Progettare città intelligenti aperte

Le città devono cambiare per adattarsi al grande afflusso di persone che si verificherà nel XXI secolo: dovranno essere intelligenti ma soprattutto aperte, per tutti.

Si discute molto del fatto che le città stanno diventando più ‘intelligenti’, ma diventare più intelligenti è solo una parte di quello che dovrebbe essere l’obiettivo da raggiungere. Le città hanno bisogno di cambiare in molti modi per adattarsi all’afflusso di persone che si verificherà nel XXI secolo.
Per fortuna si sta verificando una rivoluzione nel modo di concepire, creare e abitare gli spazi urbani. È una rivoluzione che non riguarda tanto il lato fisico della città (parchi, strade e case) quanto piuttosto il modo in cui la città e i suoi abitanti comunicano tra loro. Il cambiamento riguarda, tra gli altri, i tradizionali settori dell’urbanistica, del progetto e dei criteri di governo, e procede sull’impulso dell’esplosione delle tecnologie digitali e delle informazioni. È un movimento che sta prendendo forza, ma che in gran parte non ha ancora realizzato il suo potenziale. Può rendere la città più equa, straordinaria; ma se non si fa attenzione può anche ferire la società con divisioni profonde.
Un centro di controllo dei trasporti
In apertura: Method Cards di IDEO (fonte: Andt Bardill, flickr); a sinistra: Centro di controllo del traffico (fonte: Highways Agency, flickr)

Intelligenza

 

Le iniziative relative alla città intelligente spesso sono associate a tecnologie centralizzate su larga scala, fornite dall’industria privata a beneficio di un’autorità di governo. Il marchio Smart Cities della IBM è il modello tipico di questa concezione. Tuttavia rappresenta solo una minima parte dei modi in cui le città usano la tecnologie e le informazioni per farsi più agili, più precise, più efficaci.

Per esempio la confluenza dei dispositivi in grado di rilevare la posizione geografica con l’urbanizzazione e la pianificazione dei trasporti sta facendo dell’automobile privata un relitto del XX secolo. Di conseguenza per la maggior parte di coloro che abitano in città l’automobile diventerà un puro e semplice status symbol, in grado di offrire un’utilità limitata a paragone delle alternative.

Mobile Car Rental
Mobile Car Rental (fonte: Denis Bocquet, flickr)

In parecchie città sono presenti vari servizi di autotrasporto che usano gli smartphone per comunicare l’esatto orario di arrivo e che raccolgono i passeggeri in pochi minuti in qualunque parte della città (Uber, Lyft, Sidecar). Per di più molte città si sono dotate di servizi di noleggio a ore di automobili, scooter e biciclette (Zipcar, Car2go, Scoot, Citi Bike); di servizi di informazione in tempo reale sui trasporti pubblici (Next Bus); e cresce la domanda di mobilità per le biciclette e per i pedoni (WalkScore).

Si sta formando un ecosistema alternativo che offre ai singoli la disponibilità di varie scelte di trasporto. I cambiamenti dei trasporti urbani descrivono solo una delle numerose trasformazioni che hanno luogo nella città. Imprese, amministrazioni pubbliche, organizzazioni non governative e singoli individui si stanno trasformando per offrire e ricevere servizi urbani in un mondo digitalizzato. Rafforzare i rapporti tra questi attori attraverso un trasferimento immediato e preciso di informazioni è un bene per gli individui, per le organizzazioni e per le reti di cui fanno parte.

Municipal Bike Rental
Bike sharing comunale (fonte: Shinya Suzuki, flickr)

Apertura


L’intelligenza non è l’unico concetto cui badare quando si discute del futuro della città: quello di ‘apertura’ è altrettanto critico. Per ‘aperta’ intendo un’infrastruttura giuridica, politica, commerciale e tecnologica che permette a tutti, e in particolare all’amministrazione pubblica e ai cittadini, di condividere informazioni e dati senza praticamente alcuna difficoltà. Ciò vale sia per le informazioni digitali, sia per gli strumenti digitali usati per il trattamento di queste informazioni. Innovazione e progresso spesso si verificano quando le persone entrano in contatto con idee ed esperienze nuove, che possono modificare e di cui si possono appropriare. Ciò storicamente ha costituito uno dei punti di forza della città, grazie alla sua natura cosmopolita, come indica la correlazione con il numero dei brevetti e con il PIL. E questa risorsa, nell’epoca digitale, va utilizzata sempre più a fondo.

