Tossicità assoluta?

I problemi della tossicità, dell’inquinamento e dei rifiuti urbani sono stati un tema centrale alla Melbourne Design Week 2019, un insieme di oltre duecento manifestazioni che guardavano al design come a uno strumento per risolvere i problemi della società e dell’ambiente.

Melbourne Design Week 2019

Il tema richiama un fondamentale saggio del 1962 dell’antropologa Mary Douglas sul rapporto tra sporco e cultura. Secondo Douglas ogni cultura ha un suo concetto di sporco, secondo le circostanze e i bisogni. “Lo sporco in assoluto non esiste”, afferma. Vuol dire che pressoché ogni cosa può essere definita ‘sporco’ se sta nel posto sbagliato. Riflettendo sul caos dell’esistenza, sostiene Douglas, ogni cultura cerca di creare un tipo di ordine simbolico e fisico. Perfino il linguaggio è una forma di ordine, che Douglas attribuisce al tentativo di dar senso alla nostra esperienza “intrinsecamente sporca”.

A dispetto dei nostri valorosi sforzi qualunque tentativo di applicare dei sistemi di classificazione andrà incontro ad anomalie, ambiguità, situazioni intermedie. Ci sarà sempre qualcosa che non si adatterà perfettamente, e che sarà invariabilmente definito ‘sporco’, ‘rifiuto’, ‘sottoprodotto’ o ‘inquinamento’. La rappresentazione di una cosa sporca quindi non solo la carica di significato, ma suggerisce in risposta la necessità di una prassi istituzionale e sociale di ripugnanza per mantenere l’ordine.

Il processo culturale della sublimazione dello sporco è fondamentale nel modo di gestire la città. Come ha spiegato il professor Michele Acuto dell’Università di Melbourne nel seminario Circular Thinking: Where Does my Recycling Go?, promosso da Assemble Papers, esiste un commercio internazionale dei ‘rifiuti’ e del ‘riciclo’ del valore di 200 miliardi di dollari l’anno. Quando metalli preziosi, carta, vetro, plastiche e materiali biologici vengono classificati come rifiuti ci si sente autorizzati a eliminarli. Vengono esportati in altri paesi dove si trasformano in risorse, spesso sottoposte a lavorazione e rimesse sul mercato.    

Il valore del riconoscimento della funzione simbolica dello sporco sta nel fatto che dà occasione di ripensare i rifiuti come potenzialmente dotati di valore e non solo come sostanze che danneggiano o minacciano l’ordine. Su questa linea i workshop organizzati da Assemble Papers sull’economia circolare hanno promosso l’adesione al pensiero circolare, l’individuazione di sistemi che non escludano e allontanino ma integrino ogni cosa in modo continuativo nella normalità.

Molte altre manifestazioni hanno sondato il valore e il significato dei rifiuti. Il dibattito Waste Challenge: Live Pitch alla National Gallery of Victoria, la tavola rotonda Waste in Time all’Università di Melbourne e la mostra Welcome to Wasteland alla galleria Compound Interest sono stati una sfida ai percorsi tradizionali del progetto e dell’esposizione. Ci sono riusciti mettendo al centro tutti gli avanzi e i rifiuti del processo produttivo del design ed esponendo oggetti di design fatti di materiale di recupero o riutilizzato, molti dei quali spesso oggetto di ripugnanza come i rifiuti ospedalieri, il sangue suino, i rifiuti industriali e gli avanzi alimentari.

Tra i materiali benigni avanzi come le strisce di gomma della Postal Chair di Adam Cornish o la Bellbottom Lounger realizzata da Danny Nao e Adam Goodrum in pasta di tessuto denim. In Archeologic Vase Guy Keulemans e Kiyotaka Hashimoto usano una forma di aggraffatura, antica tecnica di riparazione della ceramica, per creare un nuovo vaso di grès riciclato. L’industrial designer Maddison Ryder ha vinto nella categoria riservata al terziario di Waste Challenge: Live Pitch con la sua opera Lettuce Eat: vassoi biodegradabili usa e getta fatti di lattuga e gomma di xantano, raccolta nei supermercati, tritata, essiccata al sole e poi tagliata con il laser a formare vassoi da picnic.

CMYK Chair by Morgan Doty. Photo Morgan Doty
CMYK Chair by Morgan Doty. Photo Morgan Doty

In modo forse più controverso Platelet(te) di Basse Stittgen e Liam Fennessy ha riproposto alcuni aspetti della pratica ottocentesca di riscaldare e disidratare un rifiuto animale, il sangue di maiale, e di unirlo a cariche di tipo cellulosico per creare un materiale plastico consistente per oggetti come portagioielli, orologi e pareti divisorie. “Mentre di solito i prodotti animali vengono usati come fertilizzante, oggi raramente vengono utilizzati nell’arredamento e nella decorazione.”

Ma se questi metodi possono apparire innovativi, che cosa accadrebbe se il nostro vocabolario, se la definizione stessa di questi materiali di scarto aderisse allo stesso ordine che ne richiede la sublimazione? E qual è il rapporto tra sporco e tossicità, o con materiali le cui caratteristiche non sono semplicemente “materia fuori posto” ma sono realmente velenose?

Il convegno Toxic Cities ha invitato vari noti designer a proporre delle soluzioni. Joost Bakker ha descritto il suo progetto How the Waste was Won: una serie di servizi igienici per il Food and Wine Festival di Melbourne che ha raccolto urina ricca di azoto destinata in agricoltura alla produzione di semi di senape. Bakker sostiene che sia sbagliato pensare a queste sostanze come a delle minacce, invece che alle occasioni che offrono di risolvere problemi diversi.

Interventi come quello di Ross Hardy di Finding Infinity sono stati un invito a riflettere sulla probabilità dell’estinzione del genere umano se non si considera la minaccia del riscaldamento globale come un punto di svolta della civiltà e se non si realizzano nuove soluzioni urbane che cambino drasticamente il nostro modo di vivere, come l’elettrificazione dell’architettura e dei trasporti, il riciclo dell’acqua e l’abolizione delle discariche.

Nella sua presentazione Daan Roosegarde ha illustrato argomentazioni altrettanto tenebrose, descrivendo Pechino come “una città così inquinata che, solo per sentirmi sano, per poco non ricominciavo a fumare”. Per avere un po’ di respiro ha progettato in un parco cittadino un palazzo che aspira lo smog per dare al parco un’aria più pulita del 20/70 per cento. “Vivere e lavorare a Pechino […] Quando ci si sveglia al mattino ci si sente chiusi in trappola, e sta dappertutto, nei vestiti, nel naso, nel corpo […] Perciò ho provato proprio questo pressante desiderio di creare un’oasi”. In un altro progetto ha perfino compresso il carbonio dello smog in un particolare tipo di diamante, da usare in gioielleria.

La risposta consiste forse nel reimmaginare la percezione dei rifiuti, considerandoli un’altra forma di materiali efficaci, come risorse efficaci oppure, in dosi sbagliate, come veleni. L’immaginazione è il nucleo centrale di queste idee, così come, per iniziare a pensare a come uscire da questi problemi, è importante essere capaci di immaginare le cose in modo differente. Per facilitare il cambiamento culturale saranno anche fondamentali nuovi nomi e un nuovo linguaggio, dato che il modo di chiamare le cose influisce inevitabilmente sul modo in cui le trattiamo. Come dice Roosegarde “il futuro dev’essere poetico, pratico e un po’ folle, perché è l’unico modo di andare avanti”.

Evento:
Melbourne Design Week 2019
Date di apertura:
14-24 marzo 2019
Dove:
Melbourne, Australia

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