Uno dei problemi contestuali Hollein l'ha subito risolto, con straordinaria assenza di enfasi, facendo del Museo una sorta di vero e proprio ‘crocevia pedonale’. Infatti, se si proviene dall'alto, da dietro la parrocchiale, attraverso un ponticello pedonale sopra la Abteistrasse si accede alla ‘terrazza del Museo, che è insieme copertura dei piani bassi e piazza di transito pedonale pubblico verso i sottostanti giardini (raggiungibili per una scalinata) e verso una strada laterale.
Questa mia descrizione è un po' difficile da seguire, per il lettore, ma questa difficoltà è un omaggio a Hollein, che è riuscito a dominare le contraddizioni e a far sì che il complesso lo si sentisse (almeno, io l'ho sentito) come un edificio unico. Infatti, anche se dall'edicola di ingresso (che è nel punto nodale fra i terrazzamenti sinuosi e la lunga vetrata del Museo) immediatamente si ‘discende’ per una scala, non ci si sente in un sotterraneo ma all'interno di un edificio chiaro e leggero. E non solo per il biancore delle pareti e del pavimento di marmo dell'ingresso, ma anche perché attraverso la vetrata si guarda fuori, su un paesaggio che è tipicamente urbano, e lo si vede dall'alto, sì che ci si sente nello stesso tempo dentro una collina e dentro un edificio. L'ambiente, lo spazio interno, è di grande complessità e sottigliezza: la scala di ingresso è parallela all'asse principale dei sette volumi emergenti (cioè dei sette ambienti del Museo vero e proprio), ma poi le griglie si intersecano, le pareti sinuose dei muri intervengono, e si creano spazi insoliti, strani. Di questi spazi, quelli destinati alle mostre sono bianchi, e quelli destinati ad altre funzioni (convegni, lezioni, video, amministrazione), sono colorati. La grande aula conferenze (trasformabile in teatro o cinema) è in verde chiaro, con pareti e soffitto suddivisi a riquadri (una emblematica pergola?) e 'con un'abside-palcoscenico segretamente orientata sull'Abbazia. La piccola aula circolare per riunioni è in rosso pompeiano, con lesene blu spento: un ammiccamento alla moda.
Non possiamo, in questa breve introduzione, descrivere tutti gli spazi del Museo, vari come sono – da quelli in apparenza amorfi (ma articolabili con pareti-schermo a tutt'altezza, inserite fra le colonne) a quelli curvi, conclusi e seclusi, illuminati dall'alto. Il feticcio della flessibilità è esorcizzato dalla varietà. E la varietà è ottenuta non con invenzioni ad ogni costo, ma con la deliberata contrapposizione di elementi che hanno una loro organizzazione interna esplicita, e che vengono composti in modi diversi ai diversi livelli, e con la diversificazione delle rampe d'accesso e delle scale, a seconda dei vari accenti d'uso.
Mi rendo conto della difficoltà di lettura di una descrizione esegetica come questa, anche se è accompagnata da disegni e da fotografie. Ma cercare di trasmettere la complessità di uno spazio attraverso espressioni complesse può – pur rischiando tedio e incomprensione – essere più efficace per il lettore che non una sfilza di superlativi. Eppure, in fondo, l'immagine che questo edificio trasmette è semplice. La ‘terrazza’ è un passaggio pubblico ma anche un tetto; i vari elementi del complesso ne emergono come volumi separati; l'interno è un diversificato dedalo bianco, il cui ordine non è mai così assertivo da sopraffare il senso, talvolta tenue, delle opere in mostra.