Fabrizio Crisà e la genesi della cappa aspirante nel piano a induzione

Intervista al global design director di Elica su NikolaTesla Fit, nuovo nato della serie che ingloba la cappa nel piano a induzione. E, ancora, su paure, superpoteri e maestri del design. 

Pura funzione e alta tecnologia sono gli elementi che connotano NikolaTesla Fit, la nuova arrivata nella famiglia di piani a  induzione con aspirazione integrata. “Tutto lo sforzo concettuale si è basato sulla ricerca di un design funzionale piuttosto che estetico”, spiega il suo ideatore, Fabrizio Crisà, “pur arrivando a una sintesi formale equilibrata”. Rivoluzionaria come lo scienziato di cui porta il nome, il serbo Nikola Tesla, da molti considerato “l’uomo che inventò il XX secolo”, la serie cela la cappa nella superficie completamente lineare del piano vetro ceramico. La serie è nata con NikolaTesla One, premiato con il Compasso d’Oro nel 2018, e oggi comprende sei modelli diversi. Rispetto ai precedenti, NikolaTesla Fit si adatta a piani di cottura di 60 cm di larghezza. L’aspirazione si attiva aprendo la parte centrale con una semplice pressione, la rotazione è automatica tramite un bilanciamento di pesi e magneti.  

Qual è il punto di forza della serie NikolaTesla?
La serie rappresenta una rivoluzione che cambia radicalmente il punto di vista in cucina. La funzione della cappa, tradizionalmente posizionata sopra alla zona dedicata alla cottura per assecondare l’andamento ascensionale dell’aria calda, è stata ribaltata ed è stata integrata all’interno del piano cottura, invertendo il naturale flusso dei fumi che vengono attratti verso il basso grazie ad una fluidodinamica avanzata. Grazie a questa nuova tipologia di prodotto, la cappa intesa in modo tradizionale lascia spazio al piano a induzione che garantisce il trattamento dell’aria attraverso aspirazione e filtraggio. 

Fabrizio Crisà, NikolaTesla Fit, schizzi di progetto
Fabrizio Crisà, NikolaTesla Fit, schizzi di progetto

Quale innovazione aggiunge NikolaTesla Fit?
NikolaTesla Fit, rispetto ai precedenti modelli, è stato studiato per essere estremamente compatto, senza rinunciare a quanto già offerto dai fratelli “maggiori”. Rappresenta un concentrato di tecnologia in cui cottura e aspirazione sono perfettamente integrate in un ingombro che consente l’installazione anche su basi cucina da 60 cm. Ideale per ambienti piccoli, ma anche per quelle cucine dove non è possibile installare piani cottura e cappe indipendenti. Lo sforzo concettuale si è concentrato sulla ricerca di un punto di equilibrio tra performance, funzionalità, ergonomia, tecnologia, dimensioni ridotte e versatilità. La grande sfida sul piano del design è stata quella di riuscire a contenere tutti questi elementi in una sintesi formale che ha dato vita a un oggetto dalle linee pulite ed essenziali. L’estrema semplicità espressiva, è ottenuta attraverso un flap in vetro che, da chiuso, rende invisibile l’aspirazione e l’interfaccia utente.

Perché hai deciso di chiamarla così?
Il nome NikolaTesla, che caratterizza tutta la serie di piani aspiranti di Elica, è stato voluto fortemente dal presidente di Elica, Francesco Casoli, imprenditore visionario che crede molto nell’innovazione e ha riconosciuto in questo progetto l’inizio di un cambiamento per il suo carattere rivoluzionario quanto lo scienziato da cui ha preso il nome. Partendo dalla radice comune, NikolaTesla, a ogni modello ho dato un nome specifico legato alla sua essenza: il primo nato si chiama NikolaTesla One; poi la versione Switch che, grazie alla rotazione di un flap, cambia aspetto e si trasforma quando è in funzione; Libra perché integra, oltre che cottura ed aspirazione, anche la bilancia; Flame perché unisce fuoco e aria, piano a gas con aspirazione dell’aria; Prime, perché ha un linguaggio primordiale che racconta la cottura ed è meno sofisticato anche in termini di funzionalità; e per finire c’è Fit perché si adatta, perché è compatto, quasi come fosse il risultato di tanto fitness per ottenere una silhouette invidiabile.

Vivo il mio lavoro come parte della mia vita; mi accompagna in ogni momento e, più che la ricerca formale delle cose, cerco sempre il cambiamento inteso come miglioramento.

