Giusy Checola

La produzione artistica dei luoghi comuni

Il placemaking è entrato prepotentemente nel glossario delle espressioni di riferimento dell'arte pubblica, espandendo i suoi confini alla pratica artistica nel Nord Europa e successivamente nel cosiddetto Sud globale.

Nell'accezione più diffusa placemaking è un termine che descrive la progettazione e lo sviluppo di spazi comuni e condivisi, definiti dall'interazione tra artisti, urbanisti, architetti e paesaggisti, basati sulla partecipazione, sui desideri e sul potenziale delle comunità che li abitano.

“With the increasing awareness that our human environment is shaping us, Placemaking is how we shape humanity’s future”. [1]

Apparso per la prima volta negli Stati Uniti negli anni Sessanta ad opera della scrittrice e attivista Jane Jacobs e del sociologo e urbanista William ‘Holly’ White, il placemaking è entrato prepotentemente nel glossario delle espressioni di riferimento dell'arte pubblica, espandendo i suoi confini alla pratica artistica nel Nord Europa e successivamente nel cosiddetto Sud globale, acquisendo diverse connotazioni culturali, politiche e sociali.

Il progetto intitolato Tiuna El Fuerte Cultural Park del collettivo venezuelano LAB.PRO.FAB. fondato da Alejandro Haiek Coll ed Eleana Cadalso, annoverato tra le pratiche di placemaking, ha vinto la prima edizione dell'International Award for Excellence in Public Art, promosso da Public Art Review e Public Art China. Si tratta di “un micro-modello ambientale, basato sull'idea di ripiantare sulla sua superficie una dimensione naturale e sociale”, uno spazio di supporto alle organizzazioni e ai singoli che operano tra arte, scienza, tecnologia e cultura locale. [2]

LAB.PRO.FAB., Tiuna El Furte Cultural Park, Caracas (Venezuela), 2006, progetto in corso. Courtesy Eleanna Cadalso
LAB.PRO.FAB., Tiuna El Furte Cultural Park, Caracas (Venezuela), 2006, progetto in corso. Courtesy Eleanna Cadalso

Il collettivo si muove nella dimensione politica e conflittuale dello spazio pubblico per ridefinire le connotazioni estetiche, rappresentative e funzionali di un parco a ovest di Caracas, che confina con la base militare Fort Tiuna, con l'autostrada e con una favela nota per essere molto popolata e pericolosa. Ma Tiuna è anche il nome di un eroico combattente venezuelano, che crea quindi nella subcoscienza collettiva uno spostamento di senso e di immagine: da spazio di degrado Tiuna El Fuerte diviene luogo-simbolo di rottura della marginalizzazione socio-culturale e della compartimentazione settoriale; da spazio in disuso diviene luogo di produzione di attività pubbliche, di ricerca e di conoscenza, utilizzato dagli abitanti dei quartieri vicini, da professionisti, accademici e sperimentatori indipendenti.

Il superamento dei confini sociali, del ruolo e degli strumenti tradizionali dell'architettura in America Latina è una necessità che nasce nel secolo scorso dallo studio dell'urbanistica informale, come scrive l'architetto Ana María Durán Calisto, quando grandi porzioni di città sono state auto-costruite, creando zone interstiziali in cui sentirsi più liberi, “senza bisogno di stabilire verità, mode o posizioni”. [3]

Più che di “fare spazio” si tratta dunque di “fare luogo”, non solo in termini sociologici e urbanistici ma come nuova dimensione culturale, dove si producono forme alternative di conoscenza e nuovi corredi simbolici, di cui l'arte diventa insieme strumento ed espressione privilegiato, andando perfino oltre i confini dello spazio topograficamente circoscritto. Ne è un esempio il famoso Village of Arts and Humanities, realizzato dall'artista cinese Lily Yeh nel 1989 alla periferia di Philadelphia, che ha da poco attivato SPACES, il primo programma di residenza per artisti-spacemakers che si svolgerà dal 2014 al 2016.

