Le portinerie di Milano ai tempi della pandemia

Con Portineria Pandemia, una serie fotografica realizzata durante i mesi di zona rossa, Lorenzo Palmieri ci fa entrare nella realtà eroica e quotidiana di portinaie e portinai milanesi.

Per molti milanesi, di nascita o d’adozione che siano, portinaie e portinai rappresentano il primo incontro quotidiano, perché la vita sociale comincia nell’androne di casa (o dell'ufficio).

Non propriamente un esterno, anche se fuori dalla realtà domestica, ma neanche un vero interno, benché parte dell’edificio abitato, le portinerie sono da sempre un filtro tra due dimensioni che, senza tirare necessariamente in ballo l’unheimlich freudiano, raramente si compenetrano. Sono più spesso le semplici scenografie di uno scambio frettoloso e interessato, i cui protagonisti intrecciano momentaneamente i rispettivi copioni solo per lo stretto necessario. Ma se l’emergenza pandemica da un lato ha acutizzato la nostra—eventuale—incapacità di tessere relazioni approfondire “in presenza”, dall’altro ha dimostrato quanto proprio la presenza di questi lavoratori, diciamo di questi fluidificatori logistici, sia in realtà fondamentale per lo scorrere delle nostre vite.

Lorenzo Palmieri a Milano ci vive da dieci anni, e in questi mesi di pausa forzata—normalmente lavora come fotografo per l’arte, con clienti come Pirelli Hangar Bicocca, PAC, GAMeC, Hauser and Wirth e Raffaella Cortese—ha scelto di puntare il suo obbiettivo proprio sulle portinerie. Se infatti l’inaspettato tempo libero è stato un impulso più che un impedimento a non restare inattivo, l’innata curiosità ha fatto il resto.

«Ebbene sì, mi sono sentito un po' Nanni Moretti in Vespa, quando ondeggiava per il quartiere Spinaceto a Roma» ammette. «Cambia la città, ma l'atmosfera è la stessa. L'ho fatto a piedi, questo piccolo Caro Diario, sbirciando come mia abitudine nelle portinerie della città.»

E come tanta fotografia che rifugge l’esotico dei grandi viaggi—reso del resto obsoleto da Instagram & Co.—per realizzare Portineria Pandemia parte proprio dal suo palazzo e quindi da Tony, il primo ritratto in una lunga galleria che al gusto per la serialità aggiunge il piacere della variazione, e che arricchisce la tendenza alla documentazione con la tentazione dell’interazione.

Al di là degli schemi mentali, se non dei generi, per Palmieri—più interessato alle persone che alle ovviamente molto presenti e a volte anche riconoscibili architetture—la fotografia è infatti ancora una forma di conoscenza, un mezzo per entrare, anche se per un breve lasso di tempo, in reale contatto con i suoi soggetti.

Lorenzo Palmieri, dalla serie Portineria Pandemia, 2021

«Tony è un’ombra garbata,» racconta, «che spesso ha fatto da collante a mille esigenze di ogni singolo condomino, dalle medicine alla signora del primo piano alla spesa per un'anziana che non se la sentiva di uscire di casa.

Nel quartiere di Porta Venezia ho incontrato poi Elisabetta, poco più che ventenne: sembra la Gioconda di Leonardo nella vecchia portineria di una palazzina di ringhiera. Arrivata qui da poco a dare il cambio a un altro portinaio andato in pensione, è il riferimento per centinaia di condomini.»

E ancora Vittoria, in Corso Buenos Aires, che, a oltre 70 anni di età e con una vita vissuta in portineria, gli mostra un romanzo dove compare come protagonista. O Cristina, di origini sudamericane, che, ricorda Palmieri, “non potendo uscire misurava il tempo guardando gli alberi del cortile mentre attendeva la sua mole di pacchi giornalieri.
Portineria pandemia è stato per me un viaggio intorno al mondo in 10 km quadrati. Sono andato alle Mauritius, ho viaggiato nei profumi del cibo srilankese, approdando agli accenti italo–argentini fino alle storie di un'intera famiglia peruviana.»

Più tutelati dei rider e meno a rischio degli operatori sanitari, portinaie e portinai salgono raramente agli onori della cronaca, ma per Palmieri sono piccoli eroi quotidiani, che in questo anno e passa di zone colorate, viaggi sospesi, distanze di sicurezza e abbracci mancati hanno rappresentate un vero e proprio collante sociale. Lo hanno fatto dai loro piccoli avamposti di civiltà, quelle guardiole a cui Palmieri guarda non solo con curiosità “morettiana” ma anche con l’affetto di chi ci vede un rifugio.

«In tempi di pandemia la portineria assume un’estetica da check point, quasi un avamposto di controllo dal sapore militare,» sintetizza. «In verità ho trovato ad accogliermi silenziosi e indefessi lavoratori dell'epoca covid, spesso sommersi da pacchi, alle prese con centinaia di corrieri che consegnano mobili, regali, fiori e cibo di ogni genere. Ho visto in queste piccole domus una vita riservata, forzatamente separata dagli altri, e ho ritrovato in questa estetica la nostra condizione generale, ma con la sottile e amara speranza che un pacco regalo è sempre lì pronto ad arrivare per noi.»

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