Cosa ti rende felice come progettista?
Come designer la cosa che mi rende più felice è la libertà di potermi esprimere. Vivo il mio lavoro come parte della mia vita; mi accompagna in ogni momento e, più che la ricerca formale delle cose, cerco sempre il cambiamento inteso come miglioramento. Guardo, osservo il mondo e le persone e immagino come potrà essere il futuro e cosa realmente sarà necessario. Questo necessita di una visione e una spinta innovativa innanzitutto da parte di noi designer, ma soprattutto dai nostri interlocutori. Riuscire in questo tipo di operazione e trovare idee che rivoluzionano a livello concettuale i prodotti è sicuramente la cosa che mi dà più soddisfazione. Il lavoro formale ed estetico è altrettanto importante, ma lo vivo come espressione di una visione molto più ampia.

Qual è, invece, la tua più grande paura?
La mia più grande paura è il tempo che scorre, che passa velocemente e che non è mai abbastanza per vivere e realizzare tutto quello che si vorrebbe. Viviamo in affanno di tempo sia a livello lavorativo che nella vita privata e dobbiamo sempre effettuare delle scelte. E tante più idee si hanno, tante più cose si vogliono fare, tanto meno tempo si ha. La frustrazione più grande è convivere con elenchi mentali che cominciano con “vorrei fare…”, “ho in mendi di…”, “se trovo il tempo vorrei provare a…”, “se potessi tornare indietro…”.

Un designer su tutti, che ammiri?
Sebbene nutra ammirazione per tanti designer, architetti, antropologi o visionari, senza alcun dubbio, la persona che ammiro di più e che reputo un grandissimo maestro, è Dieter Rams. Credo che come designer Rams abbia cambiato davvero il mondo e l’idea di prodotto intesa come oggetto che debba soddisfare e arricchire la vita delle persone. Innovativo, concettualmente rivoluzionario, formalmente essenziale e amante dei dettagli, tutte caratteristiche che sono alla base del mio approccio progettuale. Credo che Rams sia un grande maestro per tutti e la mia fortuna è stata quella di averlo incontrato durante la cerimonia in cui gli fu assegnato il Compasso d’Oro alla carriera a Milano. Ho anche un selfie con lui, è stato più emozionante che se lo avessi fatto con Freddie Mercury.

Quale oggetto ha cambiato la tua vita?
Se dovessi dire quale oggetto ha cambiato la mia vita, onestamente non saprei dare una risposta. La mia vita è cambiata sempre e costantemente a causa di avvenimenti o oggetti, più o meno invasivi. Durante il mio percorso sono stati innumerevoli gli oggetti che hanno segnato un cambiamento, a volte cosciente a volte senza accorgermene. Banalmente, ricordo quando ancora non sapevo che sarei diventato un designer e mi ritrovavo davanti a vetrine con esposti tutti i prodotti di Alessi: restavo a fissarli per ore, a scrutarli, a investigare su ogni dettaglio, riflesso o curva, senza saperne il motivo, ma soprattutto senza averne la necessità, li desideravo e basta. E questa, che era diventata una ossessione, accresceva in me il sogno di poterli fare anche io un giorno.

Perché hai deciso di diventare designer?
Non so precisamente perché sono diventato designer. Inizialmente studiavo ingegneria aeronautica, sembrava essere la scelta giusta, ma poi mi sono guardato dentro e ho capito che non era quello che volevo. Oggi, la parola design è inflazionatissima, ma quando ho scelto di studiare Industrial design, non avevo bene idea di cosa fosse e cosa significasse fare questo mestiere, ma avevo chiaro quello che sentivo: la forte passione per i prodotti, le emozioni, la curiosità e le suggestioni che mi provocavano, i momenti in cui smontavo tutto con la mente e lo ricostruivo in altro modo, la tendenza a immaginare sempre come migliorare ogni oggetto o come trovare funzionalità nuove, le vibrazioni e le sensazioni di innamoramento davanti a determinati prodotti. E così ho capito che avevo questo problema, una malattia, che solo dopo ho scoperto si chiamasse design. Oggi non mi vedrei in nessun altro modo, credo di esserci nato, come si nasce uomo o donna, e si diventa alto o basso, biondo o bruno, io credo di essere nato con una forma congenita e acuta di “design-ite”. E non ci sono medicine, si presenta all’improvviso, non ti fa dormire la notte, arriva nei momenti meno aspettati, ti fa sembrare un alieno quando tutti bevono un aperitivo e tu guardi solo come è fatto il bicchiere, o quando davanti a un televisore ti ritrovi dietro allo scaffale per vedere come è fatto il retro.

Ho capito che avevo una malattia, che solo dopo ho scoperto si chiamasse design... Ti fa sembrare un alieno quando tutti bevono un aperitivo e tu guardi solo come è fatto il bicchiere, o quando davanti a un televisore ti ritrovi dietro allo scaffale per vedere come è fatto il retro.

