Arne Jacobsen tra architettura e design

di Massimiliano Di Bartolomeo

Arne Jacobsen, Carsten Thau, Kjeld Vindum, The Danish Architectural Press, Copenhagen, 2001, (pp. 560, s.i.p.)

Se è vero che “un buon architetto può essere anche un buon designer mentre non sempre è vero il contrario”, l’architetto danese Arne Jacobsen, “sismografo dell’architettura dell’ultimo secolo”, si è mosso con naturale poesia tra le diverse scale di progetto esprimendo un unico pensiero che illumina il suo lavoro attraversandolo con forza.

Carsten Thau e Kjeld Vindum hanno realizzato un libro che racconta la vita di Arne Jacobsen, un volume di molte pagine edito dalla Danish Architectural Press e per il quale sono stati necessari dieci anni di lavoro e ricerche. La possibilità di consultare un’opera così completa svela quanto sia seducente il salto di scala, e di tempo, tra la pensilina della stazione di servizio Texaco, 1937, e la sedia The Ant, un classico del 1952: dove poche linee di disegno in pianta e prospetto raccontano questi splendidi progetti, accomunati da una mano progettuale e da una sensibilità artistica che sarà possibile riconoscere in ogni lavoro dell’architetto danese.

Meno facile, e soprattutto meno corretto, legarlo a una particolare corrente architettonica. Arne Jacobsen non è dogmatico nel proporsi come padre della versione Nordica del Funzionalismo, definito nel libro “soft or rounded modernism”: comunque rivendica una solida formazione classica. È sicuramente repentino e radicale il salto di stile, e di tempo, che si verifica tra la realizzazione neoclassica della Steensen’s house, 1927, e il progetto della The House of the Future, in occasione del Forum Exhibition nel 1929, ma intellettualmente corretto.

La Casa del Futuro esprime una pianta a spirale dove i contenuti e le funzioni non sono più legati alla stanzialità degli abitanti come nella Steensen’s house, bensì al concetto di movimento e dinamismo. L’abitante è dinamico, in avvicinamento e allontanamento, rispetto al centro rappresentato dalla casa mentre l’automobile, l’aeroplano e l’imbarcazione sono i suoi mezzi di locomozione che troveranno ricovero presso la casa. La Spirale che Paul Klee teorizza nel 1925 rappresenta il movimento da e verso un centro: allontanamento dal centro come fase di esponenziale liberazione, il raggio della spirale aumenta repentinamente, avvicinamento al centro come fase di esponenziale dipendenza, il raggio della spirale tende a dissolversi. Il radicale salto di stile è motivato nella necessità di un linguaggio appropriato, e in questo senso è corretto parlare di architetto come sismografo, perché Arne Jacobsen è attento lettore della contemporaneità dalla quale attinge tendenze e contenuti da maneggiare e manipolare nel suo lavoro e dove i canoni del funzionalismo sono inquinati dal suo virtuosismo a garanzia che non diventino mai dogmatici. Il funzionalismo si riconosce in un attraversamento degli spazi nell’espletamento delle funzioni e non in una rigida destinazione d’uso degli ambienti. Nelle sezioni dei suoi progetti riconosciamo il ruolo dei volumi che dinamicamente uniscono funzioni, attraversano i diversi livelli, mettono in comunicazione un lato est con un lato ovest.

In Simony House un parallelepipedo obliquo raggiunge i tre piani della casa amplificando i volumi ma mantenendo separati gli ambienti: mentre nel complesso residenziale di Soholm la spazialità ottenuta relazionando la zona living con la zona pranzo è sorprendente rispetto le ridotte dimensioni. E come le tre ciminiere della Odde Fish Smokehouse, che segnano verticalmente in modo monumentale la facciata dell’affumicatoio. Il mattone a vista e il legno sono i materiali privilegiati per rivestire i volumi che compongono i suoi progetti, rafforzando questo rapporto diretto con la tradizione costruttiva dell’architettura danese.

Le finestre sono un altro momento di forte sollecitazione, perché condizionate nella forma e nella posizione dall’orientamento dei diversi volumi: il disegno esatto delle finestre sullo spigolo della Harby Central School, la grande apertura sul mare ricavata nel tetto inclinato della casa estiva di Ebbe Munk, e i tagli trasparenti nel tamburo della Henriksen’s house, chiaro riferimento alla casa del futuro.

Probabilmente la casa Ruthwen-Jurgensen può rappresentare la complessità del linguaggio progettuale di Arne Jacobsen. La pianta è spezzata in tre volumi, di cui uno inclinato rispetto agli altri, raccolti intorno a una corte e trattati con materiali differenti: grandi aperture verso il mare ma anche chiusura nel serio rivestimento in legno scuro che interessa la parte centrale, un momento ludico (nell’utilizzo di showcase trasparenti che separano e confondono, attraverso oggetti e piante, l’interno dall’esterno) ma anche di assoluto rispetto verso l’abitante che nelle “orchid window” coltiverà le sue amate orchidee.

Nei “grandi progetti” l’esponenziale incremento di scala, la complessità delle funzioni e le molteplici interazioni tra abitanti e architettura, rappresentano una severa variabile di progetto. Il St. Catherine’s College a Oxford è un progetto dove si può apprezzare la capacità di rendere, attraverso la serialità e l’incessante moltiplicazione del modulo, la complessità dello spazio.

Il modulo strutturale si ripete all’infinito perdendo così la sua identità di funzione e acquisendo una nuova dimensione compositiva e gli interni godono di questa moltiplicazione di volume, luce e atmosfera. L’atrio di ingresso della National Bank of Denmark è monumentale nelle dimensioni ma umanizzato dalla presenza della scala che regala la possibilità di una lettura immediata delle proporzioni, mentre i tagli verticali di luce e la pulizia delle lastre in pietra che rivestono le pareti immergono il luogo in una soglia temporale dell’immanente.

Anche nel design Arne Jacobsen persegue un corretto equilibrio tra forma e funzione, rimanendo sterile al richiamo di una forzata gerarchia tra estetica e contenuto. Alcuni suoi elementi di arredo sono stati progettati in simbiosi con una sua architettura, a rafforzare l’immagine di un oggetto di design che dialoga verso l’esterno e non implode in un tentativo di affermazione formale. Il riferimento al lavoro di Saarinen e degli Eames è evidente nell’attenzione verso le forme organiche e alcune soluzioni tecnologiche: ma sedie come The Ant o la celebratissima Serie 7 sono oggetti senza tempo, che si affermano per la loro naturale bellezza, mentre la poltrona The Egg è un sofisticato omaggio all’opera di Brancusi L’origine del mondo. La sua capacità interpretativa e il ruolo di indagatore della contemporaneità si rivelano anche in questa scala di progetto.

Quest’anno è il centenario della nascita di Arne Jacobsen: mostre e libri come questo hanno il compito e il dovere di celebrare un grande architetto, che riusciva a essere anche un grande designer; magari con la stessa passione e intensità che manifestarono i suoi studenti nella fiaccolata che gli dedicarono in occasione dei suoi sessant’anni.

Massimiliano Di Bartolomeo, architetto
Il perfetto inserimento nella natura della Rüthwen-Jürgensen house: un progetto del 1956 di Arne Jacobsen
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