Domus 1105 è in edicola

Dall’architettura del riuso al design dello scarto, nel numero di ottobre, il guest editor 2025 Bjarke Ingels esplora il riciclo come etica e linguaggio del XXI secolo.

Il viaggio di Domus in questa edizione autunnale si apre con l'indagine sul segreto della felicità, un ossimoro scandinavo cementato in Finlandia per l'ottavo anno, come ci racconta Loredana Mascheroni. La formula è cristallina: fiducia sociale, welfare e una cultura che onora la semplicità. 

Questa lievità si lega all'architettura degli affetti, simboleggiata dai Mumin di Tove Jansson e indagata da Anniina Koivu nella mostra “Happiness”. La fiera Habitare 2025, focalizzata sull'imperfezione e il tatto, con i padiglioni in Luonnonbetoni di Collaboratorio, ci svela che la materia stessa cerca una forma più onesta. 

Domus 1105, ottobre 2025

La rivista si addentra poi nelle geografie emotive e fisiche: Valeria Casali analizza i Sehnsuchtsorte di Sigurd Larsen; Loredana Mascheroni traccia il “metodo come chiave del progetto” di Fauciglietti Engineering; ed Elena Sommariva valora l'architettura italiana nel rapporto con il territorio e i maestri. Valentina Petrucci raccoglie la visione del produttore cinematografico Pietro Valsecchi su Roma, denunciando la perdita d'identità a causa del turismo superficiale ed entrando contemporaneamente nel binomio Roma-Cinema. Il design si fa personale con Francesco Franchi che, nello speciale sulle biciclette personalizzate, vede il telaio come una “tela in movimento”. Nelle complessità ambientali, Stefano Mancuso ci mette in guardia dal “futuro che non vogliamo”, prevedendo l'aumento delle città esposte al caldo estremo. Roberto Battiston celebra il Sole e l'architettura come arte della mediazione con la luce, tema ripreso da Marco Soravia di Velux. 

Javier Arpa Fernández vede nel Lago Aral un monito globale. A un estremo opposto, Valentina Sumini ci parla di architettura spaziale con il progetto Nasa Mycotecture Off Planet, dove gli habitat lunari potrebbero essere coltivati dal micelio fungino, segnando il passaggio dall'estrazione alla coltivazione nel cosmo. Il design e l'arte elevano lo scarto a tesoro: Maxence Grangeot trasforma i detriti di calcestruzzo in muratura ciclopica; Eran Chen mostra come il riuso adattivo possa convertire un parcheggio in un parco urbano. Thomas Dambo assembla pallet e rifiuti nei suoi giganti Troll, mentre Thomas Deininger (autore della copertina) compie un atto di “biomimesi inversa”, creando sculture figurative da plastica non riciclabile. 

In questo numero di Domus abbiamo distillato un imperativo categorico: il Riciclo non è una moda, ma la prassi etica e progettuale per il XXI secolo.

Il recupero di scarti sonori nei diffusori Noon e di legno difettoso nelle Upcycling Guitar di Yamaha dimostrano come l'imperfezione generi bellezza. Michael Johansson (Orthogonal Assemblies) ordina con ossessiva precisione gli oggetti scartati, onorando le tracce di vita. L'artista Vhils (Alexandre Farto), incide le superfici urbane, trasformando l'intervento sul muro in un gesto di archeologia urbana e di memoria. Walter Mariotti stesso ci introduce all'opera del designer brasiliano Jorge Zalszupin e alla filosofia di ospitalità di Villa Le Volte in Toscana. 

Silvana Annicchiarico celebra il talento dei vincitori del Muuto Design Contest 001. Simona Bordone si interroga sulla civiltà del libro o dell'immagine nell'era dell'Intelligenza Artificiale, mentre Alberto Mingardi riflette sull'accesso a Internet come diritto conquistato. Le Pratiche di disobbedienza di Paola Carimati esaltano lo human design delle Ong nel far emergere la verità sulla crisi migratoria. L'amicizia è la chiave per ridefinire interi settori, come dimostra la partnership che ha rigenerato lo stabilimento di Planet Farms (con Luca Travaglini e Carlo Molteni, analizzata da Mariotti), trasformando la necessità post-incendio in un manifesto di tecnologia e design. 

