Le piccole fantasie quotidiane di Alessandro Mendini

In attesa che riapra, la mostra al MADRE di Napoli è un viaggio nel mondo del maestro, denso di colori, immagini, oggetti e utopie collettive.

Nell’Italia rossa, arancione e gialla sono chiusi anche i musei che, lentamente e a fatica stavano iniziando a proporre momenti espositivi per riavvicinare il pubblico verso una nuova, normale offerta culturale. Proprio qualche giorno prima della chiusura al Madre di Napoli si è inaugurata la mostra “Alessandro Mendini: piccole fantasie quotidiane” a cura di Arianna Rosica e Gianluca Riccio. Si tratta della prima mostra in un museo pubblico italiano dopo la sua scomparsa ed è stata realizzata grazie a una stretta collaborazione con lo Studio Mendini e in particolare con le figlie Fulvia ed Elisa.

A partire dalla partecipazione ai fermenti radicali con il Controdesign e alla rivalutazione del decorativo in dialogo con la cultura artistica d’avanguardia, la mostra si dipana come un viaggio a stazioni dense di colori, disegni, immagini, oggetti, visioni e utopie. Un universo personale, unico capace di esaltare un’indiscutibile abilità narrativa da cui emerge un Mendini con le sue complessità e contraddizioni che si chiariscono nella continua ricerca di strumenti operativi e concettuali. Una vita vissuta, alimentata dall’impossibilità di fissare norme generali e sempre valide, di una condotta che guarda a linee di forza di superamento utopico del presente, che si insinua nelle intersezioni, negli incroci tra le discipline.

Alessandro Mendini: piccole fantasie quotidiane, Madre, Napoli, Italia, 2020. Foto Amedeo Benestante

Ecco che Scivolavo (1973), Sedia di paglia (1974) e Sedia terra (1975) aprono questo viaggio con tutta la loro ambiguità semantica tipica di chi ha saputo giocare sempre sul filo del paradosso adottando l’ironia come una modalità importante del discorso e del comportamento progettuale. Punteggiano questo primo snodo anche alcuni preziosi collage e disegni come Per Gianni Pettena. Progetto di una facciata della Casa Radicale all’Isola d’Elba (2007) e il Monumentino da casa (1973).

Nel descrivere la sua vocazione Mendini ha sempre sottolineato come il suo interesse fosse concentrato sui nodi più delicati della creatività individuale e collettiva, sull’azione di montaggio e smontaggio per realizzare la sua testimonianza, la sua personale stella “più o meno brillante nella costellazione dei linguaggi estetici”. La produzione teorica e la direzione editoriale si intrecciano con l’elaborazione progettuale formando un unicum nel panorama internazionale della cultura del progetto. Una densità rilasciata attraverso opere che ne racchiudono la profondità come gli omaggi a Balla, a Depero, a Kandiskij e le straordinarie maschere in ottone e smalti colorati. Una rassegna di volti trasfigurati a indicare un personale dialogo aperto con Antonio Sant’Elia, con Tommaso Marinetti, con i fermenti dell’avanguardia futurista e il desiderio di ravvivare il mondo attraverso il colore, la decorazione e la sperimentazione formale. È la spinta dell’umano verso l’utopia. “Stare oltre il nostro tempo, superare la nostra dimensione” affermava Ollo presentando la rivista senza messaggio. Si compone così un’intensa sezione dedicata alla straordinaria avventura di Alchimia definita dallo stesso Mendini come un libero e continuo movimento del pensiero.

Alessandro Mendini: piccole fantasie quotidiane, Madre, Napoli, Italia, 2020. Foto Amedeo Benestante

Il colore illumina oggetti come lo specchio Kandissone (1978), il tavolo Zabro (1984). L’allestimento della mostra asseconda le opere esposte attraverso una selezionata scansione cromatica delle pareti che passano dal rosa al giallo al celeste. Una sequenza di grandi campiture che aiutano la fruizione e la lettura delle varie stazioni/sezioni. Il mobile infinito (1981-2004) restituisce il desiderio di condividere un viaggio alla ricerca di complici capaci di disegnare una biblioteca di forme, un mobile filosofico come amava definirlo.

Un sistema di pensiero mutualistico e collaborativo che si rinnova grazie alla partecipazione di tanti suoi compagni come Andrea Branzi, Michele De Lucchi, Mimmo Paladino, Francesco Clemente e altri. Lo stesso sistema seguito nella realizzazione del Groninger Museum, un patchwork di visioni e di utopie realizzate. La stazione Proust è quella in cui ci si smarrisce nella potenza visionaria di Mendini. La ricerca di una via letteraria dà forma a un oggetto, a una superficie fortemente riconoscibile attraverso un gesto di redesign, di sforzo minimo con la massima resa. È il momento de La Poltrona Proust (1978) e delle sue molteplici declinazioni. Anche questo è un omaggio alla pittura di Signac, Seurat e nel sistema mendiniano diviene un paradigma relazionale con gli oggetti e con il quotidiano più in generale. Lo testimoniano il Pinocchio (2000) e la Casetta (2000), scultura in legno dipinto. Su uno sfondo rosa alle pareti si apre la stazione dedicata agli Stilemi. Si tratta di una stazione di transito in cui cogliere elementi formali, estetici che hanno ispirato i lavori di Alessandro Mendini a Napoli, città con la quale ha avuto un rapporto intenso sia dal punto di vista personale che professionale. Tre i progetti che chiudono questo viaggio nel mondo Mendini: l’ideazione delle fermate della metropolitana di Salvator Rosa e Materdei e la riprogettazione di alcuni elementi chiave nell’ambito dei lavori di rinnovo della Villa Comunale. Una mostra che rilancia le idee e i sogni di un gigante della cultura del progetto che “per loro natura sono immateriali ma possono muovere azioni e cambiare le cose” come afferma in uno dei testi del catalogo Franco Raggi, uno dei tanti complici della straordinaria vicenda creativa di Alessandro Mendini.

Titolo esposizione:
Alessandro Mendini: piccole fantasie quotidiane
A cura di:
Arianna Rosica e Gianluca Riccio
Dove:
MADRE, Napoli, Italia
Date di apertura:
dal 30 ottobre 2020 al 1 febbraio 2021

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