Walk Score
Walk Score

Tuttavia, per sfruttarne pienamente il valore, apertura deve significare apertura per tutti. Il che riguarda il dislivello che si è formato tra gli alfabetizzati e gli analfabeti digitali. Senza gli strumenti necessari per accedere ai dati e alle informazioni pubbliche queste restano di fatto riservate o per lo meno solo parzialmente pubbliche. Limitando il numero delle persone che hanno accesso alla tecnologia e quindi alle informazioni si limita la possibilità di idee e di innovazioni che potrebbero arricchire la società. Certi potranno considerare gli smartphone e i computer un lusso, e invece di fatto sono indispensabili a partecipare alla conversazione che si svolge nella società della cultura digitale moderna.

L’apertura, come la democrazia, non ha mai fine, anzi è un processo continuo. Stabilire semplicemente che a un certo punto i sistemi e le informazioni siano ‘pubblici’ e presumere che ne derivino immediatamente l’innovazione e la trasparenza è una prospettiva semplicistica. Coltivare l’apertura richiede una corretta gestione di strumenti, norme e processi oltre che la crescita di una prospettiva culturale generale.

Open Knowledge Foundation
Open Data (source: Open Knowledge Foundation, flickr)

Progetto

 

E allora come ottenere città più intelligenti e più aperte? Occorre servirsi del pensiero progettuale, che è la capacità di risolvere i problemi sintetizzando fattori e concetti disparati nella competenza, nella bellezza e nell’empatia. Il pensiero progettuale costruisce la maggior parte dell’esperienza quotidiana e determina un salto di qualità – in termini di scopo, di rapporti e di significato – negli oggetti che tocchiamo, negli ambienti che abitiamo e nei processi di cui siamo partecipi. Spesso implica l’interdisciplinarità.

Il pensiero progettuale ha la capacità di sintetizzare e armonizzare l’esplosione degli strumenti digitali con i complessi problemi del mondo. Questi problemi talvolta vengono definiti ambigui per la mancanza di precisa definizione e di soluzioni concettuali. Far progressi nel risolverli renderà davvero la città più intelligente. Per di più il pensiero progettuale ha la capacità di aprire il percorso verso una città più aperta perché, quando viene usato per risolvere un problema, oltre che del ‘come’ si occupa anche del ‘perché’. Se si vogliono rendere più aperte le città – e cogliere i frutti creati da tale apertura – occorre essere in grado di formulare entrambe queste domande.

Lezione di computer su un autobus
Lezione di computer su un autobus (fonte: Rotary Club of Nagpur, flickr)

È tuttavia importante distinguere tra il pensiero progettuale e le professioni che classifichiamo sotto l’ombrello del progetto. Nel pensiero progettuale possono essere coinvolti, e di fatto lo sono, molti professionisti oltre quelli che vengono considerati progettisti: per esempio strateghi di scenario, imprenditori, tecnici e pianificatori. E in molti casi coloro che vengono chiamati progettisti finiscono con l’essere poco più che dei fabbricanti di gadget (il che è una palese sottovalutazione delle loro competenze!). Fatto sta che conta la prospettiva, non la qualifica.

La soluzione dei problemi della città del XXI secolo non verrà da singole risposte, ma piuttosto da prospettive pluralistiche, a rete e graduali, come le nuove soluzioni di trasporto già citate. Occorre progettare città in cui la priorità vada alla comunicazione effettiva e non al controllo. Se ci riusciamo avremo fatto dei progressi verso la città intelligente aperta di cui abbiamo bisogno.

 

Reed Duecy-Gibbs, designer e urbanista, è stato titolare di una borsa di ricerca del programma Fulbright  e cofondatore di OpenUrban, piattaforma web senza fini di lucro per la condivisione delle informazioni sull’evoluzione della città. Attualmente è membro di Code for America di San Francisco.

Conversation
(fonte: Felipe Cabrera, flickr)

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