Quando Londra è diventata quella che conosciamo oggi

Dalla Domus di inizio millennio, l’istantanea di una metropoli che si reinventava internazionale, innovativa e, sorprendentemente, pubblica. 

Foto di Claus Grünstäudl

Inizia a diventare lontana nel tempo l'immagine di una Londra differente da quella che vediamo oggi, con la sua densificazione di edifici contemporanei sensazionalistici dove il Gherkin di Norman Foster è ormai uno tra tanti, e lo Shard di Renzo Piano va per i 15 anni, col suo dinamismo inarginabile ma anche con le grandi disuguaglianze sociali di una metropoli globale, oltre che un ruolo internazionale ridefinito tan te volte in un tempo minimo, tra molteplici crisi e brexit. Quelle forme e quel paesaggio urbano sono però risultati di un processo relativamente recente, che prendeva una forza esplosiva dalla metà degli anni ’90, e col passaggio di millennio iniziava a tradursi in spazi e architetture, in una nuova personalità per la città, che guardava a Barcellona e che — suona strano sia rispetto agli anni ‘80 sia a ciò che poi è divenuta oggi — investiva molto sulla sua dimensione pubblica. Rowan Moore ne tracciava un ritratto nel pieno dell'esplosione, sul numero 865 di Domus nel dicembre 2003.

Londra e il suo boom

Cinquant’anni fa a Londra inizia un fenomeno decisivo. La popolazione, in costante declino a partire dagli anni Trenta, comincia nuovamente a crescere, e da allora continua ininterrottamente. L’incremento ha raggiunto le 600.000 unità, cioè circa il 10% della popolazione totale, e un tasso di crescita analogo è previsto per il futuro. Il dato inverte la tendenza non soltanto della stessa Londra, ma di quasi tutte le grandi città del mondo sviluppato: che avevano iniziato a declinare numericamente nello stesso momento in cui le metropoli del mondo in via di sviluppo cominciavano a esplodere.

Gli effetti di questa crescita si sono manifestati solo ai giorni nostri. L’incremento è dovuto soprattutto all’immigrazione di individui di ogni livello sociale, dai poveri in cerca di asilo ai ricchi banchieri: il che aggiunge nuove trame al complesso tessuto di culture ed etnie di cui è costituita Londra, contribuendo a spingere ancora più alle stelle i prezzi degli immobili di lusso e creando una domanda elevata di spazio in una città i cui confini sono ancora rigidamente fissati dalla Green Belt, una fascia di territorio rurale in cui la nuova espansione edilizia è fortemente scoraggiata.

Domus 865, dicembre 2003
Domus 865, dicembre 2003

Negli ultimi quindici anni si sono verificati grandi mutamenti culturali e politici. La politica liberista di Margaret Thatcher è passata di moda, e Tony Blair ha raggiunto il potere all’insegna della modernità, di un interventismo benigno da parte dello Stato e di uno spirito comunitario. Londra, che sotto la Thatcher venne privata del proprio governo rimanendo senza guida a partire dal 1986, ha riottenuto il sindaco nel 2000.

Allo stesso tempo le instancabili campagne e l’opera di lobbying di Richard Rogers a favore delle sue convinzioni in campo urbanistico e architettonico hanno cominciato a mostrare effetti concreti. Già nei primi anni Ottanta aveva cominciato ad argomentare in favore di città ‘compatte’ con i vantaggi dell’urbanistica densa e mista europea e di edifici e spazi pubblici in cui investire con orgoglio, secondo le forme dell’architettura contemporanea di punta. La sua fonte di ispirazione era Barcellona, e, già molto tempo prima che il Labour tornasse al potere, Rogers era occupato a convincere assiduamente i politici del partito. 

Domus 865, dicembre 2003
Domus 865, dicembre 2003

La ricompensa per alcune delle sue idee fu il loro inserimento nella politica di pianificazione del governo; la creazione di “comunità sostenibili” – una versione della “città compatta” di Rogers – è oggi un obiettivo ufficiale del vice primo ministro John Prescott. La Commission for Architecture and the Built Environment (CABE), un organismo governativo che gode di sostanziosi finanziamenti, è stata creata per promuovere l’architettura di qualità in campo pubblico.

