Lisa White: “Il futuro del design è open source”

Intervista alla curatrice dell’undicesima Biennale Internazionale di Design di Saint-Étienne, “Me, Nous, You. Designing Common Ground”, su plastica e sostenibilità, inclusività, macchine e processi produttivi.

Lisa White, curator Biennale Internationale Saint-Etienne

Bioeconomia, biotech, intelligenza artificiale, open-source… Sono queste le parole-chiave dell’undicesima Biennale Internazionale Design di Saint-Étienne che ha per titolo “Me, Nous, You. Designing Common Ground” e ha per tema quello dell’inclusione, sociale e non. La curatrice Lisa White, trend forecaster americana, sostiene che vorrebbero vedere più donne, più minoranze e più disabilità nel mondo del design. Quello che invece vediamo sono fin troppi oggetti. Per questo nella mostra da lei curata “Systems not stuff” indica alcune vie alternative alla produzione in senso classico. Incontrata nelle giornate inaugurali ci racconta quali.

Come può il design affrontare i temi importanti della nostra epoca, il cambiamento climatico, l’inquinamento e l’ineguaglianza sociale?
Sono argomenti davvero importanti: si sarebbe potuta fare una biennale per ciascuno di essi. È stato difficile scegliere solo alcuni progetti, ci è voluto tanto tempo, un anno pieno. Lavorando sui trend futuri (trend forecasting), sia quali sono i più grandi agenti del cambiamento. Ho provato per la biennale a giudicarli dal punto di vista del design: sia da un punto di vista sociale sia da quello locale. Quella di Saint-Étienne è una biennale internazionale, ma è anche molto legata al territorio. Ed è proprio da qui che sono partita per parlare di plastica e sostenibilità, d’inclusività, di colore, di macchine e processi produttivi.

Vista della mostra "Systems not stuff" curata da Lisa White
Vista della mostra "Systems not stuff" curata da Lisa White

Pensi che la riposta per salvare la natura (e noi stessi) possa venire dalla natura stessa?
Certo, nella misura in cui anche noi siamo parte della natura. Di solito tendiamo a considerare la natura separata dalla cultura, ma non lo è. Nei talk inaugurali, che si parlasse d’inclusione, o d’intelligenza artificiale, si parlava sempre di natura e di natura umana. Spesso, insieme a un veleno c’è anche il suo antidoto. Ed è questo il punto in cui ci troviamo ora: abbiamo avvelenato il mondo in molti modi ma, lavorando insieme, abbiamo anche la possibilità di trovare l’antidoto.

Abbiamo avvelenato il mondo in molti modi ma, lavorando insieme, abbiamo anche la possibilità di trovare l’antidoto

Non è troppo tardi dunque…
Sono una persona molto ottimista. Da me si sentirà sempre parlare del bicchiere mezzo pieno. Del reto, se pensi che è troppo tardi, non fai niente. E questo non è il momento giusto per arrendersi. Si dice che il momento migliore per piantare un albero fosse 50 anni fa. Il prossimo momento migliore però è adesso. Dobbiamo agire subito tutti insieme. Dobbiamo fare salire a bordo le persone, cominciare a fare capire che dobbiamo fare qualcosa. Per questo abbiamo allestito il Plastic workshop, dove i visitatori capiscono che possono dare il loro contributo reale.

Vista della mostra "Systems not stuff" curata da Lisa White
Vista della mostra "Systems not stuff" curata da Lisa White

Non pensi che riciclare la plastica sia una soluzione non soddisfacente? Non dovremmo avere un approccio più radicale?
Assolutamente. Le bioplastiche siano una soluzione più forte. Ma, al momento, abbiamo una grande quantità di plastica e dobbiamo trovare una soluzione. Solo il 9% della plastica è riciclato. Le persone devono sapere quali sono i tipi di plastica che si possono riciclare, devono farlo in modo corretto e fare in modo che i governi investano in una vera politica di riciclaggio invece di limitarsi alle discariche. La soluzione migliore è consumare meno. Comprare meno, ma di migliore qualità. Acquistare oggetti che durino tutta la vita.

