Quando Akasha e Gabriele Ottino vengono invitati a usare in anteprima Sora, il software text to video di OpenAi, non pensavano che avrebbero prodotto molto presto un clip per il musicista napoletano Liberato. La chiamata del regista Francesco Lettieri li ha presi alla sprovvista: “Eravamo appena arrivati in Giappone, in piena fase di sperimentazione con l’intelligenza artificiale, quando Lettieri ci ha contattato”, raccontano. “Aveva visto i nostri lavori precedenti e ci ha proposto un esperimento: realizzare un nuovo video per Liberato”.
Lettieri, noto per aver curato a lungo l’estetica di Liberato, ha seguito da vicino lo sviluppo del progetto fornendo alcune richieste specifiche. I due registi sono partiti da queste suggestioni e hanno deciso di trasformare i vicoli di Napoli con l'atmosfera ambigua tipica del sogno. “Volevamo un’atmosfera onirica in cui non fosse chiaro cosa fosse reale e cosa no, un po’ come succede in questa città incredibile”, spiegano i registi. “Alla fine abbiamo scelto la faccia più ‘esoterica’ di Napoli”.
L’idea di fondo era interpretare il testo della canzone e l’attrazione che trasuda per la città partenopea, mostrata “in tutte le sue sfumature, senza limitarsi agli aspetti turistici”. E in questo processo le AI generative hanno giocato un ruolo interessante.”Abbiamo imparato a usare Sora, un software di generazione video di cui eravamo “alpha tester”, tra i pochi in Italia. Non sapevamo nemmeno se fosse già utilizzabile commercialmente, ma abbiamo deciso di buttarci lo stesso”.
Volevamo un’atmosfera onirica in cui non fosse chiaro cosa fosse reale e cosa no, un po’ come succede in questa città incredibile. Alla fine abbiamo scelto la faccia più ‘esoterica’ di Napoli.
I due registi sottolineano come la difficoltà iniziale si sia rivelata anche uno stimolo: “Unire la professionalità e le tecniche tradizionali con un software nuovo, usato da pochissimi, ci ha costretto ad andare a fondo nelle funzioni disponibili. Abbiamo sperimentato molto il “blend” di immagini, adottando un approccio più artistico che strettamente cinematografico. È stato interessante scoprire quanto l’equilibrio tra girato e generato potesse risultare sfumato”. E aggiungono, “le scene riprese col drone e con il gimbal, che sono le uniche rigorosamente reali, sembravano le più artificiali, tanto che in molti hanno pensato fossero generate. Ci piaceva mantenere quest’ambiguità, la stessa che a volte si percepisce tra le strade di Napoli: ti sembra di muoverti in un set, ma è tutto vero”.
Per rendere verosimili le parti ricreate in AI, i registi hanno dovuto approfondire la storia architettonica della città. “Cercavamo un’estetica barocca e rococò, la parte più “carnevalesca” e ornamentale di Napoli. Non volevamo risultasse finta, quindi abbiamo studiato come descrivere mercati, vicoli e scorci: con i prompt giusti, Sora restituiva un immaginario un po’ fedele e un po’ surreale”. L’effetto di “zoom infinito” senza stacchi di montaggio che è stato utilizzato è ormai celebre nel mondo AI, anche perché è stata una delle prime tecniche a emergere, ma “in realtà i nuovi programmi come Sora non sono predisposti per questo effetto, che però era quello che desiderava Lettieri e che anche a noi sembrava perfetto per il concept del video”.
La produzione insomma è stata tutt’altro che automatica. “C’è un’idea sbagliata secondo cui basta premere un pulsante e avere il risultato. In realtà, passavamo ore a trovare i giusti prompt, a correggere dettagli, a selezionare le scene e a rimontarle. Se usi l’AI come un gioco, ottieni risultati incredibili e divertenti; ma se approcci in modo troppo “serio” o puramente utilitaristico, diventa frustrante”.
I registi non pensano che l’intelligenza artificiale soppianti il cinema tradizionale: “È un timore esagerato, dettato da chi conosce poco lo strumento. Se vuoi girare un film classico, oggi come oggi Sora non è certo la scelta più adatta. Forse può sostituire parti di post-produzione o effetti speciali, ma nel nostro caso l’AI si è integrata con riprese reali e competenze già consolidate”.