Dopo essere passata di moda sotto la Thatcher, l’edilizia pubblica si è riaffacciata alla scena negli ultimi anni: dapprima con musei, teatri e ponti finanziati dalla lotteria nazionale, poi sotto forma di scuole, ospedali, biblioteche e abitazioni accessibili a tutti. Va osservato che il governo Blair nel suo insieme ha una certa tendenza a sabotare le azioni politiche di Prescott. Ha anche perseguito la visione di Rogers ma in maniera meno incisiva di quanto si sarebbe creduto in passato, con evidente disappunto dell’architetto; Rogers ha però trovato un alleato politico in Ken Livingstone lo ha nominato “architetto della città” e ha istituito l’Architecture and Urbanism Unit: un gruppo incaricato di “portare Barcellona a Londra”. 

Domus 865, dicembre 2003
Domus 865, dicembre 2003

Dell’unità, guidata da Rogers, fa parte Ricky Burdett, ideatore dell’Architectural Foundation e da lungo tempo alleato della campagna di Rogers per avvicinare il mondo politico all’architettura contemporanea. Mark Brearley, un altro membro del gruppo, è uno dei leader di un’ondata di architetti britannici più giovani, interessati alle realtà peculiari e generalmente poco appariscenti di una città come Londra. Nei decenni scorsi la percezione dell’architettura da parte del pubblico, che negli anni Ottanta si dimostrava eccezionalmente conservatore, è anch’essa mutata. Strutture moderne adorate dalle folle, come il London Eye, hanno reso la gente più sensibile al potere emozionale del nuovo: persino il Millennium Bridge di Norman Foster, una volta risolte le sue famose oscillazioni, è diventato un’opera amata dal pubblico.

L’arte contemporanea è diventata di moda, persino nelle sue forme più effimere ed esplicitamente volte ad attirare l’attenzione, e la Tate Modern ha avuto un enorme successo popolare. La torre Swiss Re di Foster, più nota con il soprannome di “the Gherkin” (il cetriolo), si è inserita di prepotenza nello skyline più controverso di Londra, raccogliendo consensi da ogni parte. Nessun altro edificio alto, compresa la cattedrale di Saint Paul, ha mai goduto di una popolarità così immediata.

Domus 865, dicembre 2003
Domus 865, dicembre 2003

Negli anni Ottanta la voce dominante nel dibattito architettonico, alla quale ogni altra doveva fare riferimento e acconsentire, era quella del principe Carlo. I risultati attualmente visibili delle sue campagne di retroguardia per l’architettura sono generalmente ben lontani dall’impressionare. Tra di essi si contano una scuola di architettura ora chiusa, una rivista che ha terminato le pubblicazioni, un complesso residenziale per pochi iniziati nel Dorset e il complesso di Paternoster Square, vicinissimo alla cattedrale di Saint Paul.

Su quest’ultimo progetto il principe tentò di esercitare un’influenza diretta: terminato da poco, è un infelice compromesso tra modernità e tradizione. In poche parole la cultura inglese, per così tanto tempo aggrappata al mondo rurale, alla sfera privata e alle tradizioni, si è spostata (almeno a Londra) verso la dimensione urbana, pubblica e contemporanea. A ciò si aggiungono la tensione alla crescita, il puro e semplice volume d’affari dell’edilizia londinese e l’incremento degli edifici pubblici.

Londra ha una concentrazione elevata di architetti ambiziosi e di talento, dai maestri dell’high-tech fino alle generazioni più giovani emergenti: Foster, Rogers, Grimshaw, Alsop, Hadid, Coates, Chipperfield, Future Systems, Foreign Office Architects, Caruso St John, David Adjaye, FAT, Will Russell, De Rijke Marsh Morgan. Allo stesso tempo il tradizionale isolamento britannico, che un tempo escludeva gli architetti del continente europeo, si è allentato quel che basta per consentire a Renzo Piano, Herzog & de Meuron e West 8 di ottenere grandi incarichi a Londra. Tutti questi fattori messi insieme fanno sì che quello attuale sia un momento denso di sviluppi. 

