Mai rimiriam*: specchi e riflessi tra design e arte

Oggetto magico e mitico nell’antichità, la storia moderna dello specchio inizia nel XV secolo. I suoi usi sono molteplici e spesso ancora spiazzanti: di sicuro ha cambiato l’immagine che abbiamo di noi stessi.

Opera d’ascolto per lettura: Arvo Pärt, Spiegel Im Spiegel, 1978

L’oggetto-non-oggetto di questa riflessione si potrebbe anche definire una semplice superficie grigia, per via dell’argento da cui deriva, che rimane sempre, apparentemente, come uno scorcio anonimo ma attraente di un luogo in cui però, se si guarda bene, avvengono cortocircuiti visivi e inganni spaziali.

Siamo all’ultimo capitolo di una trattazione di sofisticate argomentazioni suggerite da Lorenzo Damiani, che riguardano le sostanze primarie del progetto, tra materiale, tipo, struttura e superficie, partita dal legno, passata dalle sedie, poi dall’aria come materiale da costruzione e ora giunta allo specchio, come superficie progettuale che può ospitare idealmente e visivamente anche tutte le altre superfici che affronta temporaneamente. Quasi una anti-superficie, che non ha immagine e può adottarne ogni altra.

L’oggetto-non-oggetto è anche oggetto-senza-immagine, nonostante sia l’oggetto che più di tutti produce immagini. L’immagine che si riproduce nello specchio è unica e vista solo da una persona, perché tutte le altre persone che guardano lo stesso specchio contemporaneamente lo vedrebbero da un altro punto, quindi vedrebbero riflesse altre cose, altri spazi.

  

Lo specchio è anche solitamente un oggetto idealmente senza retro, che quasi sempre sta su un muro, che ragiona per mezzo della super-superficie e parla per tramite dello spazio virtuale.

In origine e in natura, solo le superfici d’acqua rimandavano una immagine specchiata e la storia dei manufatti per l’evoluzione umana vede degli oggetti con superfici specchianti già nell’antichità ma esclusivamente riservati a Faraoni, Re e Imperatori o a persone di magia.

Lo specchio ha una superficie “magica”, che da sempre ha attratto artisti e tutti. Anche i miti antichi se ne sono occupati, e per rimandare a ricordi o riscoperte citiamo solo le vicende di Narciso, di Medusa o del Basilisco che in modi diversi citano gli specchi come superfici attraenti, difensive o distruttive. Per non parlare dei miti contemporanei, ovvero le favole, come “Attraverso lo specchio” (e quello che Alice vi trovò) o “Biancaneve” e il celebre “specchio delle mie brame” della Regina Grimilde.

Anish Kapoor, Clud Gate, Millennium Park, Chicago, USA, 2004
Anish Kapoor, Clud Gate, Millennium Park, Chicago, USA, 2004

Avvicinandoci al design e alla realizzazione di artefatti, con una produzione tecnica che si sviluppa, tra Venezia e la Boemia, nel XV secolo nascono e si diffondono lentamente i prototipi degli specchi che ancora oggi si producono, con lastre piane di vetro su cui è applicata una sottilissima lamina metallica riflettente.

Questa diffusione segna un passaggio particolarmente importante per la presa di coscienza dell’immagine di sé stessi e come prima e continua occasione quotidiana di riconoscersi o disconoscersi.

  

Lo specchio ha dato la possibilità ad ogni singolo individuo del popolo, fino ad allora solo suddito, di realizzarsi nella propria “immagine e somiglianza”, ed è quindi contemporaneamente oggetto di virtù (con la conoscenza di sé) e di perdizione e vanità (che porta alla lussuria). Oggi invece si ha tutti a che fare con quel “black mirror” che teniamo in tasca e che tramite i selfie è la nuova frontiera dell’azione contemporanea di specchiarsi o di rivedersi e riconoscersi, non più solo tra sé e sé, ma tra sé e la società (social).

Tornando allo specchio come oggetto-non-oggetto, tutti i giorni nelle nostre case scandisce spesso i vari momenti della giornata, poco dopo la sveglia e poco prima di dormire, prima di uscire, quando non ci si sente bene o quando ci si sente innamorati.

Ettore Sottsass, Ultrafragola, Poltronova, 1970
Ettore Sottsass, Ultrafragola, Poltronova, 1970

Lo specchio di solito serve per guardarsi e non per guardare altro, anche se in architettura non sono rare le eccezioni di un uso spaziale orientativo o disorientante di tale superficie.

Da non dimenticare che questa superficie, quando piana, rimanda una realtà virtuale, in proporzioni ma ribaltata, una riflessione al contrario, cosa che capiamo sempre ancora benissimo quando si leggono le scritte sui cofani dei mezzi di soccorso dove, con una idea grafica assoluta, radicale e che resiste, le scritte risultano specchiate per essere lette immediatamente “dritte” negli specchietti retrovisori, mentre si guida e ci si deve subito fermare per cedere il passaggio.

  

Se invece la superficie è concava o convessa, anche solo di pochissimo, deforma la realtà fino a renderla irriconoscibile. Soprattutto se concava la superfice ha un effetto lenticolare che, se posizionata sotto i raggi solari, ha dato vita in passato agli specchi ustori usati come armi laser ante litteram e oggi più pacificamente alle cucine solari usate come attrezzi per la preparazione dei cibi.

Infine lo specchio offre una superficie anche per nascondere: facciate intere che cercano di mimetizzarsi o vetrate specchianti che riflettono il cielo (memorabile il progetto di Gio Ponti per il Palazzo Montecatini a Milano, 1938), oppure superfici specchianti usate per degli schermi tecnologici che si dissolvono lasciando vedere altre immagini di solito televisive o fotografiche, fino agli occhiali a specchio che celano definitivamente il nostro sguardo, proteggendolo, liberandolo e distraendo il nostro osservatore.

Tham & Videgård, Treehotel - Mirrorcube, 2008-10
Tham & Videgård, Treehotel - Mirrorcube, 2008-10

Forse troppo facile ma anche troppo bello “speculare” su questa tipologia di oggetto.

Tra design e arti molti autori hanno disegnato progetti esemplari in cui, come avviene per il light design dove il soggetto principale è la qualità della luce oltre la qualità del supporto, la sorpresa della visione tra superficie, spazio e cornice è sempre la chiave di lettura dell’opera.

Rimandiamo quindi alle varie “gallerie degli specchi” dove il discorso potrebbe continuare con altre lungimiranti e caleidoscopiche riflessioni senza soluzione di continuità.

*Mai rimiriam, titolo di questo articolo, è volutamente palindromo: in esso la prima parte del testo si specchia e invertita diventa la seconda con senso compiuto.

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