Se potessi avere un superpotere quale sceglieresti?
Questa domanda è facile! Non vorrei la supervista, né potermi arrampicare sui muri e nemmeno poter diventare invisibile. Per quanto sarebbe stupendo, non sceglierei nemmeno di poter volare. Il superpotere che sceglierei è il controllo sul tempo. Accelerarlo, rallentarlo, andare avanti, andare indietro, poter rifare le cose sbagliate, poter rivivere i momenti felici mille volte.

Un oggetto che ti fa arrabbiare perché è totalmente sbagliato?
Forse quello che oggi rende tutto anormale e che ci ricorda in ogni momento quanto è cambiato il mondo: la mascherina. Un oggetto indispensabile, necessario in questo momento, la mascherina sta entrando con prepotenza a fare parte della nostra vita, senza possibilità di scegliere. Non è come un paio di scarpe, una T-shirt, un cappello o gli occhiali da sole che scegliamo e indossiamo per piacerci di più; al contrario è un oggetto che ci rende anonimi, che nasconde chi siamo e rende invisibile la nostra espressione. La mascherina sul viso cambia radicalmente il rapporto con gli altri: il nostro umore, le smorfie, un saluto accennato restano dietro alla mascherina. Ormai siamo costretti a sorridere (solo) con gli occhi. Ecco, tutto questo è sbagliato! Ed è per questo motivo che nell’ultimo periodo mi viene naturale e spontaneo provare a immaginare soluzioni e cercare idee differenti per risolvere il problema della protezione individuale senza perdere la nostra identità.

Cosa si trova in cima alla lista dei tuoi desideri?
Nella lista dei miei desideri, oltre che avere il superpotere di cui parlavo prima, c’è la voglia di trovare un maggiore equilibrio mentale che mi porti a vivere più sereno e senza l’ansia di dover sempre correre. Credo che vivere in pace con se stessi distaccandosi un po’ dai problemi quotidiani, porti anche frutti nella generazione di idee e che ci focalizzati sulle cose importanti piuttosto che sentirsi sempre in un frullatore. Sono un essere imperfetto e purtroppo è nella mia indole il desiderio di fare sempre di più e meglio; vivo nella ricerca maniacale della perfezione e questo a volte non mi fa godere dei successi e dei traguardi, ma mi porta sempre a guardare a tutto quello che c’è ancora da fare.

Quando e come arrivano le idee migliori?
Le idee migliori arrivano quando meno me lo aspetto, quando non le cerco, a volte sono frutto della serendipity. La sera prima di addormentarmi o quando sto da solo in macchina e non posso usare lo smartphone o il computer, ma posso solo pensare: quelli sono i momenti migliori. Metto insieme le idee, mi concentro, divido i problemi, metto a fuoco tutto, entro in uno stato mentale parallelo, e tutto prende forma. Poi ritorno sulla Terra quando mi accorgo di aver saltato l’uscita dell’autostrada… Sempre! Ma le idee non arrivano mai da sole, in generale, accumulo costantemente informazioni di ogni tipo: specifiche del progetto sul quale lavoro, dettagli di marketing, analisi di mercato, target cost, target price, plant produttivo, know-how tecnologico, volumi, livello di investimento e posizionamento. A queste si uniscono analisi sui trend di settore, materiali, nuove tecnologie. La solitudine mi serve a mettere ordine.

Le idee migliori arrivano quando non le cerco. La sera prima di addormentarmi o quando sto da solo in macchina e non posso usare lo smartphone o il computer, ma posso solo pensare: quelli sono i momenti migliori.
Fabrizio Crisà con il piano a induzione NikolaTesla Switch
Fabrizio Crisà con il piano a induzione NikolaTesla Switch

Un consiglio a un designer che comincia?
Non credo di essere la persona giusta per dare consigli o avere l’autorevolezza di poter dire “Stay hungry, stay foolish” come fece Steve Jobs, anche perché io stesso mi sento all’inizio del mio percorso, nonostante siano tanti anni che faccio questo lavoro. Sicuramente posso dire che la passione per quello che si fa è la cosa principale, nel mio caso la passione è anche ossessione. All’inizio avrei lavorato gratis pur di vedere una mia idea trasformata in prodotto. Ancora oggi il mio unico pensiero quando disegno è immaginare che qualcuno possa comprare quel prodotto, disegnato da me, e che possa essere contento ed eccitato come lo sono io quando compro qualcosa che mi piace, tanto che abbraccerei chi lo ha disegnato.

Nome prodotto:
NikolaTesla Fit
Designer:
Fabrizio Crisà
Azienda:
Elica
Anno di produzione:
2020
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