. Ho scoperto che la natura è uno dei principali generatori di forme e un catalizzatore di innovazione.
La nostra reinvenzione del terminal aeroportuale con l’apertura del tetto al sole e al cielo, per esempio, ha migliorato il benessere e l’esperienza dei viaggiatori, riducendo anche la domanda di energia e l’impronta di carbonio. Se ci rimettiamo al paesaggio naturale, come collochiamo l’oggetto creato dall’uomo, sia esso un gazebo, un grande edificio o un’enorme opera infrastrutturale? In base alle circostanze, i nostri progetti si muovono tra due polarità: toccare appena il terreno o annidarvisi in modo che paesaggio e architettura siano un tutt’uno. È un richiamo al fatto che la città compatta, di cui parlavamo, preserva anche la campagna e la biodiversità da cui dipende.
Se, come mostrano gli scritti di quel periodo, la mia consapevolezza del mondo naturale come ecosistema ha coinciso con il mio inizio come architetto, ciò può spiegare perché vedo la progettazione, in particolare di un edificio, come l’integrazione di sistemi – sistemi di struttura, involucro, riscaldamento, raffreddamento, illuminazione e così via. Nella ricerca di eleganza, economia e prestazioni, l’integrazione dei sistemi equivale all’importanza di “fare di più con meno”. Ciò che vale per un edificio vale anche per una città, per esempio in termini di riciclo, consumo energetico e impronta di carbonio.
Come possiamo, in un’epoca di cambiamenti climatici, separare i fatti dalla fantasia, le emozioni e i pregiudizi dai dati reali?
Trovo ispirazione nell’esprimere alcuni sistemi e nel renderne effimeri altri. L’espressione e la valorizzazione della struttura sono un tema ricorrente: in questo tipo di edifici, essa diventa architettura e viceversa. Si tratta di una tradizione senza tempo: le odierne strutture di acciaio a vista potrebbero rappresentare l’equivalente della muratura del Medioevo, con le cattedrali gotiche sostenute da contrafforti rampanti che incorniciano vasti piani di vetrate.
Tuttavia, le circostanze del programma e altri fattori possono portare a nascondere la struttura e a esprimere l’epidermide o l’involucro di un edificio − questa categorizzazione visiva è stata definita come “pelle e ossa”. Anche la storia dell’architettura e del progetto sono fonte di ispirazione.
Potrei citare infiniti esempi tratti dal mondo delle locomotive, delle macchine volanti e delle automobili. Ho sempre messo in discussione la divisione in comparti di architettura, arte e design, arrivando alla convinzione che siano tutti parte integrante della cultura del nostro mondo visivo.
Questa visione olistica della progettazione mi ha portato a includere da subito nel gruppo creativo del mio studio competenze professionali come l’ingegneria e il calcolo dei costi, piuttosto che seguire il modello tradizionale per coinvolgerle solo in un secondo momento. Un approccio che conferisce all’architetto una conoscenza più ampia delle questioni che generano il progetto già nelle prime fasi del processo creativo. La mia metafora di questa filosofia è la tavola rotonda.
La pratica dell’architettura continua a essere influenzata dai cambiamenti sociali e tecnologici. Questa tendenza non è nuova, anche se forse di recente il ritmo del cambiamento ha assunto una nuova portata. Questo modello ha accentuato la discrepanza tra la formazione dei responsabili dell’ambiente costruito e le successive realtà della pratica nel mondo reale. Come possiamo condividere le lezioni di un’esperienza faticosamente acquisita, dei successi e dei fallimenti, per preparare meglio le giovani generazioni a essere in futuro gestori più illuminati della cosa pubblica? Come possiamo, in un’epoca di cambiamenti climatici, separare i fatti dalla fantasia, le emozioni e i pregiudizi dai dati reali? Queste e altre preoccupazioni hanno portato alla creazione della Norman Foster Foundation e del suo Institute for Sustainable Cites che, di fatto, è esso stesso un manifesto.
1. World Cities Report 2022: Envisaging the Future of Cities, pag. 348
2. Gina McCarthy, “It’s time to admit that our health and climate crises are one”, Financial Times, 6 Novembrer 2023. Fonte originale: Organizzazione mondiale della sanità: “Gli effetti combinati dell’inquinamento dell’aria in generale e dell’inquinamento dell’aria in ambiente domestico sono associati a 7 milioni di morti premature all’anno”.
3. Sofia Maia e Luiza Demôro, BloombergNEF, “Con quasi 3.000 terawattora di elettricità prodotta, l’eolico e il solare hanno rappresentato complessivamente il 10,5 per cento della produzione globale del 2021, secondo quanto rilevato da BNEF nel suo rapporto annuale Power Transition Trends del 21 settembre 2022”.
4. “Nel 2021, il 62 per cento dell’elettricità mondiale proviene da combustibili fossili, rispetto al 61 per cento del 2020” Ember, Global Electricity Review 2022, pagina 7.