di Donatella Cacciola
Mythos Metropolis. Die Stadt als Sujet für Schriftsteller, Maler und Regisseure , Franziska Bollerey, Gebr. Mann Verlag, Berlin/I.H.A.A.U. Delft 2006, German/English text (pp. 154, € 24,90)
Possono i progettisti urbani di oggi imparare a guardare la grande città attraverso l’occhio di scrittori, pittori e cineasti – in una parola, artisti – che l’hanno vista uno, due, tre secoli addietro? È questa la sfida che propone questo libro, il cui titolo farebbe immaginare un grande formato e numerosi esempi di fotografia documentaria all’interno, e che invece incuriosisce per le dimensioni ridotte e la copertina interamente nera, vergata solo da un tratto rosso che simula una calligrafia – quasi si trattasse di una sorta di diario. L’indagine sulle poetiche visive legate alla città che Franziska Bollerey, direttrice dell’Istituto di Storia dell’Arte, Architettura e Urbanistica del Politecnico di Delft, intraprende in questo libro è più di metodo che di contenuti: quali sono i simboli che la grande città evoca – e attraverso quali aspetti della città stessa riusciamo a coglierli? Nell’introduzione vengono ricordati recenti studi di sociourbanistica come quelli di André Corboz, ma qualche pagina dopo l’autrice si distacca dal tono del saggio per condurci dolcemente, sulle parole di Wim Wenders, a Berlino, alla quale seguono e si alternano Parigi, quindi New York e Chicago – alcune tra le metropoli per antonomasia.
Degli autori, in media una decina per capitolo – da Marcel Proust a Georg Grosz, da Le Corbusier a Louis Sébastien Mercier, coevo di Piranesi – leggiamo brani tratti da interviste, lettere, romanzi, uniti l’uno all’altro secondo il principio del domino: una parola, un particolare richiamano allo stesso motivo citato in precedenza. Il muro di Wenders a Berlino che descrive spazi apparentemente vuoti diventa un altro muro, quello che osserva il protagonista di un romanzo di Rilke a Parigi. Certo, i compagni di viaggio cui Bollerey dà di volta in volta la parola sono assai noti, sembrerebbe un’ovvietà associarli al loro lavoro sulle metropoli. Eppure il contesto, il flusso del racconto creato dall’autrice è una rapsodia sapientemente composta, tanto che né il lettore più critico riesce ad abbandonare il testo col pretesto del “già letto, già visto”, né i brani scelti concedono alcunché alla contemplazione estetizzante della città. Si tratta piuttosto di sensazioni, colori, rumori, lampi, pugnalate negli occhi. Il testo diventa la città.
Arioso, fluido e dolcemente trascinante è perciò il discorso dei quattro capitoli che costituiscono il corpo centrale del libro e che si articolano come quattro movimenti musicali. Ognuno è dedicato a un tema e i temi, accoppiati, si rivelano complementari e antitetici: l’adagio “The Gentle Way of Reading” (pp. 16-31) intorno alla lettura degli spazi vuoti si oppone alla città come “A Montage of Masses” (pp. 32-71). Quindi segue la città avvertita come una minaccia – “The city as a Threat” (pp. 72-95)–, antitesi dell’ultimo capitolo, “The city and I” (pp. 96-109), la metropoli di cui l’osservatore si è impossessato. La metafora che aleggia però sopra tutte le immagini di città mediata da “uomini che guardano” è in fondo la città come testo – la città diventa testo – un’alternanza di pieni e vuoti, come le lettere e gli spazi frapposti. È la stessa a cui si richiama l’impostazione grafica del libro, altro elemento ritmico fondamentale. La suddivisione irregolare di testo e immagine fa in modo che l’uno non prevalga sull’altra e viceversa, mentre la vera e propria unità di testo e immagine è poi rappresentata dai brani in corpo maggiore che sembrano un grido in mezzo al foglio e hanno la stessa presenza di fotografie, dipinti, manifesti, scene di film a tutta pagina. Nel quinto capitolo Mythos Metropolis rivela infine la sua sorprendente, indefinibile natura. Qui l’autrice riprende la parola con un breve saggio sull’immagine delle capitali europee in trasformazione e su ciò che oggi si intende per cultura urbana.
Gli autori interpellati hanno letto la città come contesti sociali in costante movimento. Il mosaico che invece illustra l’immagine della metropoli (occidentale) nel XXI secolo ed è il risultato dell’interazione tra progettazione urbana, immagine simbolica e marketing della città stessa ha un carattere molto diverso, simile al prodotto di una strategia elaborata a tavolino: è una città statica. Ciò non significa in maniera semplicistica che per costruire il futuro ci si debba rivolgere al passato. Piuttosto il lavoro di Bollerey è una riflessione metatestuale sulla città: l’unità in trasformazione percepita dagli autori oggi è avvertita con maggior consapevolezza storica ed estetica, eppure ciò conduce paradossalmente a una costruzione forzata dell’immagine di una città. “On the one hand one has to appreciate that cities become aware of their cultural and aesthetic identity, on the other hand one has to criticise restorative tendencies, that reduce history to nostalgic or architectural set-pieces, and degrade the care for historic monuments into the mere cultivation of the townscape or the art of building cities…” (p. 119). La Berlino odierna con lo scempio pretestuoso del Palast der Republik che a breve verrà demolito in assenza di progetti concreti su ciò che seguirà è probabilmente il riferimento che meglio si legge tra le righe.
Che cos’è dunque il mito evocato dalla metropoli, se non l’immagine contemporanea, lontana dagli abitanti e dalla sua storia come una chimera e in cui le masse sono i capitali accumulati? Molto più concreta e tangibile è la città narrata dagli autori e, come loro, da ciascuno che abbia fatto propria la metropoli, città-madre. È questo un libro che non assomiglia a nessun altro, da leggere e rileggere. Sottile, essenziale, originale. È cosa rara affrontare un tema di portata molto ampia con una mano tanto delicata e decisa allo stesso tempo – è la mano che ci ha guidato in questa visita lampo attraverso le metropoli occidentali, ma potrebbe condurci con altrettanta maestria in ogni grande città, senza nemmeno il bisogno di scomodare l’ormai ubiquo termine di ‘globalizzazione’. L’ultima citazione concentra infine la sostanza del percorso tra parole e immagini unita al messaggio delle note critiche finali e sfata ogni pessimismo: “If there exists a sense for reality, there also has to be a sense for possibility… who possessed it for example does not say: here is this or that happened, will happen, has to happen, but invents: here could, should, ought happen” (p. 121). Sembra scritta appena ieri – eppure è di Robert Musil, compagno di viaggio di cento anni fa.
Donatella Cacciola Storica dell’arte, Bonn
Learning from Paris, Berlin, New York… and Proust
di Donatella Cacciola Mythos Metropolis. Die Stadt als Sujet für Schriftsteller, Maler und Regisseure , Franziska Bollerey, Gebr. Mann Verlag, Berlin/I.H.A.A.U. Delft 2006, German/English text (pp. 154, € 24,90)Possono i progettisti urbani di oggi imparare a guardare la grande città attraverso l’occhio di scrittori, pittori e cineasti – in una parola, artisti – che l’hanno vista uno, due, tre secoli addietro? È questa la sfida che propone questo libro.
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- 28 giugno 2006