Città che sentono

Argomento in voga ma dall'identità ancora tutt'altro che definita, le smart cites si possono affrontare da diversi punti di vista: risparmio energetico e impatto dei media sul cambiamento della fisionomia delle città, in primis. Ma la tecnologia potrebbe anche essere motore per la rinascita urbana, come mostra il caso dell'Aquila.

Città che sentono, città che vengono ascoltate. Le smart cites sono ormai un argomento più che in voga e, come spesso accade, proprio per questo, la loro identità è ancora tutt'altro che definita. L'argomento può essere affrontato da innumerevoli punti di vista. Quello più comune, e riguardo al quale esistono progetti finanziati dalla Commissione Europea, pone l'accento sui risparmi energetici e sulla maggior efficienza della vita in città. L'iniziativa europea Smart Cities, all'interno del Programma SETIS, si propone un significativo risparmio in tre aree: edifici, reti energetiche e trasporti. Aziende come IBM o Cisco Systems hanno già attivato specifiche divisioni e progetti pilota in questi campi. All'interno di questo scenario, certamente auspicabile, s'individuano posizioni diverse che enfatizzano altri aspetti delle trasformazioni degli scenari urbani.

Alcune prospettive interessanti a questo proposito sono emerse alla Triennale di Milano durante il convegno Media City. New spaces, new aesthetics curato da Francesco Casetti, docente a Yale. I tre giorni di studio si proponevano d'indagare l'impatto dell'uso dei media sul cambiamento della fisionomia delle città. "I media non sono più solo strumenti per trasmettere le informazioni all'interno e all'esterno dello spazio urbano", ha spiegato Casetti. "Potendo fornire un costante monitoraggio ambientale, guidano i movimenti e le scelte dei cittadini; mantenendoli sempre connessi, sono diventati una nuova forma di organizzazione sociale e promuovendo un più forte senso di partecipazione, mettono in atto nuove forme di cittadinanza". L'aspetto più evidente di questa evoluzione è naturalmente l'uso pervasivo degli schermi per comunicare con i cittadini, ma le alterazioni più profonde e durevoli sono forse quelle meno visibili e rese possibili dalla convergenza di media e funzioni in dispositivi piccoli e portatili. Se è vero, come ha sostenuto Giuliano Noci del Politecnico, che già nel 2013 ci saranno più smartphones che personal computer, la città – ha spiegato il docente – "diventerà un 'grande medium', che fornirà diverse opportunità di contenuti e servizi, non più legate alle fisicità dei luoghi, ma piuttosto ai 'contesti di vita', che dipendono dalla situazione concreta di ogni individuo in un dato momento della giornata".

Così, nei vari luoghi, ci sarà una sempre più accentuata convergenza di funzioni, che entreranno anche in conflitto fra loro, come hanno ricordato Ruggero Eugeni e Maria Grazia Fanchi, docenti della Cattolica, nel corso delle giornate di studio, che hanno visto la partecipazione, fra gli altri, di Kurt W. Forster di Yale, della sociologa e antropologa Chiara Giaccardi, della Cattolica e di Mario Abis, membro del consiglio di amministrazione della Triennale.

Ospite d'onore è stato Henry Jenkins, docente alla University of Southern California, promotore di una concezione "dal basso" delle smart cities, in cui sono i cittadini stessi ad attivarsi per migliorare la vita della città. Lo studioso americano è autore di vari volumi, fra cui il più noto è Cultura convergente (Apogeo 2007), in cui delinea i caratteri della nuova comunicazione digitale, ubiqua, creata e gestita dagli utenti. Jenkins propone un'idea di "nuova ecologia civica", che non si concentri soltanto sulla trasmissione delle informazioni, ma tenga conto degli aspetti rituali che rafforzano il senso di appartenenza sociale e culturale, per riprendere una distinzione introdotta dallo studioso dei media James Carey.

"L'ecologia civica è per me il modo in cui i cittadini danno forma alle informazioni che circolano e le utilizzano per le decisioni", ha spiegato Jenkins. "E questo può avvenire a vari livelli a seconda di come vengono usati gli strumenti di comunicazione". Per raggiungere lo scenario auspicato dallo studioso, è necessario aumentare al massimo la circolazione d'informazione rilevante e credibile e rendere i cittadini sempre più consapevoli e inclini all'impegno in prima persona. Un esempio è l'iniziativa del comune di Boston New Urban Mechanics, che intende promuovere una forma di participatory urbanism, con la possibilità per i cittadini di segnalare problemi di vario genere, in particolare relativi al traffico e contribuire a dar forma a servizi studiati sulle proprie necessità, come Where's My School Bus, un'app che mostra su smartphone o computer l'esatta posizione del pulmino che porta i figli a scuola. Sono molti anche i progetti del MIT Center for Civic Media, dove si propone ai cittadini una vera e propria data therapy, che comporti l'apprendimento di tecniche di raccolta e di presentazione dei dati. Ma poiché non di soli algoritmi vive l'uomo, Jenkins ricorda che esistono anche progetti come VozMob (Mobile Voices), una piattaforma nata per raccogliere, via telefono cellulare, e condividere le storie dei lavoratori immigrati che vivono a Los Angeles.

In Italia, una risposta alle avvincenti sperimentazioni citate da Jenkins potrebbe essere fornita dai progetti di ricostruzione dell'Aquila, già citati da Domus, dove proprio negli stessi giorni si teneva l'incontro Città intelligenti e ricostruzione partecipata, per incoraggiare progetti e idee "dal basso", in grado di far ripartire la città abruzzese. Qui la tecnologia non rischia di diventare invadente e a volte ingiustificata protagonista dello scenario urbano, ma potrebbe costituire sul serio il motore per la rinascita.

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