Abbiamo chiesto alla Gen Z di raccontarci il design a modo loro

Su invito di Domus, un gruppo di studenti universitari di Milano ha esplorato la città della Design Week.

Qualcuno li definisce semplicemente zoomers, ma l’etichetta più accattivante e gettonata è quella di Gen Z. Più semplicemente sono i ventenni di oggi, i cosiddetti “nativi digitali”, figli, sia biologicamente sia metaforicamente, della MTV generation. Sono ragazzi che le generazioni successive immaginano sempre connessi, abilissimi con le tecnologie e con lo smartphone sempre in mano, come un prolungamento naturale del braccio. Quasi dei cyborg: verità o stereotipo?

In occasione della inedita edizione settembrina della Design Week milanese, Domus in collaborazione con tre delle maggiori università della città, Naba, Politecnico e Università degli Studi di Milano, ha lanciato l’idea di un Osservatorio Gen Z. Ai ragazzi è stato chiesto di osservare cosa accadesse in città, attraverso foto, video verticali e brevi testi. E noi, in qualche modo, abbiamo osservato loro. Per capire come guardano le cose, come le raccontano, in che modo sono unici, freschi, diversi, “giovani” nel senso non abusato del termine. Sia singolarmente, sia come generazione.

Sei sono le tematiche che abbiamo consigliato agli studenti per la loro esplorazione: il design di un mondo post pandemico, la dialettica tra centro e periferia, la natura, la casa ideale, le vetrine e il colore. Quella che trovate qui è una selezione dei lavori che sono ne sono scaturiti: ci sono progetti più riusciti e forse altri meno, idee più o meno riuscite, e qualche spunto che speriamo troverà un seguito.

Un modo nuovo di guardare

Si dice colpito positivamente prima di tutto da come i ragazzi hanno approciato il tema della natura Claudio Larcher, area leader Design di Naba. Quella che viene restituita nelle foto e nei video dai suoi studenti, spiega Larcher, è una visione della natura in trasformazione, incorporata nella nostra vita. Una natura rielaborata, lontanissima dagli stereotipi.

“È un tema che sentono molto vicino e vivono in maniera progettuale”, spiega Larcher, per cui è tutto sommato “un messaggio positivo” se si pensa cosa aspetta questi ragazzi. Il design e i designer avranno un ruolo cardinale nel fronteggiare un futuro su cui aleggiano scenari apocalittici causati dalla crisi climatica. Per Larcher, la responsabilità del progetto va data ai giovani, “perché saranno loro i protagonisti del mondo tra pochi anni”. Un mondo che avrà bisogno di cure intense.

La responsabilità del progetto va data ai giovani, perché saranno loro i protagonisti del mondo (Claudio Larcher)

“Che bello, sai quante stories ci tiro fuori da qui?”, esclama una ragazza entusiasta varcando l’ingresso dell’installazione di Hermes alla Design Week. È l’aneddoto con cui Claudio Larcher introduce il fondamentale tema del rapporto tra Gen Z e immagine, nel quale – spiega – “c’è il cuore del loro approccio anche nella percezione della vita reale”. Rispetto alle generazioni che li hanno preceduti, sono più abituati a leggere le immagini, a farle loro attraverso mediazioni, commenta Larcher, aggiungendo che agire sulle foto è alle fondamenta del codice culturale della Gen Z, e scattarne di molto belle un dono piuttosto frequente tra questi ragazzi.

È una generazione questa, spiega Larcher, che surfa su piani diversi e diverse superfici con estrema scioltezza. Ma la conseguenza di giocare su così tanti tavoli, e di trovare tutto così facilmente accessibile, è che l’investimento sulla ricerca, e di conseguenza la sedimentazione dei concetti, risulta inversamente proporzionale. “Si rischia che tutto diventi fatto per emulazione, come fondamentalmente accade su Instagram”, e quindi se un tempo per visitare il Fuorisalone leggevi la guida, “ora invece tutti fanno le stesse foto durante la Design Week”. Al tempo stesso, questo cambio d’approccio non è per forza negativo. “Non vorrei che sembrasse una critica passatista: non lo è affatto”. E la capacità di produrre, leggere e trasformare immagini rappresenta un valore su cui gli studenti potranno lanciare una carriera, che per molti di loro potrebbe essere nell’art direction prima ancora della progettazione in senso stretto. “Prenderei subito alcuni di loro per valorizzare i miei lavori a livello di immagini”, conclude l’area leader design di Naba.

L’incontro con la bellezza e la libertà ritrovata

“Dopo più di un anno di vita universitaria negata o limitata e ‘rinchiusa’ negli spazi digitali, nove studenti del corso di laurea in Comunicazione e Società dell’Università degli studi di Milano hanno accettano l’invito ad uscire e a muoversi nella città per raccontarci il punto di vista della Generazione Z”, scrive Angela Biscaldi,  professore associato in antropologia culturale al Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell'Università Statale di Milano, che affida a un breve saggio che riportiamo qui integralmente il suo commento del progetto lanciato da Domus.