È una trasformazione culturale che paragonano, in qualche modo, alla differenza tra la musica orchestrale a quella elettronica: “Sono sempre musica, ma appartengono a categorie estetiche diverse. L’AI non è qui per sostituire i mestieri, quanto piuttosto per ampliarne i confini. È logico che ci siano resistenze, anche legate al timore della perdita di posti di lavoro. Ma questo è un problema politico e sistemico: sono paure che nascono in un mercato già marcio di suo, dove lo sfruttamento è all’ordine del giorno”.
È stato interessante scoprire quanto l’equilibrio tra girato e generato potesse risultare sfumato
Durante la produzione del video, i registi hanno vissuto anche in prima persona le polemiche sul leak di Sora, che emerse come protesta da parte di alcuni artisti che come loro facevano parte del gruppo di tester. “Sora è un progetto di una grossa “multinazionale” dell’AI: è un apripista, e dovrà certamente ricevere critiche”, raccontano. “Però le critiche che abbiamo visto all’inizio erano un po’ “anestetizzanti” rispetto alle questioni reali. Accusavano OpenAi di sfruttare gli artisti dell’alpha program, ma in realtà eravamo stati semplicemente invitati a testare lo strumento: potevamo anche rifiutare o non dare feedback durante l’uso. A volte, paradossalmente, sembrava quasi che fossero proprio gli “artisti ribelli” a fare gatekeeping, perché erano tra i pochi che detenevano già certe competenze e mezzi. Il loro invito a non usare uno strumento reso disponibile (seppure a un costo) alle masse suonava come dire “queste cose le possiamo fare solo noi”. Perché usare l’open source richiede ancora più mezzi e competenze. È giusto criticare i potenti, ma non con critiche sterili che mirano solo a preservare il proprio orticello. Noi non ci siamo sentiti sfruttati: è stata una fortuna dal punto di vista professionale. Le critiche sono in realtà necessarie, ma spesso sembrano perdersi in discorsi meno sensati, forse anche perché ancora non abbiamo gli strumenti per affrontare la questione adeguatamente”.

“Come artisti non dobbiamo per forza né usare né rifiutare lo strumento, ma possiamo anche fare una parte per confrontarci, fornire feedback e, se possibile, migliorarlo”. Uno degli aspetti più critici di Sora ad esempio è la presenza di stereotipi ricorrenti. “Generare donne che non siano stereotipicamente belle è quasi impossibile, viene fuori sempre un cliché di bellezza occidentale. Lo stesso vale per altri prompt, se chiedi dei bambini “stressati” sono sempre afro o orientali. È fondamentale che chi usa questi software segnali simili problemi, così da correggere i bias nel tempo, anche se purtroppo molti sono inevitabilmente legati al bias, che, come la nostra società, è spesso razzista e sessista”.
Anche la black box dell’AI rimane un ostacolo. “Individuiamo i problemi e le potenzialità, ma non possiamo sempre intervenire direttamente. Servirebbero dataset più aperti e specializzati, così da permettere diversi tipi di applicazioni e non ricadere nei soliti cliché. Effettivamente, come dicono gli artisti del leak, questi software dovrebbero essere più aperti. Ma anche accessibili”. Inoltre, sottolinea Gabriele, “l'utilizzo dell'intelligenza artificiale ha un impatto ambientale significativo, che non possiamo ignorare. Se integrata in processi produttivi come la realizzazione di video tradizionali, può in realtà ridurre in parte l'impronta ecologica. È essenziale che questo tipo di tecnologie non rimangano solo scelte aziendali imposte in un secondo momento alla massa, ma che diventino un discorso pubblico fin dal principio, per conoscerne i limiti e poter far fronte ai rischi che questa tecnologia potrebbe rappresentare in futuro”.

Il contatto diretto con Liberato, dicono, è stato breve ma intenso: “Abbiamo lavorato di più con Lettieri, ma nelle call con Liberato è venuta fuori la sua ironia, come quando ha detto: “Non usiamo Sora, ma assòrt’””, ridono i registi. “Temevamo un po’ le reazioni dei napoletani, perché non conosciamo la città così a fondo, ma alla fine i commenti negativi erano più che altro sull’uso dell’AI. Invece Napoli ha apprezzato l’atmosfera del video”.
Un ultimo spunto lo dedicano al concetto di copyright e al valore del lavoro tecnico-artigianale. “Siamo critici verso l’attuale sistema di copyright. Viene spesso brandito come scudo contro l’AI, ma alla fine non tutela davvero gli artisti, finendo per favorire i soliti noti. Inoltre, l’arte è da sempre un intreccio di influenze e ispirazioni reciproche: trovo grottesco invocare all’improvviso un’iperprotezione, come se non ci fossimo sempre “copiati” a vicenda. È vero che l’AI potrebbe depotenziare una certa forma di competenza tecnica, ed è vero anche che se questo causasse problemi lavorativi andrebbe trovata una soluzione politica. Però va anche ammesso che gli aspetti squisitamente tecnici non sono il cuore di un processo creativo”.

La loro conclusione, in fondo, è pragmatica: “Per noi l’AI è una frontiera da esplorare con curiosità e spirito pionieristico, non un nemico da temere. Non è esente da limiti e problematiche, ma la critica che preferiamo è quella costruttiva. Il nostro esperimento è stato giocare con un video ambiguo, onirico e sperimentale che con altri mezzi non era possibile. Ci sono cose per cui l’AI è perfetta e altre per cui è inutile, ma ci sembra che qui abbia funzionato per esprimere il fascino straripante di Napoli”.