Senza Architettura

Il libretto di Pippo Ciorra, lontano dall'autofustigazione tipica dei pamphlet anti, delinea lucidamente il quadro della situazione italiana e fornisce strumenti di orientamento anche per i non addetti ai lavori.

Senza architettura. Le ragioni di una crisi, Pippo Ciorra, Laterza, Bari 2011 (pp. 131, € 12.00)

Dopo che chierici, laici e spretati della nostra disciplina hanno indagato l'architettura "senza architetti", (Rudofsky, 1964) mandato a quel paese i progettisti (anche se solo dalla copertina dell'edizione italiana: Wolfe, Maledetti architetti, 1981), evocato le fiamme (Betsky e Adigaard, Architecture must burn, 2000), esplorato i territori "oltre la costruzione" (ancora Betsky con la Biennale 2008) e sparato sulla croce rossa (La Cecla, Contro l'architettura, 2008), è da poco uscito un altro titolo "oppositivo", questa volta specificamente dedicato agli inesauribili paradossi nei quali è avvitata l'architettura nostrana.

Chi fosse indotto dalla negatività del titolo (e della situazione) ad aspettarsi un resoconto malmostoso troverà invece una scrittura brillante e l'attitudine positiva a leggere i fenomeni per provare a invertirne l'inerzia, senza indulgere nelle tendenze autofustigatrici che percorrono di solito i pamphlet "anti". L'agile libretto di Pippo Ciorra si differenzia in questo (e in altro) anche dal suo precedente più diretto, le Notizie sullo stato dell'architettura in Italia scritte da Pierluigi Nicolin sull'onda di tangentopoli. È abbastanza curioso che a dividere nel tempo i due saggi sia, di fatto, il "ventennio" berlusconiano, di cui, mentre scriveva Nicolin, si potevano percepire solo le avvisaglie e la cui lunga agonia, in un turbine di sottane e corruzione da basso impero, speriamo sia ora avviata a conclusione definitiva. Non so se sia per questo che il tono appare meno depressivo, se invece si tratti del distacco romano in confronto alla mestizia di noi settentrionali o se sia un fatto di generazioni i cui eventi formativi hanno radici rispettivamente nei rivolgimenti epocali del '68 e negli epifenomeni del '77, insieme più frivoli e crudeli. Fatto sta che gli eventi degli ultimi anni hanno prodotto, non solo da noi, alcuni spostamenti significativi che Ciorra pone come sfondo del suo libro (la "scomparsa" della città; la fine del rapporto "organico" con la committenza pubblica; la trasformazione del critico in curatore; l'irrompere dell'"architainment"; le insidie e le promesse della sostenibilità...) e dai quali è possibile ripartire per dare nuovo impulso alla nostra asfittica architettura, con particolare riguardo ai principali "nodi da affrontare: riviste, università, grandi mostre, istituzioni, committenti e centri di potere, critica, arte, tecnologia, media". Il suo è uno sguardo in controluce, in cui la frammentazione del quadro generale mostra tanto l'apertura verso la proliferazione di nuove opportunità quanto i suoi effetti potenzialmente perversi. La moltiplicazione dei percorsi formativi e delle esperienze di lavoro qualificato all'estero ha ad esempio ampliato l'orizzonte culturale della "generazione Erasmus", spezzato l'egemonia delle "chiese" locali e contribuito a importare nuovi "culti". Allo stesso tempo ha prodotto professionisti dalle conoscenze difficilmente spendibili in un mercato inflazionato e arretrato come il nostro e le cui aspettative economiche e di qualità del lavoro hanno scarse speranze di essere soddisfatte (situazione che, purtroppo, accomuna i giovani italiani nei più diversi ambiti dell'eccellenza e dell'innovazione scientifica, tecnica e culturale).

Anche la grande espansione mediatica, vera protagonista del nuovo millennio e del libro, presenta aspetti contraddittori, legati a sviluppi mondiali e, insieme, specificamente locali. Ciorra non manca di segnalare il paradosso della proliferazione editoriale italiana a fronte di una produzione di architettura di qualità, per quanto limitata, praticamente assente dalle nostre riviste. Soprattutto le pubblicazioni maggiori, le ottantenni "Casabella" e "Domus", ma anche "Lotus" e in misura minore "Abitare" rivolgono i loro rispettivi e specifici sguardi oltre i patrii confini, e non solo riguardo all'architettura realizzata. Al distacco tra realtà costruttiva italiana e sua copertura mediatica, almeno da parte dei canali più autorevoli, si aggiunge infatti la crescente diffidenza tra riviste e accademia, separate in compartimenti stagni attenti a non contaminarsi condividendo talenti, informazioni e strategie culturali. È come se la lotta per la rilevanza internazionale, e la sopravvivenza economica, producesse un crescente isolamento a scapito di una azione più decisa e integrata sul territorio. Tuttavia, lo stesso eccesso di offerta culturale architettonica che determina in Italia queste e altre storture alimenta anche un ribollente panorama di iniziative sul web, il cui spazio virtuale è attraversato da proposte molteplici e contraddittorie. L'irrompere di contributi dal basso ha sì determinato l'erosione della centralità delle tribune consolidate, ma anche l'inevitabile accumularsi della fuffa. Si tratta di una situazione in continua evoluzione che, nel breve periodo intercorso dall'uscita del libro al momento in cui scrivo queste note, sembra mostrare ulteriori sviluppi: Geoff Manaugh ha recentemente rilevato un processo di "istituzionalizzazione" di blog e webzine, e insieme l'affermazione di servizi più concisi e ancora più veloci. In attesa di capire quali conseguenze questi sviluppi potranno avere sulla situazione del nostro malandato Paese, se saranno in grado di sciogliere il groviglio di minacce e opportunità, di vicoli ciechi e spinte in avanti che lo caratterizza, il libro di Ciorra ci aiuta a ripercorrere le "ragioni di una crisi" e, nel cercare possibili vie d'uscita, fornisce una sintesi tanto rapida quanto convincente delle vicende disciplinari italiane dal secondo dopoguerra a oggi. Dalla sua posizione di senior curator per il settore architettura del Maxxi, nell'interfaccia tra locale e globale, Pippo Ciorra cerca di capire come accompagnare le nostre diverse strutture culturali e professionali verso standard internazionali più avanzati. Operazione non facile in un ambiente che ha elevato la ricerca del secondo fine a obiettivo principale di ogni progetto, dove l'eccellenza ha spesso trovato modo di esprimersi come effetto collaterale, come variabile imprevista e insieme inevitabile di un sistema dissipativo.

Di fronte al rischio che un maggiore rigore cucinato dagli stessi cuochi di sempre possa produrre altrettanti mostri (siamo pur sempre il Paese che si è riuscito a inventare un concorso di progettazione su curriculum anonimo...), il libro di Pippo Ciorra ha il pregio di delineare lucidamente il quadro della situazione e di fornire strumenti di orientamento sia agli insider più scafati che, soprattutto, a un pubblico più generale, cui è palesemente dedicato. Se c'è infatti qualche speranza e qualche segnale di una modificazione del mondo dell'architettura italiana, tanto più decisiva sarà l'evoluzione dell'ambiente generale nel quale la trasformazione dello spazio ha luogo e prende significato. Giovanni Corbellini

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