"L'avvenire non è che un prospettare nel futuro la volontà dell'oggi come già avente modificato l'ambiente sociale." [4]

In Europa, precisamente a Ludwigshafen, una cittadina extracircondariale situata a Sud-Ovest della Germania, un gruppo composto da artisti e curatori, cittadini e istituzioni culturali, si prepara a ridefinire le connotazioni sociali, funzionali e architettoniche degli spazi collettivi con il progetto Hack in The City, esito della ricerca curatoriale di Öykü Özsoy al Wilhelm Hack Museum.

Levent Kunt, Plakantwand, Playing the City 3, Kunsthalle Schirn, Francoforte
Levent Kunt, Plakantwand, Playing the City 3, Kunsthalle Schirn, Francoforte (Germania), 2011. Courtesy l'artista

Nata appena 170 anni fa, Ludwigshafen risente del declino del glorioso passato industriale come sede della BASF e della necessità di riformulare una visione spazio-culturale della città, per elaborare il rapido cambiamento della sua struttura sociale, oggi caratterizzata dalla presenza di ben 150 nazionalità diverse. A partire da marzo fino a settembre 2014 il museo estenderà le sue funzioni e il suo spazio fisico al Tortenschachtel, un ex centro commerciale che si trasformerà nel quartier generale del gruppo di lavoro, affinché possa divenire il nucleo di una nuova, eterogenea comunità.

Dichiaratamente basato sul carattere antagonistico dello spazio pubblico nei termini definiti dalla politologa Chantal Mouffe, tra le altre attività il progetto include l'installazione Plakantwand, la tabula-rasa dell'artista Levent Kunt composta da una serie di pannelli in legno di dimensioni variabili, su cui i cittadini potranno esprimere liberamente le loro idee, anche attraverso forme di rappresentazione e linguaggi tradizionalmente illegali. Erik Göngrich, in collaborazione con la curatrice Ece Pazarbaşı, trasformerà un bus in Tell Me What You Eat, una cucina mobile che si apposterà in diversi quartieri della città, che da spazi cartografici culturalmente suddivisi diventeranno luoghi di comunanza creativa.

Marsiglia 2013, PARCeque
Marsiglia 2013, PARCeque

Il progetto è stato sperimentato per la prima volta nell'ambito di Marsiglia 2013, nel quartiere popolare di Hauts-de-Mazargues divenuto per l'occasione PARCeque, un grande parco progettato da Göngrich insieme a Boris Sieverts, Benjamin Foerster-Baldenius e Stefan Shankland, che lo definisce “una visione utopica e una moltitudine di fenomeni reali che esistono già ma che non siamo abituati a vedere”.

Il placemaking, come nozione, approccio, pratica o strategia, pone dunque diverse questioni, di tipo artistico ed estetico, sociale e politico e, non ultimo, di tipo etico, a partire da quella a cui Hack in The City promette di rispondere: possiamo realmente pensare di poter vivere, comunicare e produrre insieme?


1
Projects for Public Space, What is Placemaking?, http://www.pps.org/reference/what_is_placemaking. "Con la crescente consapevolezza che il nostro ambiente umano ci sta plasmando, il placemaking è come noi plasmiamo il futuro dell'umanità." (traduzione del redattore).
2 “Building Alternative Public Spaces”, A-Journal / Issue #0, conversazione tra Eleanna Cadalso e Giusy Checola, agosto 2013, http://www.archiviazioni.org/public/a-journal
3 Ana María Durán Calisto, From Paradigm to Paradox: On the Architecture Collectives of Latin America, Harvard Design Magazine, N. 34, giugno 2011, http://colectivosarquitecturasa.wordpress.com/2011/05/02/443/
4 Antonio Gramsci, “Margini”, La Città futura, numero unico pubblicato dalla Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista nel febbraio 1917, http://www.antoniogramsci.com/cittafutura.htm#margini

 

Giusy Checola, autrice e curatrice, si occupa della relazione tra arte e pubblico dominio. Attualmente studia a Parigi per conseguire un Master of Research in Contemporary Art and New Media, Université Paris8, Vincennes - Saint - Denis, Paris (France).

 
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