Open-source applicato a ogni cosa: alla soluzione di un problema, alla ricerca… Probabilmente sarà questa la chiave.

Pensi che le soluzioni migliori arriveranno più probabilmente dal basso o dall’alto?
Dobbiamo assolutamente lavorare insieme, perché i vertici non cambieranno se dal basso non arriveranno segnali forti. Le aziende non cambieranno, a meno che non siano i consumatori a modificare la loro domanda e le loro abitudini. Le aziende fanno quello che i clienti vogliono. Questo può essere positivo o meno. Ci sono poi aziende fantastiche come Patagonia, per esempio, che sanno quali sono le cose giuste da fare e le stanno già facendo. Non solo riciclano, ma sono disponibili a riparare i loro prodotti, stanno anche investendo nel settore alimentare per creare sistemi di miglior qualità.

Vista della mostra "Systems not stuff" curata da Lisa White
Vista della mostra "Systems not stuff" curata da Lisa White

Quale pensi che possa essere la chiave del successo di un progetto: open-source, investimenti finanziari, scoperte scientifiche…
È difficile scegliere una cosa soltanto, ma penso che l’open-source sia la cosa più importante. Open source, confini aperti, scambio di informazioni, ricerca condivisa della soluzione. È questa l’idea di “Me, you, nous”. Se dovessi sceglierne uno, direi open-source applicato a ogni cosa: alla soluzione di un problema, alla ricerca… Probabilmente sarà questa la chiave.

Dobbiamo insegnare di un nuovo approccio al design alle future generazioni. Pensi che il design debba anche fissare nuovi obiettivi?
Assolutamente e penso che molte persone ci stiano già pensando. Le persone dovrebbero avere la possibilità di riflettere meglio su quali siano le cose giuste da fare. L’altra sera, ero al ristorante e mi hanno raccontato una storia bella ed emblematica. Il proprietario di un’affermata azienda vinicola della zona, a 60 anni si è svegliato una notte pensando: “Quello che produco fa schifo, dobbiamo tornare a un modo di bere vino naturale”. Ha deciso di cambiar da un giorno con l’altro ed è stato uno dei primi a produrre vino con metodi naturali, senza alcun additivo. Dovrebbe essere lo stesso anche per le industrie, dovrebbero chiedersi come possiamo produrre nel modo giusto. Ci vuole molto coraggio: da parte delle aziende e anche dei designer.

A questo punto dovrebbero intervenire i governi per fare la differenza…
Sì, ed è ancora uno sforzo di gruppo: designer, ingegneri, aziende, governi al lavoro con lo stesso obiettivo. In open-source le persone lavorano insieme meglio.

Nella tua ricerca in tutto il mondo per un nuovo tipo di design, hai trovato diversi approcci nei diversi Paesi?
Non ho mai guardato la questione da una prospettiva nazionalistica, perché penso che molte persone in diverse parti del mondo lavorino insieme in modo naturale. Vedo più collaborazione che competizione. C’è molta condivisione. È anche vero che ci sono scuole come Central Saint Martins che sono più attente a questi aspetti. E i Paesi Bassi, una nazione intera, consapevole di possedere risorse limitate, da sempre molto sensibile a questi argomenti. Parlando di biodesign, poi, negli Stati Uniti c’è una prospettiva più tecnologica e rivolta all’industria.

Vista della mostra "Systems not stuff" curata da Lisa White
Vista della mostra "Systems not stuff" curata da Lisa White

Quali sono le prime conclusioni di questa ricerca e quale sarà il prossimo passo?
La ricerca continua tutti i giorni, lavorando nel settore del trend forecasting, guardo continuamente a cosa ci riserva il futuro. Al momento, stiamo guardando ai trend del 2022. Molte delle cose presentate in questa biennale sono ricerche in divenire, non c’è un inizio né una fine, sono in continua evoluzione.

Titolo evento:
Me, Nous, You. Designing Common Ground. 11. Biennale Biennale Internazionale Design di Saint-Étienne
Date di apertura:
21 marzo – 22 aprile 2019
Curatrice:
Lisa White
Sede:
Cité du design
Indirizzo:
3 rue Javelin Pagnon, 42000 Saint-Étienne

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