BUBBLE (PLAN X art gallery, via Marsala 7) di Mattia Sormani, Università Statale di Milano
BUBBLE (PLAN X art gallery, via Marsala 7) foto di Mattia Sormani, Università degli Studi di Milano

“Mi viene spontaneo leggere le fotografie e i video che ci hanno consegnato come indici più ampi della loro dimensione esistenziale: non tanto come la documentazione di un evento noto e rilevante (Il Salone del Mobile) prodotta a partire da uno sguardo particolare (quello dei giovani), quanto piuttosto come la possibilità di capire qualcosa di più del vissuto di una generazione a partire da ciò che questa stessa generazione ritiene degno di nota e visibilità sociale. In questo senso, nell’incontro con la bellezza – di cui ognuno dei ragazzi e delle ragazze coinvolti ha colto aspetti particolari – e nell’incontro con la libertà di movimento, in parte ritrovata, emergono alcuni campi semantici ricorrenti, trasversali rispetto ai temi proposti.

Sono le lunghe code per il controllo del Green Pass; il senso del limite e l’invadenza della regola esposta dai cartelli ‘capienza massima due persone’ e dai tracciati sul terreno che impongono un preciso distanziamento fisico; i gel disinfettanti che, come scrive uno studente, ‘sembrano diventare parte delle istallazioni’; le mascherine indossate e poi tolte e poi di nuovo indossate da visitatori e turisti, a volte riprese in primo piano, a volte sullo sfondo; il senso di separazione prodotto da vetri, vetrine, plexiglass, teche, bolle. Accanto a questi lasciti della pandemia – e in costante riferimento ad essa – non possiamo non notare la presenza costante del mondo digitale, di cui i giovani sembrano cogliere ad un tempo il senso di solitudine (immortalando uomini e donne ripiegati sul proprio smartphone, come chiusi in una bolla) e l’inevitabilità di uno stile di fruizione estetica e di narrazione sociale indispensabile e gratificante”.

I video realizzati dagli studenti

La Gen Z merita più spazio

“Settembre, è tempo di migrare, disse un tale. No, rispose Milano, è tempo di incontrarsi in un’insolita Design Week”, scrive Luca Fois, docente di Design degli eventi al Politecnico, il quale continua affermando che “ogni paragone con passate edizioni primaverili è fuorviante per l’assoluta specificità di questo evento”.

Continua così: “Era da fare per tanti motivi e interessi, particolari e generali, del Sistema Milano&Design, che funziona, perché, da sempre, nasce e si sviluppa dal basso e oggi, finalmente, incontra l’alto delle istituzioni. Un sistema che penso abbia bisogno di forti dosi giovanili a partire dalla generazione Z in grado di avere un ruolo innovativo nel design di prodotto e di servizio e soprattutto nei consumi. Dosi di valori nuovi, alternativi, per nuovi standard di qualità più che di quantità. Ampi settori di questa generazione sono in grado di influenzare la ricerca e la strategia delle aziende che, come si è visto in quei giorni, tardano nell’innovazione”.

Poi, Fois entra si spinge oltre, per dire la sua: “Anche quest’anno ho fatto cose e visto gente, e ho osservato molti giovani, non solo studenti del ‘settore’, ma anche giovani nei primi anni di carriera. Non so dire quanti, non ci sono dati che lo dicano, ma ho percepito maggior consapevolezza nei comportamenti. Poca attenzione, al contrario, dalle aziende alle nuove generazioni”. Poi, il docente passa ad analizzare com’è stato vissuto il salone su Instagram e dintorni.

“Ovviamente centrale il ruolo dei social particolarmente adatti alle infinite immagini da condividere per invitare coetanei ad appuntamenti in “zona” dove era pure palpabile il piacere di esserci e di esserci in compagnia. Le location dove era rappresentata la progettualità giovanile sono state molto frequentate, ma erano poche e questo è un problema”. Fois si augura quindi “più spazio per stimolare e valorizzare i contributi creativi, progettuali, sperimentali e di linguaggio dei giovani, ‘materia prima’ poco e mal riconosciuta dalle aziende, ma fondamentale per l’evoluzione di un mercato un pò troppo conformista e a detta di molti ragazzi ‘datato’, non pensato per loro”.

Questo è un “mega dato”, spiega Fois, di cui i brand dovranno tenere conto. E i designer, pure.

Hanno partecipato all’Osservatorio Gen Z gli studenti del triennio di Design di NABA: Amerigo Girardi, Erik Mladenov, Nam Truong, Noemi Catalano e Camilla Vaghi, Sara Fesa, Zishan Liu.
Dalla Laurea Magistrale in Design della Comunicazione Politecnico di Milano e Laurea Magistrale di Integrated Product Design: Federica Vatri, Greta Pesarini. 
Dal triennio di Comunicazione e Società, Dipartimento di Scienze Politiche, Economiche e Sociali presso Università degli Studi di Milano : Arianna Guadagno, Palina Birukova, Federica Saquella, Gabriele Coviello, Giulia Zotaj, Greta D'Addetta, Mattia Sormani, Silvia Babic, Sofia Ciccotta. 

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