Andra Matin: il valore delle tradizioni costruttive

L’architetto indonesiano racconta al guest editor 2020 il suo particolare metodo di lavoro, che collega tradizioni locali con le aspirazioni moderniste sperimentate in tutto il mondo per creare progetti caratterizzati da resilienza ambientale, credibilità sociale e bellezza.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1049, settembre 2020.

Ho conosciuto l’architetto indonesiano Andra Matin nel 2018, alla Biennale di Venezia, dove aveva realizzato una bella installazione nello spazio delle Corderie basata sulla sua ricerca sui linguaggi architettonici locali, sviluppati come risposta al clima tropicale nei 5.000 km dell’arcipelago indonesiano. Trasmetteva un’attenzione al pensiero umano, alle tradizioni, ai materiali, alle competenze tecniche e all’inventiva che non rispondevano solo a idee di sostenibilità, ma anche a concetti d’identità e di senso del luogo.

I progetti di Andra Matin intrecciano in modo straordinario questo sapere con strumenti contemporanei e principi modernisti. Il progetto della sua abitazione di Giacarta sarebbe poi stato inserito nella selezione dell’Aga Khan Award for Architecture, facendosi notare da tutti noi membri della giuria non solo per la sua salda autorevolezza in materia di architettura e per il suo modo di sfruttare il sito e il clima, ma anche per il modo di trasmettere un senso d’impegno collettivo, integrando gli spazi dell’ufficio adiacente. Nel progetto predomina uno spirito di generosità sociale evidentemente diretto a favorire i rapporti con i suoi collaboratori di studio e anche con una più ampia comunità pubblica. Situato in fondo a un vicolo cieco, dove Matin ha trascorso la maggior parte della sua vita adulta, la struttura assume quasi l’aria di un edificio semipubblico.

La sua maggiore soddisfazione è camminare tra la gente che gode degli spazi progettati da lui

Progetti come questo mi hanno dato la sensazione che Matin abbia trovato un metodo professionale che mette insieme più interessi. Anche lo spazio del suo studio è progettato per incoraggiare l’interazione. Matin vuole che le 30 persone che vi lavorano si sentano una famiglia e che la gerarchia sia “il più orizzontale possibile”. Quello che gli interessa è “costruire partendo dall’interno, e solo poi invitare le persone in ufficio per proiettare il progetto all’esterno”. Collegandomi in videochiamata con lui nel tardo pomeriggio – e grazie all’eccellente lavoro d’interprete di sua figlia – gli ho chiesto come ha fondato il suo studio e ha elaborato il suo personalissimo metodo professionale, profondamente motivato sia dalla curiosità intellettuale sia dalla responsabilità sociale, oltre che dall’entusiasmo per la sua identità potenziale e fisica.

Quando Matin (nato nel 1962) era al liceo, un test attitudinale gli suggerì di diventare medico o architetto. “Dato che ho paura del sangue, ho deciso di seguire la strada dell’architettura”, spiega. Non era ben conscio di che cosa implicasse questa professione, ma confidava che il background artistico di suo padre gli offrisse un vantaggio e che questa carriera avrebbe fatto al caso suo. All’Universitas Katolik Parahyangan fu deluso dalla scoperta che il programma di studi era molto tecnico e si sentì fuori posto finché un assistente “non lo aiutò a comprendere la bellezza della professione”. Divenne evidente che, se avesse espresso con schiettezza le sue potenzialità, avrebbe potuto intraprendere una sua personalissima carriera.

AM Residence, Giacarta, progetto di Andra Matin come residenza per la sua famiglia, premiato con l’Aga Khan Award, s’ispira alle case a palafitta del vernacolo indonesiano, che favoriscono la ventilazione naturale. I materiali principali sono cemento a vista e legno ferro riciclato. © Aga Khan Trust for Culture / Foto Cemal Emden

Si laurea nel 1987, in un Paese ancora saldamente sotto il regime del generale Suharto (al potere fino al 1998). L’architettura era considerata una professione pratica e non creativa. Matin ritiene che la condizione della professione si sia molto evoluta nel corso della sua carriera, con l’apertura di studi più piccoli, senza dubbio grazie all’affermarsi di una cultura architettonica che egli stesso ha incoraggiato. È stato uno dei fondatori del gruppo Arsitek Muda Indonesia (AMI, “Giovani architetti indonesiani”), fondato nel 1989 per sviluppare un “discorso aperto” sulla professione. Nel manifesto del gruppo si affermava: “Per noi la base stessa della sperimentazione è lo stretto dialogo tra gli architetti e la comunità, in quanto integrazione d’idee e realtà”. AMI fu il primo gruppo di architetti a organizzare mostre e realizzare pubblicazioni con impegno e regolarità, attività sconosciuta alle generazioni precedenti. L’anno scorso, la Galleria Nazionale d’Indonesia ha allestito una retrospettiva dell’opera di Andra Matin. È stata la prima mostra di un architetto locale in quella sede, indice non solo di una crescita della cultura architettonica, ma anche della crescita dell’interesse del pubblico per la professione.