L'intera opera si chiude con l'ossimoro per eccellenza di Kathleen Ryan (analizzata da Bjarke Ingels), che trasforma i rottami industriali in sculture di frutta ammuffita adornate di pietre preziose, compiendo l'estremo gesto alchemico di trasformare lo scarto in tesoro.

Il Diario di Paul Smith riflette sugli orologi pubblici e Sommariva stessa sul fotografo Fosco Maraini e il valore della memoria visiva. 

Domus 1105, ottobre 2025

In questo numero di Domus, la cui copertina è l'opera di Deininger — un vero e proprio atto di “biomimesi inversa” che trasforma i detriti plastici in un'illusione di forma e colore — abbiamo distillato un imperativo categorico: il Riciclo non è una moda, ma la prassi etica e progettuale per il XXI secolo. Il Guest Editor Bjarke Ingels stabilisce subito la premessa: nell'epoca dell'Antropocene, dove l'impronta umana è sedimento geologico, i giacimenti del futuro non sono nella terra, ma negli scarti del nostro passato. La sua stessa abitazione, un traghetto dismesso, incarna l'estetica della ridefinizione radicale, dove l'esistente offre una generosità spaziale che il nuovo non saprebbe eguagliare. 

Il saggio di Aaron Betsky eleva il riuso creativo a stile del nostro tempo, sostenuto da una triplice logica ineludibile: la sostenibilità di fronte all'insostenibilità dell'estrazione, la giustizia sociale che rompe le gerarchie del “nuovo è sempre meglio”, e la bellezza insita nel familiare. L'architettura deve evolvere da “affermazione dello status quo” a rivelazione del possibile.

L'architetto Anders Lendager concretizza questa filosofia nell'assunto “La forma segue la disponibilità”. Egli ci pone di fronte all'unica via: proteggere, trasformare e rigenerare. Le sue Upcycle House non sono esperimenti utopici, ma prove d'orchestra di un'architettura che dimostra una riduzione delle emissioni fino al 90%, trasformando il frammento in un catalogo di materiali circolari e l'eccezione in norma industriale. 

A dare il colpo di grazia al sistema è Olaf Grawert, che con la sua consueta lucidità attacca il Capitalocene, il sistema di valori che ha ridotto l'edificio a un bene finanziario la cui demolizione è la regola, non l'eccezione. La demolizione – che in Europa avviene un edificio al minuto – è un atto di violenza non solo materiale, ma sociale, che spreca l'energia incorporata e spazza via la storia. Grawert ci indica l'unica risposta corretta: la ristrutturazione, che deve triplicare il suo tasso attuale per rispettare gli obiettivi climatici. 

La visione di Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal è il manifesto etico più netto: l'imperativo “Non demolire mai”. Essi ci mostrano come la generosità spaziale non nasca dal lusso, ma dal rifiuto di sprecare, trasformando strutture anonime e sottovalutate — come gli alloggi popolari di Bordeaux o il Palais de Tokyo — in luoghi ricchi di opportunità, dove l'architettura è un atto di intelligenza minima per il massimo risultato. Per loro, il riciclo dei materiali da demolizione è un mero alibi che maschera l'atto distruttivo. 

Infine, l'arte e il design completano la metamorfosi: da Dirk van der Kooij che comprime scarti plastici in lastre pittoriche, all'artista dei Troll, che assembla pallet di scarto in giganteschi Troll per popolare un upcycling wonderland. Johansson ordisce assemblaggi ortogonali di oggetti comuni che ne celebrano l'usura come traccia di vita, e l'ossimoro supremo di Ryan (analizzata da Ingels) che riveste i rottami di motori e parafanghi con gemme semipreziose, compiendo l'estremo gesto alchemico: trasformare lo scarto in tesoro.

Un viaggio come sempre estremamente affascinate e dunque, buona lettura!

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