John Maeda, dal MIT a Wordpress: chi è restio al cambiamento, tende a non imparare

Intervista all’head design di Automattic, l’azienda che ha inventato Wordpress.com, sull’importanza dell’open-source e sul ruolo del designer nel mondo del business e della tecnologia.

John Maeda

Fin dai tempi dell’Aesthetics and Computation Group, fondato nel MIT Media Lab di Nicholas Negroponte, John Maeda ha sempre concentrato la sua attenzione là dove design e tecnologia s’incontrano e non possono più fare a meno l’uno dell’altra.

Il suo percorso professionale (dopo il MIT, la Rhode Island School of Design e la società di venture capital  Kleiner Perkins Caufield & Byers) ha sempre anticipato i trend del mondo hi-tech che, pur essendo fondamentale, è stata spesso complementare all’altro lato altrettanto importante della sua attività, quello artistico (“Che cosa ci riserverà la tecnologia [nel 2020, ndr]?”, scriveva nel 2010 su Forbes. “Comincerà con l'arte, il design e te stesso”). Maeda ama definirsi un “tecnologo umanista”. E la sua non è una posa: a chi gli chiede cosa leggere per avere una solida base di design digitale, raccomanda i manuali di programmazione software, ma anche i classici di Reyner Banham e Lewis Mumford. E i suoi punti di riferimento sono da sempre due mostri sacri della grafica come Paul Rand e Muriel Cooper.

Dopo tanti cambiamenti, (“Le persone restie al cambiamento, tendono a non imparare”, sostiene), l’ultimo, più recente passo è nel 2016, quando è diventato Global Head, Computational Design and Inclusion di Automattic, la più grande azienda distribuita del mondo: niente quartier generale e 859 dipendenti in 69 Paesi. Automattic è l’azienda che ha inventato Wordpress.com, ma anche WooCommerce, Jetpack, Simplenote, Longreads, Cloudup e molti altri prodotti di successo. E che, come spiega lui stesso, “crea prodotti per mantenere il web aperto”.

Instancabile e brillante oratore e autore di libri di successo, come Design by Numbers (1999), Maeda@Media (2000) e The laws of simplicity (2006), nel 2015, Maeda ha lanciato il Design in Tech Report, un documento disponibile gratuitamente online, dove condivide le sue analisi su design, investimenti, tecnologia e business dell’anno appena trascorso.

Invitato dalla curatrice Lisa White alla Biennale di Saint-Étienne, ha raccolto la non semplice sfida di concretizzare in una mostra le sue riflessioni sull’open-source e sul futuro della tecnologia.

La mostra di John Maeda a Saint-Etienne
La mostra di John Maeda a Saint-Etienne

Ti definisci “tecnologo umanista”. Con il passare degli anni l’umanesimo prevale sulla tecnologia?
Penso che più si avanza con gli anni, più si diventa umani. Quando sei giovane e inconsapevole, sei concentrato su te stesso. Invecchiando, ti rendi conto che ci sono tipi diversi di persone al mondo e di quanto i rapporti diretti siano importanti.

Nel design, bisogna essere un buon team, dove nessuno può permettersi di fare la star. Siamo entrati in una fase in cui siamo consapevoli di essere tutti – designer, tecnologi, imprenditori – ugualmente importanti.

Si ha meno bisogno della tecnologia?
La tecnologia ci offre la possibilità di entrare in relazione con le persone faccia a faccia o online, attraverso lo schermo di un computer. È un mezzo molto più potente di quanto fosse il telefono. Possiamo interagire con tante diverse persone allo stesso tempo: a distanza, ma ho anche visto persone che siedono una di fronte all’altra e preferiscono mandarsi messaggi invece di parlare. Penso a David Bowie che, intervistato dalla BBC negli anni Novanta, aveva descritto il futuro in modo accurato. Disse che Internet cancellava la distanza tra l’artista e il pubblico e che questo avrebbe portato a nuovi modi di fare arte. L’ha descritta come l’atterraggio di una forma di vita aliena. Forse era lui stesso un alieno. Ma è qui che prevale il potere del computer: è una tecnologia aliena. Dobbiamo solo imparare a capirla.

Le icone di Google Material, un sistema open-source di Google che permette agli utenti di creare prodotti digitali. © Google
Le icone di Google Material, un sistema open-source di Google che permette agli utenti di creare prodotti digitali. © Google

Il problema è che è invisibile…
Non puoi vederla. E quindi fa paura. Che aspetto ha la paura? Assomiglia a Zuckerberg? Inoltre, se non capiamo che tutto si basa su un computer, collegato in rete ad altri computer, è facile sorprendersi per la privacy che non esiste più. In realtà, non c’è niente di cui stupirsi. Anche il telefono può avere delle cimici e, quando riagganci, può continuare ad ascoltare quello che dici. Qualunque cosa collegata a distanza può essere intercettata. In Francia, ci sono due tipi di pane, con lievito madre, dall’odore leggermente acidulo, e con lievito chimico, che ha invece odore di pane (pan levain e pan levure). Devi scegliere: o sei l’uno o sei l’altro. E se scegli di essere il lievito madre, beh non puoi telefonare, non puoi nemmeno mandare messaggi.

