Febbre Gialla

A Design Indaba Ng'endo Mukii è partita dall’animazione Yellow Fever per mettere in discussione la rappresentazione degli “indigeni” nel cinema e nella fotografia etnografica.

Ng’endo Mukii, <i>Yellow Fever</i>, still da video
“Durante la mia presentazione a Design Indaba ho discusso la rappresentanzione di persone definite come “indigeni” nel cinema e nella fotografia etnografica.
Ho confrontato il processo di tassidermia e cinema etnografico: entrambe le pratiche comportano un atto di cancellazione, di modifica, al fine di presentare specie autoctone come icone in un contesto straniero. Entrambi dipendono dalla “ricerca del reale” o cercano di creare campioni convincenti.
Ng’endo Mukii, <i>Yellow Fever</i>, still da video
Ng’endo Mukii, Yellow Fever, still da video
Sento che il fotorealismo dell’immagine indicizzata presenta un grosso problema quando riguarda “gli indigeni”: è stato utilizzato per presentare verità assolute per così tanto tempo che il mondo non è in grado di digerire le immagini di persone non occidentali senza portare il peso di secoli di pregiudizi storici legati a – e creati da – queste immagini. Ha creato “verità” al di fuori delle quali noi come popolo non possiamo esistere.
Queste immagini presentano una storia singolare: sono state utilizzate per giustificare il razzismo, il colonialismo e la schiavitù, per appiattire e ridurre la storia africana a una pallida versione di se stessa. Per non permettere nessun cambiamento, il progresso o l’esistenza al di fuori della verità incompleta, vista tuttavia come assoluta, presentata. Come in tassidermia, i soggetti del cinema e della fotografia etnografica sono ridotti a icone delle rispettive specie e mantenuti in una stasi inconfutabile che consente una sola interpretazione di tutta la loro cultura o civiltà. Questa interpretazione è stata spesso negativa.

Ho presentato il mio documentario d’animazione Yellow Fever per mostrare come noi africani (keniani in particolare) abbiamo assorbito le verità assolute presentate su noi stessi nel corso degli anni, al punto che i nostri stessi media hanno adottato i canoni di bellezza occidentali.

Per tutta risposta, le donne e le ragazze si sentono obbligate a conformarsi a questi ideali che in sostanza vanno contro la conformazione dei nostri corpi. Questo ha influenzato la percezione della nostra immagine e usiamo costantemente prodotti chimici per lisciare i capelli e sbiancare la nostra pelle, nel tentativo di emulare questi ideali.

Ng’endo Mukii, <i>Yellow Fever</i>, still da video
Ng’endo Mukii, Yellow Fever, still da video
A Design Indaba ho proposto il documentario d’animazione come un mezzo per rompere i canoni esistenti riguardo l’immagine degli “indigeni.” L’animazione non è legata all’immagine “vera” e con l’uso creativo è in grado di emulare le emozioni e le esperienze umane a livello universale.
Dal momento che l’artista è ovviamente molto coinvolto nel portare le immagini alla vita, il pubblico non può negare l’esistenza di possibilità parallele e opposte attraverso le quali rappresentare una verità. Diversamente dall’etnografia, non è legata a un’immagine indessicale, né a qualsiasi storia singolare o a verità assolute. Grazie a questo, il documentario d’animazione permette molteplici e diverse interpretazioni dell’esperienza umana, e può aiutare a riumanizzare il modo in cui vediamo noi stessi e gli altri. Ng’endo Mukii
Ng’endo Mukii, <i>Yellow Fever</i>, still da video
Ng’endo Mukii, Yellow Fever, still da video

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