La maleducazione del design contemporaneo

Trarre ispirazione dal linguaggio, dall’estetica delle aree urbane emarginate per trovare nuovi stimoli e immettere energia vitale in ambiti creativi stanchi. Nella moda, nell’arte e nella musica è un fenomeno consolidato, nel design è più recente ed è entrato in gallerie e musei, con la sua carica di disturbo. Tra i suoi portabandiera più efficaci: Rooms, Virgil Abloh, Guillermo Santomà e Jerszy Seymour.

“It’s like a jungle sometimes / it makes me wonder how I keep from going under,” (a volte sembra una giungla / mi chiedo come fare a non affondare), esclama MC Melle Mel tra una strofa e l’altra di The Message. Scritto nel 1982, il brano di Grandmaster Flash & the Furious Five racconta scene di ordinaria decadenza nelle periferie di New York City, creando immagini nitide come le fotografie di Martha Cooper, Robert Herman o Jack Garofalo, che negli stessi anni si aggirano ai margini della Grande Mela per ritrarne l’essenza. Secondo il magazine Rolling Stone, The Message è il pezzo rap più influente di sempre, perché capace di narrare la condizione suburbana da un’altra prospettiva: “È stata la prima canzone a raccontare, con la forza ritmica e vocale dell'hip hop, la vita moderna nei quartieri poveri dell’America”. The Message non celebra lo spirito di “pace, unità, amore e divertimento” (Afrika Bambataa and James Brown, 1984), ma rappresenta la rabbia, il disagio e l’emarginazione vissuti dalle popolazioni afroamericane.

Virgil Abloh, Efflorescence, Parigi, 2020. © Morgane Le Gall Courtesy Galerie

Dai margini – fisici e umani – delle città provengono energie grezze come i diamanti che diventano fonte di ispirazione per altre forme artistiche. I linguaggi ‘maleducati’ delle sottoculture urbane – queer, gabber, raver, skater – denunciano il surrealismo capitalista e rivendicano in modi diversi il “diritto alla città” – il riferimento è a Le droit à la ville di Henri Lefebvre, 1968 – ma allo stesso tempo vengono trasformati e assorbiti dall’economia creativa occidentale.

Così come nella musica, anche nel design recente ci sono autori che traggono ispirazione per elaborare nuovi progetti da queste espressioni underground. Come lo studio georgiano Rooms, che con il progetto Bus Stop Benches (2018) racconta la brama di libertà degli abitanti di Tbilisi durante l’epoca sovietica. Tra i ricordi delle designer Nata Janberidze e Keti Toloraia ci sono banchi di scuola e fermate degli autobus incisi con coltellini e scritti con pennarelli e bombolette. “Forse la voglia di compiere un atto di distruzione era una protesta silenziosa contro il sistema in cui nulla spettava agli individui. O magari era motivato dal desiderio di privatizzare tutto ciò che era pubblico lasciando un’impronta personale”, raccontano le progettiste. Rooms ha portato due versioni di Bus Stop Benches alla fiera Design Miami 2019, dove ha incoraggiato i visitatori a lasciare il proprio marchio e rendere uniche le due panchine, che sono i pezzi principali della loro mostra “In Circulation”.

Guillermo Santomà, Cerralbo

Un simile desiderio di espressione guidava molti giovani delle periferie di New York che, negli anni Settanta, lasciavano tracce del proprio nome in strada o sulle carrozze della metropolitana. Questo è l’immaginario di una delle figure più eclettiche del panorama contemporaneo: il fashion designer, artista, dj e imprenditore Virgil Abloh, direttore creativo uomo di Louis Vuitton. Una delle ultime sfilate parigine del marchio – quella per la collezione uomo autunno/inverno 2019 – era letteralmente immersa in uno scenario suburbano tipico della Grande Mela, con tombini fumanti, musicisti jazz, cartelli stradali e insegne al neon.

Per la Galerie Kreo di Parigi, Abloh ha invece realizzato una serie di 20 arredi – tavolini, consolle, sedute, vasi e specchi – ispirati all’architettura brutalista e al paesaggio delle periferie, in cui i segni umani crescono negli interstizi urbani come i fiori selvatici tra le crepe di cemento. Le opere del designer originario di South Side Chicago si rifanno a quelle di Lina Bo Bardi, sostenitrice del “diritto al brutto” come tramite per raggiungere una comunicazione più profonda con la realtà in cui ci si trova. Provando ad aprire i confini del gusto, la designer italiana naturalizzata brasiliana si opponeva ad armonia, compiutezza, proporzione, equilibrio e simmetria.

Guillermo Santomà dice: “Io passo tutto dal filtro del popolare, mi interessano quei luoghi in cui ancora si possono creare discorsi ricchi, plurali e partecipati, perché è da opinioni e sentimenti diversi e conflittuali che nascono le collettività”. Per il Madrid Design Festival 2019, il designer catalano ha portato 18 lavori dalla periferia di Barcellona, dove si trova il suo studio, in uno dei luoghi più prestigiosi di Madrid, il Museo Cerralbo. La casa-palazzo di Enrique de Aguilera y Gamboa, XVII Marqués de Cerralbo, decorata con elementi neobarocchi e Rococò, ha ospitato circa 50.000 opere tra dipinti, sculture, ceramiche, armi e arazzi. Con i suoi pezzi scultorei, Santomà ha attuato un’opera di anti-gentrificazione, come quei movimenti sociali che, con azioni di protesta e vandalismo, si oppongono all’espulsione delle classi popolari da quartieri soggetti a valorizzazione immobiliare. Il suo linguaggio si contrappone con sgarbo a quello fastoso della residenza nobiliare, ridando vitalità agli spazi della casa-museo.

Studio Room, Stop Bench. Foto Guram Kapanadze

L’opera The Council for the Progenesis of the Archaic Festival, realizzata nel 2014 da Jerszy Seymour per Kvadrat, si colloca tra progetto e distruzione, design arcaico e contemporaneo, affermazione della vita e desiderio di violenza. Un ritmo ossessivo, generato da una Roland TR-808 – la celebre drum machine che è alla base della techno di Detroit – fa da sottofondo alla performance del designer berlinese, che con una motosega devasta una ‘foresta’ di rotoli di tessuto per creare uno spazio pubblico, un luogo dove sedersi e discutere il paradosso fondamentale della natura umana, fatta di coscienza, estasi, animalità, divinità, distruzione e violenza.

Questi designer hanno interpretato l’energia delle sottoculture, utilizzando il progetto come espressione critica, in sintonia con le forme etiche ed estetiche del nostro tempo. La loro è nuova forma di contro-design che si contrappone al funzionalismo e all’ottimizzazione del progetto contemporaneo. Il nostro auspicio è che questi progetti possano uscire dalle gallerie, dai musei o dai salotti di pochi privilegiati per riportare in strada quella vitalità che le nuove forme di controllo e di ‘riqualificazione’ provano a sussumere e neutralizzare. La domanda da porsi è se il nuovo contro-design possa diventare una forma di disturbo come lo è stato il punk nella musica.

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