"Per questo vale la pena tentare un approfondimento, senza per questo sentirci obbligati a esprimere solo preoccupazione o viceversa a registrare acriticamente dei fatti." L'atteggiamento che ispira il libro di Pierluigi Nicolin intitolato alla verità in architettura sta in questa frase, nascosta tra le righe a quasi metà del volume. Il libro di Nicolin, infatti, si dipana attraverso una serie di congetture su cosa dovrebbe e/o potrebbe essere il ruolo del progetto, dalla scala dell'edificio a quella della città e del territorio. Nonostante il titolo, il libro non è un manifesto o un pamphlet che consegna al lettore una (o alcune) verità. Nonostante il sottotitolo, il libro non restituisce il racconto unitario di un'altra modernità in architettura.
La ricerca della verità in architettura avviene invece lungo 17 capitoli, ciascuno dedicato a un tema i cui confini circoscritti sono mimetizzati da titoli che evocano i temi stessi, più che dichiararli. La breve introduzione serve a distanziare il libro da ciò che Nicolin identifica come "pensiero teorico", ovvero a difendere l'impostazione non-accademica degli scritti presentati. Quest'ultima è ben visibile nella presenza di un eclettico indice di indicazioni bibliografiche e nell'assenza di note, pur a fronte di 68 autori menzionati lungo le pagine (filosofi, letterati, architetti-autori di testi, e altri).
La capacità del libro di farsi leggere non sta tuttavia nella rinuncia all'argomentazione asettica, che implicherebbe l'uso di un metodo d'indagine dichiarato e percorribile a ritroso, bensì nella sua forma di diario, quasi intimo e a tratti crepuscolare. La verità di cui Nicolin scrive è in architettura, non dell'architettura, e poggia sul fatto che egli stesso si espone con il proprio vissuto di architetto, e con le incertezze che questo si porta dietro. Conseguentemente, l'obiettivo non è trovare una conclusione ma "allontanare lo spettro del nulla in un vago orizzonte", come si legge nelle prime righe dell'introduzione.



Per attingere all'essenza del libro di Nicolin non è necessario, forse, interrogarne ogni capitolo, ogni frammento. Il libro è come un mazzo di carte da cui si può pescare a ogni mano. La precondizione, da prendere o lasciare, è che il mazzo è stato accuratamente mischiato. Dal paesaggio (il lavoro di Gilles Clement in particolare), al progetto della città (la Berlino dell'IBA e Ungers), al recupero urbano (il Chiado a Lisbona di Alvaro Siza), all'architettura di Kazuyo Sejima, ai musei globalizzati di inizio millennio – per citarne alcuni – si trovano molti dei temi che Nicolin ha intersecato nel corso di una lunga biografia intellettuale e professionale, innanzitutto attraverso la direzione della rivista Lotus International, da cui una parte minoritaria dei capitoli proviene.