Per noi la base stessa della sperimentazione è lo stretto dialogo tra gli architetti e la comunità

Per Matin, però, conta che ciò sia qualcosa di più del semplice affermarsi della moda di una professione culturale. Le sue scelte professionali svelano anche un costante riferimento al valore di progetti di qualità dei piccoli studi, e della sua attenzione a come questo favorisca la diffusione di una più ampia responsabilità sociale nel pubblico. “Quando ho aperto il mio studio [nel 1998, dopo un decennio di collaborazione con una grande società d’architettura, ndr] lavoravamo soprattutto a piccoli progetti per committenti privati”, ricorda. “Secondo uno schema comune a molti di noi che hanno iniziato la carriera alla fine degli anni Ottanta, ci siamo fatti le ossa con una quantità di commissioni private, mettendoci alla prova prima di poter essere più ‘selettivi’”. Fatto fondamentale, Matin venne incaricato di progettare l’abitazione privata di un membro del Governo ed ex deputato al Parlamento indonesiano. Colpito dai suoi lavori privati, l’uomo politico affidò a Matin incarichi pubblici, come scuole e aeroporti: fu l’occasione giusta per fare notare il proprio lavoro.

Brief finale in studio prima dell’inaugurazione di “Prihal”, la sua prima personale, National Gallery of Indonesia, 2019. In questa pagina. Foto Davy Linggar

Nel periodo delle riforme seguito al regime di Suharto, l’attenzione si è concentrata principalmente sulla realizzazione delle infrastrutture logistiche del Paese (strade e ponti), ma si è sviluppato un crescente interesse a utilizzare gli architetti in modo più produttivo per una gamma più vasta di progetti pubblici.

“La nostra influenza inizia a crescere e siamo in grado di dare un contributo maggiore”, mi dice Matin con compiacimento. Torna spesso a visitare i suoi progetti e la sua maggiore soddisfazione è camminare tra la gente che gode degli spazi disegnati da lui. Ma è anche preoccupato e afferma che rimane molto difficile per un professionista essere coinvolto in progetti di edilizia sociale a causa dei dissidi con le autorità in fatto di finanziamenti e di obiettivi, e della “priorità che noi attribuiamo al progetto residenziale”. La situazione è analoga quando si tratta d’impegnarsi seriamente sui più ampi problemi dell’ambiente.

Matin ritiene necessario che chi è al potere e chi usa gli edifici si renda conto del valore delle tradizioni costruttive prima di usare materiali e idee d’importazione. “Sulla piccola scala cerchiamo di ricorrere a materiali locali e di renderli efficienti in termini energetici”. Attento a essere fedele alla cultura vernacolare, alle competenze e alle risorse locali, oltre che a favorire la modernizzazione del Paese, Matin adotta un ruolo professionale di mediazione: “Io sto proprio nel mezzo”.

Sulla piccola scala cerchiamo di usare materiali locali e di renderli efficienti in termini energetici

Il terminal dell’aeroporto di Banyuwangi è esemplare di questo dibattito tra globale e locale che l’architetto sta mettendo alla prova con tanta intelligenza. Lungi dall’uniformarsi all’architettura internazionale da non-luogo dei terminal, Matin voleva creare un edificio che fosse un esempio di vernacolare locale con la particolare forma del tetto e i materiali coerenti con il clima. È stata “una dura battaglia” soddisfare le numerose regole imposte dalle linee aeree e dalla sicurezza. “Abbiamo dovuto convincerli che questo è il tipo di edificio che deve essere realizzato lì”, spiega, in modo da “adottare un’idea generale in risonanza con lo spirito della popolazione prima che con le questioni tecniche”. Il punto centrale era portare il locale a raggiungere una visibilità globale e non viceversa, dando ai passeggeri che lo attraversano la sensazione di un complesso profondamente radicato nel proprio luogo e creando nella comunità locale un senso di orgoglio per ciò che rende speciale il proprio territorio.

L’accento sul contesto locale non esclude ispirazioni diverse. Per l’architetto la concezione dell’architettura occidentale “non è cambiata”: l’opera di Le Corbusier è una fonte d’ispirazione costante e sotto gli occhi di tutti, benché non sia da imitare pedissequamente.

“Quello che sapevano fare quegli architetti della metà del XX secolo posso farlo anche io qui, in Indonesia”, dichiara riferendosi ai grandi progetti per una società nuova. È una prospettiva di profonda speranza, soprattutto nelle mani di chi sia molto abile a intrecciare queste idee con il rispetto del luogo nel quadro di una prassi professionale ambientalmente e socialmente sostenibile.

È un monito che riguarda le vere sfide che la professione deve affrontare, le prospettive che dovremmo coltivare e il ruolo che possiamo ancora svolgere, al di là del contesto.

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