Fantasia, il classico Disney riletto da Dino Risi su Domus

Il film, che compie ottant'anni, arrivò in Italia solo nel 1946. La rivista diretta da Gio Ponti gli dedicò un lungo pezzo, firmato da quello che sarebbe diventato uno dei grandi maestri del nostro cinema.  

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 215, novembre 1946.

Due milioni di dollari, cioè un miliardo circa di lire italiane di oggi, è costato il film Fantasia di Walt Disney. Fantasia è la musica esposta al popolo, è la libera traduzione cinematografica, in vocabolario disneyano, di otto pezzi sinfonici, o brani musicali: è, in parole povere, Beethoven in scala Topolino.

Disney aveva sin qui scherzato coi fanti, ha voluto stavolta stuzzicare i santi. Tutti ricordiamo una spiritosissima parodia del teatro di opera fatta anni fa dall’irriverente Walt: su un piccolo palcoscenico di provincia (la zootecnica provincia del “cartone”), una pettoruta gallina, soprano lirico, cantava il motivo della Traviata: “Sempre libera degg’io, trasvolar di gioia in gioia…” con la voce della gallina che ha appena liberato l’uovo.

C’era in quel grido una tal felicità fisica, come nessuna traviata, nei momenti di gioia, ha mai posseduto. Quella gallina era una trovata. Era, nell’umano zoo di Disney, un “tipo”. Veniva dopo Mio-Mao. Topolino, Pluto. Era il volatile umanizzato. Dietro di lei molti altri volativi entravano nell’arca. Gli ultimi furono il vecchio barbagianni di Bambi, e il pappagallo Josè Carioca ballerino di samba in Saludos amigos. Topolino, Pluto, Carioca, i tre porcellini, Paperino, il toro Ferdinando, insieme a Popeye “braccio di ferro” figlio di Fleicher sono i personaggi dell’ultima mitologia, della mitologia americana: innocui pupazzetti, giullari di un popolo che non soffre di cattive digestioni.

Fantasia, Joe Grant, Dick Huemer, Walt Disney, 1940

Ora Disney ha bucato quel piccolo cielo di cartone. Disney s’era fatto dal nulla, con un lapis temperato e un foglio di carta. Bastardo di carta, aveva succhiato il latte del Cinema. Era cresciuto, seguitando a far boccacce al cugino più grosso. S’era fatto la voce, il colore. Si divertì a fabbricare donne uomini e cavalli quasi come quelli veri. Si fabbricò teatri di posa quasi come quelli veri, cieli mari tempeste incedi come quelli di De Mille o di Van Dyke.

Il “cartone” entrò nei servizi d’armata, fece la la propaganda di guerra, spiegò ai soldati americani l’operazione tattica, il meccanismo della digestione, l’uso della penicillina, i danni dell’alcolismo e il funzionamento del fucile mitragliatore. Tutto questo riempì le tasche dell’ambizione pratica di Disney.

Disney è un poeta che s’è fatto mercante e vuol tornare poeta. Difficile: non riuscì neppure a Rimbaud. Fantasia fu forse la sua grande ambizione. Ci si mise d’impegno, con intenzione - l’ha dichiarato lui stesso - di servire la musica, di mostrarla ai sordi.

“Il pubblico potrà vedere la musica e ascoltare i disegni”. Ben Trovata. Solo che Disney non si è servito della scrittura astratta (concreta, si dice oggi), a geometrica colorate, come s’era già vista al cinematografo, e che è il solo modo rispettoso di tradurre il “numero” musicale: punti, linee, rabeschi, fuochi di artificio suscitati dal diverso irrompere dei suoni. Disney s’è servito del suo repertorio grafico. Ha, insomma, tentato di “umanizzare” la musica allo stesso modo come aveva umanizzato la gallina. Lo scherzo è lecito dove la musica si presta alla caricatura imitativa, dove (Ponchielli, Duca, Mussorgsky, Ciaikovski) ha una sostanza quasi soltanto narrativa.

Fantasia, Joe Grant, Dick Huemer, Walt Disney, 1940

Nell’ultima parte di Fantasia, in cui la macabra Notte sul monte Calvo di Mussorgsky si dissolve nella cantata Ave Maria di Schubert, e agli scheletri, agli spettri, al diavolo pietrificato succede una notturna processione di ceri, la fantasia di Disney denuncia il patetico grottesco della sua ispirazione, i limiti, per usare una parola grossa, della sua cultura. Back (Toccata e fuga in re min) per fortuna si fa rispettare, e la sua musica si piò “guardare” a occhi aperti. C’è solo da obiettare sulla qualità del colore. Che non è bello come il pubblico crede.

La sagra della primavera di Stravinsky è oggetto di una istruttiva ricostruzione degli anni che videro la nascita del mondo, la vita e la morte dei nostri preistorici, la comparsa del sole e del mare. Grazie ai mostri, Stravinsky (questo è un punto per Disney) riesce a farsi ascoltare dal pubblico musicalmente meno educato. Il quale prova anche un certo rispetto per le proprie origini.

Ma il numero uno dello spettacolo è la Pastorale di Beethoven in chiave mitologica, con le centaure che fanno il passo delle indossatrici, cavallini, tempisti e cieli color glicine: che fan pensare a quei calendarietti che i parrucchieri offrono ai clienti alla vigilia delle feste di Natale. Complice di Disney in questa benemerita (forse davvero) opera di divulgazione è il maestro Leopoldo Stokowski, illustre esempio di narcisismo cinematografico. Cominciò con Greta Garbo. Seguitò con Deanna Durbin. Finisce con Topolino?

Ultimi articoli d'archivio

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram