La storia del confine tra Italia e Slovenia è stata narrata per molto tempo seguendo una rigida contrapposizione tra stati nazionali che ha condensato stereotipizzazioni e divisioni, impedendo a lungo di comprendere la complessità culturale e sociale di questo territorio composito e stratificato. Oggi che il nuovo confine italo-sloveno non è più oggetto di contesa è possibile guardare al passato andando oltre la semplificazione, analizzando affinità e punti di contatto di un’area che da sempre accoglie molteplici possibilità di coesistenza.
Le architetture straordinarie che raccontano un confine inquieto: quello tra italia ed Est Europa
Roberto Conte e Miran Kambič svelano con le loro fotografie un secolo di edifici affascinanti e poco conosciuti al confine tra Italia e l’Est Europa. A Trieste, la mostra “Le Affinità di Confine” racconta storie di convivenze, tensioni e influenze reciproche.
Foto Roberto Conte
Foto Miran Kambič
Foto Miran Kambič
Foto Roberto Conte
Foto Roberto Conte
Foto Roberto Conte
Foto Roberto Conte
Foto Miran Kambič
Foto Roberto Conte
Foto Roberto Conte
Foto Roberto Conte
Foto Roberto Conte
Foto Roberto Conte
Foto Roberto Conte
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- Ilaria Bonvicini
- 17 luglio 2025
È questo quello che propone di fare la mostra “Le Affinità di Confine. Architetture tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia” a cura di Luka Skansi e Paolo Nicoloso, con le fotografie di Roberto Conte e Miran Kambič: un’indagine visiva e critica sulla natura di confine condotta attraverso l’architettura come lente privilegiata per leggere forme visibili di identità stratificate e condivise.
Il progetto, promosso da ERPAC Friuli Venezia Giulia su iniziativa di Guido Comis, si inserisce nel programma “GO!2025&Friends”, parte delle celebrazioni per Nova Gorica e Gorizia Capitale europea della Cultura. L’esposizione non intende ricostruire una cronologia esaustiva dell’architettura transfrontaliera, ma vuole invece proporre un’analisi per immagini fondata sul confronto visivo: oltre cinquanta dittici di edifici italiani e sloveni raggruppati per funzione, epoca o linguaggio, suggeriscono affinità, dissonanze e influenze reciproche.
La struttura espositiva si sviluppa in tre nuclei cronologici – dalla fine dell’Impero austro-ungarico agli anni tra le due guerre, fino alla stagione post-bellica e alla nascita della Slovenia indipendente – e restituisce la profondità del dialogo architettonico tra due realtà storicamente contigue, ma divise da frontiere mutevoli. L’architettura, grazie alla sua capacità di lasciare il segno sul paesaggio e nella memoria collettiva, rappresenta qui una testimonianza ideale per cogliere specificità locali e influenze transnazionali mettendo in discussione la linearità delle narrazioni. “Essa è viva, rappresenta un fatto fisico”, spiegano i curatori, “che con la propria forma, dimensioni, spazialità, relazioni urbane o ambientali partecipa al tempo presente”.
Al centro della mostra, infatti, il dispositivo del dittico rivela una scelta curatoriale che vuole andare oltre la semplice giustapposizione. Ospedali, scuole, palazzi istituzionali o residenze si confrontano in una dialettica di linguaggi architettonici che riflettono ideologie, sistemi politici e modelli culturali differenti. L’immagine diventa così strumento di lettura analitica in grado di restituire un affresco complesso di un’area che ha fatto della pluralità culturale il proprio tratto distintivo.
1988-96, architetto Vojteh Ravnikar
1937-40, arch. Jože Plečnik
1925-38, arch. Alessandro Limongelli e Provino Valle
1937-39 arch. Edvard Ravnika
1930-38, arch. Ghino Venturi
1935-37, arch. Umberto Nordio
1931-32, arch. Herman Hus
1955-59, arch. Gino Valle
1960, arch. Gianni Avon
1959-82, arch. Edvard Ravnikar
1963-66, arch.tti Antonio Guacci, Sergio Musmeci
1978, arch.tti Luciano Semerani e Gigetta Tamaro
1978, arch.tti Luciano Semerani e Gigetta Tamaro
1977-79, Gruppo Kras