A Eindhoven una mostra sulla sabbia, il petrolio dell’era digitale

Tra gli appuntamenti più attesi della Dutch Design Week 2020, “Geodesign: Sand. The building block of modernity” della Design Academy Eindhoven al Van Abbemuseum analizza a 360° la seconda risorsa naturale più utilizzata sul pianeta Terra dopo l’acqua.

I designer non possono più esimersi dal conoscere i meccanismi sociali, culturali ed economici globali nei quali siamo immersi. Scommette sull’indagine di questi sistemi complessi uno degli appuntamenti più attesi della Dutch Design Week 2020, la piattaforma espositiva Geodesign della Design Academy di Eindhoven. “Sand. The Building Block of Modernity” a cura di Martina Muzi è il terzo capitolo di una narrazione stratificata che quest’anno, vista la delicata situazione globale, appare come momento ancora più necessario per cogliere la fase di profonda trasformazione del sistema produttivo e culturale, in un rapporto osmotico del mondo del progetto. È in questa dimensione in divenire che il Geodesign trova le sue ragioni, le sue possibilità di alimentare nuove forme di soggettività e di immaginario.

La mostra in corso al Van Abbemuseum usa la sabbia come materia prima per narrare gli squilibri che dominano gli scenari globali sempre più interconnessi. La sabbia marina o desertica, per intendersi quella da cui si estrae il silicio, elemento base della nostra esistenza digitale ma anche materiale costruttivo della modernità, attira sempre più l’attenzione dei designer. La sabbia è il fondamento delle città antiche e moderne. Un materiale estratto, manipolato, miscelato, soffiato, trasformato e utilizzato in quasi tutto il design contemporaneo: macchine, strutture, prodotti, case, infrastrutture, sistemi di comunicazione. È la seconda risorsa naturale più utilizzata sul pianeta Terra dopo l’acqua. L’estrazione della sabbia è spesso una delle cause primarie del collasso degli ecosistemi. La sabbia, quindi, come uno degli elementi più critici della nostra vita quotidiana. Attraverso lo sviluppo di nove ricerche originali e il coinvolgimento degli studenti della Design Academy Eindhoven, la mostra invita a considerare questo elemento non solo come il petrolio dell’era digitale contemporanea, ma soprattutto come un ingrediente base per provare a disegnare sistemi alternativi di produzione nel futuro più prossimo.

Float, Christoph Dichmann e Elissa Brunato. Foto Joep Jacobs

È chiaro che mettere in campo questioni geopolitiche rappresenti per il mondo del progetto una condizione sempre più necessaria: il Geodesign attiva svelamento e conoscenza e segna la strada per un lavoro di invenzione, di condivisione di sapere all’interno di immaginari capaci di esprimere anche qualche forma di dissenso. Si accorda con questa tensione Carry on, and so on and so on, progetto di ricerca sviluppato da Rawad Baaklini and Tiiu Meiner. Attraverso un racconto per immagini sulle dinamiche di sfruttamento in tre diverse cave d’estrazione in Olanda, Estonia e Libano si declina la continua resilienza del paesaggio a fronte di dinamiche economiche orientate solo al profitto. Amplifica questa logica asimmetrica Building Relay di Leo Orta. Attraverso un’installazione ambientale composta da sculture, modelli e video, il designer analizza, indaga il ruolo dei principali attori economici e l’utilizzo che fanno della sabbia nella realizzazione delle nuove strutture urbane per i Giochi Olimpici di Parigi del 2024. Anche Dark Water Tours di Bich Tran Quang denuncia come l’eccessiva estrazione della sabbia alla foce del fiume Mekong stia determinando la distruzione di un delicato ecosistema basato sulla convivenza di antiche tradizioni legate alla pesca e all’artigianato di prossimità con l’ambiente naturale.

“Sand. The Building Block of Modernity” può essere vista come un manifesto celebrativo della natura, della sua complessità che, assecondata, può dare vita a risultati semplici e funzionali ma allo stesso tempo ricchi di senso. Un invito a sviluppare una sensibilità creativa capace di salvare gli oggetti da un rischio di insignificanza, da un uso puramente strumentale, attivando riflessioni sul nostro modo di vivere e le relazioni profonde ma spesso trascurate tra noi e la natura. Landscope di Baiba Soma e Romain Laval mostra il ciclo della sabbia dall’estrazione all’applicazione in progetti di costruzione nello sviluppo turistico del Marocco segnalando la conseguente devastazione sociale e ambientale. Conclude questo viaggio sospeso tra potenzialità e storture globali di una risorsa fondamentale e non rinnovabile come la sabbia il progetto di Atelier NL (Nadine Sterk e Lonny Van Ryswyck) To See a World in a Grain of Sand. Una seminale ricerca che ha anticipato e sviluppato una forma di archivio vivente attorno a centinaia di campioni di sabbie provenienti da tutto il mondo. La mostra tratteggia una mappa che fotografa il nostro tempo e la personale condizione degli attori coinvolti lasciando emergere la necessità per i designer di sentirsi membri attivi di un mondo in costante trasformazione.

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