Domus 865, dicembre 2003
Domus 865, dicembre 2003

Londra sembra essere all’inizio di una di quelle fasi della sua storia che portano un raffinamento dal punto di vista sociale, culturale e architettonico, lasciando dietro di sé un’impronta immediatamente riconoscibile per il futuro. Londra potrebbe anche realizzare il sogno di Rogers di diventare la prossima Barcellona, non imitando la città catalana ma producendo risposte peculiari alle emergenze urbane contemporanee destinate a essere osservate e imitate a livello internazionale. Eppure questa prospettiva può essere descritta più con il condizionale che con il futuro: Londra ha spesso mostrato una solida indifferenza a un’architettura sofisticata, e non è detto che sia cambiata proprio ora.

Questo impressionante affollarsi di comitati e di politiche sull’architettura non sempre è supportato da mezzi e da finanziamenti che consentano di metterne in pratica gli ammirevoli principi. Un esempio classico è la City Hall di Norman Foster, che costituisce la nuova sede del sindaco e che in teoria avrebbe dovuto essere un esempio di edilizia democratica. In pratica invece l’edificio è il prodotto di un metodo di taglio dei costi che lo fa sembrare poco affidabile e di qualità scadente. 

Un altro caso in cui il risultato finale è ancora incerto è il recente concorso per il Music Centre della BBC a White City, in cui un gruppo di splendidi partecipanti (FOA, MVRDV, Future Systems) e un briefing stimolante sono stati frenati da un budget estremamente scarso. Il principale banco di prova per Londra è ora il Thames Gateway, una vasta area a forma di cuneo, occupata in precedenza da industrie, che si estende su entrambe le sponde del Tamigi in direzione est, dai margini della City fino a oltre i confini metropolitani e al mare. Prescott e Livingstone lo vedono entrambi come il luogo che potrà assorbire gran parte della crescita di Londra, e hanno annunciato obiettivi vertiginosi per il numero di edifici in gioco. Una parte del Thames Gateway costituisce tra l’altro il sito su cui Londra si candida a ospitare i giochi olimpici del 2012.

Prescott e Livingstone hanno enunciato anche l’importanza della pianificazione ‘sostenibile’ e della progettazione “di qualità elevata” nel Thames Gateway, e l’Architecture and Urbanism Unit del sindaco ha commissionato una serie di masterplan provocatori, in gran parte redatti da giovani architetti. Herzog & de Meuron stanno approntando un piano per residenze economiche sull’area, mentre il giovane studio DSDHA ha appena terminato una scuola dall’aspetto affascinante. La London Development Agency (LDA), incaricata di riqualificare il Thames Gateway, ha istituito un comitato di progetto internazionale pieno di nomi illustri per elevare gli standard progettuali nell’area. Rogers, Foster, José Acebillo da Barcellona e Francine Houben dall’Olanda sono tra i suoi membri.

Per ora il sindaco e la LDA dispongono tuttavia soltanto di mezzi limitati per dare corpo alla loro visione: il che li rende vulnerabili alle pretese delle società immobiliari, da sempre gli attori più potenti sulla scena nello sviluppo di Londra. Se la richiesta di grandi quantità di unità abitative entra in conflitto con l’invenzione architettonica, è molto probabile che sia quest’ultima a soccombere.

Nel futuro immediato gli interventi di sviluppo urbano più significativi di Londra – come il Paddington Basin, la prosecuzione dell’espansione di Canary Wharf e il gigantesco piano in via di realizzazione intorno alla stazione Channel Tunnel a Stratford, nell’est londinese – sono opera di grandi società immobiliari. Alcuni di questi progetti hanno un che di grottesco, come il quartiere residenziale di Vauxhall Cross degli architetti Broadway Malyan; altri, come il già citato Paddington Basin, sono invece dignitosi. Alcune immobiliari si sono trasformate esse stesse in committenti, con maggiore senso del rischio: ma da sole non possono creare la nuova Barcellona. Ci vorranno almeno altri cinque anni per scoprire se le ambizioni architettoniche di Londra potranno davvero essere esaudite.

Immagine di apertura:
Londra. Foto di Claus Grünstäudl

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