Il climate change è una questione estremamente articolata e devi impegnarti a fondo per comprenderne la complessità. Non tutti gli argomenti possono essere semplificati.

Nel 2005, avevi detto che “conquistare la semplicità nell’era digitale è diventata una missione personale”. La semplicità può offrire una risposta alle grandi problematiche del nostro tempo, come inquinamento, cambiamento climatico e diseguaglianza sociale?
Penso che la semplicità vada bene quando bisogna affrontare temi complessi e il cambiamento climatico è una delle preoccupazioni fondamentali dell’umanità. La semplicità, in questo caso, è importante per comunicare con le persone, può aiutare a coinvolgerle, invitarle a voler capire. Ma il climate change è una questione estremamente articolata e devi impegnarti a fondo per comprenderne la complessità. La nona legge della semplicità [nel suo libro The laws of simplicity, ndr] dice che non tutti gli argomenti possono essere semplificati.

La copertina del Design in Tech Report 2019
La copertina del Design in Tech Report 2019

Il Design in Tech Report di quest’anno ha cambiato il tuo punto di vista su alcune questioni. Quali?
Ha cambiato il mio punto di vista sul modo in cui parliamo di design. Per un designer, la cosa più importante è il design. Per un tecnologo, è la tecnologia. Per un imprenditore, i soldi. Penso che bisogna essere un buon team, dove nessuno può permettersi di fare la star. Qualche anno fa, il designer era relegato sullo sfondo. Oggi, invece, siamo entrati in una fase in cui siamo consapevoli di essere tutti ugualmente importanti. È come un gioco di squadra con un obiettivo comune, che può essere soddisfare il cliente o guidare cambiamenti sociali.

È anche cambiato il ruolo del designer, che oggi è molto più complesso e completo…
Il modo in cui il design è praticato oggi nel mondo hi-tech è diverso rispetto a 10 anni fa. Ho individuato tre tipi di design: Classical design, Design thinking e Computational design [che applica cioè strategie computazionali al processo progettuale e trova soluzioni logiche e creative capaci di promuovere efficienza e innovazione, ndr]. Per fare un esempio, se il CEO di un’azienda legge sulla Harvard Business Review che il design è importante, ma assume il tipo sbagliato di designer, diciamo un grafico o un designer di gioielli, non riuscirà a cambiare il suo business. Quello di cui ha bisogno è un computational designer, che capisce la velocità delle cose e che, a volte, ha anche capacità classiche o di design thinking. Questo è il tipo di designer che io assumerei. I computational designer, concentrati per lo più nella Silicon Valley, sono quelli che stanno cambiando il mondo.

Design in Tech Report 2019
Design in Tech Report 2019

Oggi più di metà della popolazione mondiale vive in un contesto urbano e il dato è destinato ad arrivare quasi al 70% entro il 2050. Quali opportunità può offrire la tecnologia alle città del futuro?
Quando avremo tutte queste metropoli super dense, il problema principale sarà la mobilità. Tutto quello che riguarda la mobilità diventerà fondamentale e la tecnologia dell’informazione è sempre stata al centro di questo settore, sempre più collegata al cloud. Questo spiega perché molte aziende stanno investendo nei veicoli a guida autonoma. Mi fa paura, invece, quello che succederà al di fuori delle città: quando per esempio il trasporto merci su ruota sarà rimpiazzato da veicoli autonomi, quante attività moriranno?

I computational designer, concentrati per lo più nella Silicon Valley, sono quelli che stanno cambiando il mondo.

Usi i social? Qual è il tuo preferito?
Twitter è quello che uso di più. E mi piaceva prima che arrivasse Donald Trump. Non ho mai avuto un profilo Facebook. E questa si è rivelata una buona idea, visto tutto quello che è emerso sulla privacy. Facebook sta migliorando, è meno invasivo, soprattutto dopo che molti giornalisti l’hanno criticato. È stato un passaggio importante, altrimenti non sarebbero mai cambiate le cose. Attraverso i social sei accessibile a tutti e puoi trovarti in una posizione scomoda; questo però è importante, perché è così che impariamo.

Qual è il modo migliore d’insegnare il design ai bambini? Analogico o digitale?
Dipende dal tipo di design. Se vuoi insegnare il design classico dovresti comprare i libri di Paul Rand, Massimo Vignelli, Paula Scheer e dei migliori designer. Nel caso del Computational design: basta uno smartphone, perché devi capire come funziona. Per questo, nella mia mostra c’è il Material design ideato da Google, perché è una buona combinazione di Classical e Computational design. È anche utile per il Design thinking: lavorare con le persone aiuta a capire come diventare più creativi.

La mostra di John Maeda a Saint-Etienne
La mostra di John Maeda a Saint-Etienne
Titolo mostra:
Design in Tech Carte blanche to John Maeda
Date di apertura:
21 marzo – 22 aprile 2019
Sede:
Cité du design – Manufacture
Indirizzo:
3 rue Javelin Pagnon, 42000 Saint-Étienne
Sito web:
https://biennale-design.com

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