Norman Forster è un architetto e un collezionista d’auto che da bambino trascorreva ore a guardare i treni sferragliare lontano. Da adulto si è messo a volare e farebbe qualunque pazzia per una Citroën DS. Nella vita – oggi ha 86 anni – ha raccolto modellini di ogni mezzo di locomozione possibile, trenini, aerei ed elicotteri, e si è tolto lo sfizio degli sfizi: disegnare la Dymaxion #4, la sua versione del prototipo di un altro architetto visionario, Richard Buckminster Fuller.
Che cosa abbiano in comune architettura, design e mobilità (specie quella del futuro) è il tema di “Motion. Autos, Art, Architecture”, la mostra pensata da Foster, e curata in collaborazione con Lekha Hileman Waitoller e Manuel Cirauqui, che apre al Museo Guggenheim di Bilbao (fino al 18 settembre). “Ho un ricordo: un amico artista che fa scorrere la mano sull’ala posteriore della mia Bentley R Type Continental del 1953. Mentre lo fa, dice che è come accarezzare un dipinto di Constantin Brancusi o di Henry Moore”, scrive nel catalogo che accompagna l’evento. “Una volta stabilita, quella connessione visiva è irresistibile”.
La connessione secondo Norman Foster è stata tradotta in una selezione delle 40 migliori automobili al mondo – alcune di queste sono prestiti di collezioni private o di enti che non le hanno mai cedute prima – presentate in 10 spazi del museo.
Capitoli di una linea temporale che hanno ancora molto da insegnare: “L’evoluzione del design, come viene inteso per soddisfare bisogni sempre nuovi, è una costante nella storia, da come si è arrivati ad affilare una pietra focaia per farne il primo strumento utilizzato dall’uomo fino all’era dei viaggi nello spazio: la mobilità e l’auto del futuro non fanno eccezione”, ci spiega l’architetto, i cui progetti hanno trasformato i panorami urbani di mezzo mondo, dal Reichstag a Berlino al prossimo Parlamento di Amaravati, la città che non c’era e che diventerà la capitale dello stato indiano dell’Andhra Pradesh.
Foster si sta preparando al viaggio per Bilbao mentre parla con Domus delle abilità richieste per disegnare un’auto, sia estetiche che tecnologiche, e di come il prodotto finale debba risultare in equilibrio con il paesaggio, sia naturale che urbano. “Architettura e mobilità sono parenti stretti: l’infrastruttura storica di paesi e città, concepita nell’era delle carrozze trainate da cavalli, è sopravvissuta e si è adattata a una nuova era di mobilità. Non solo: è riuscita a reinterpretare, in termini più contemporanei, un’architettura nuova ed emozionante. Le stazioni ferroviarie del XIX secolo sono più vicine di quanto si pensi ai nostri aeroporti e agli spazioporti del futuro”, dice. “Certo: assieme agli aspetti positivi ci sono quelli deprimenti delle spianate destinate ai parcheggi che circondano i centri commerciali nelle periferie, espressione di bruttezza e povertà sociale”.
Architetti e urbanisti saranno quindi essenziali nel concepire la prossima mobilità e, di conseguenza, il design delle macchine? “Lo saranno. Al momento però scontiamo ancora un divario educativo: chi dovrà pensare al retrofitting dei nostri centri abitati, al loro adeguamento usando il vecchio per generare il nuovo, non è ancora abbastanza formato su come funzionano le città”, continua Foster. “Tuttavia, quegli stessi centri sono cosa pubblica: spetta a un governo, auspicabilmente illuminato, definire degli standard ambientali elevati”.

“Quanto al car design”, prosegue ancora, “credo che sarà una competenza sempre più specializzata, che farà convergere esigenze discordanti. Vogliamo una nota di ottimismo? La città di una nuova era, quella dell’energia pulita e della mobilità sostenibile, sarà più sana, sicura, verde e, di questo sono certo, molto più divertente”.
Il percorso principale di “Motion. Autos, Art, Architecture” è diviso per temi: gli inizi, la bellezza delle forme (esposte in compagnia delle curve di Figura distesa di Henry Moore e del movimento di 31 gennaio di Alexander Calder), l’evoluzione del mezzo e simbolo dell’orgoglio nazionale e la sua successiva democratizzazione (il Maggiolino e il VW Microbus ne sono l’esempio), come il design delle macchine da corsa si sia affrancato dal design delle macchine da strada (soggetti che attirano l’attenzione di Andy Warhol), l’arrivo dei veicoli utopistici (la General Motors che negli Anni 50 concepisce i primi modelli senza conducente ha già affidato il proprio quartier generale al genio di Eero Saarine), e come le auto siano diventate protagoniste della cultura americana.
A chiudere c’è Future, la sezione in cui una generazione di studenti è stata invitata a immaginare la mobilità alla fine di questo secolo, momento che coincide con il bicentenario della nascita dell’automobile. “La gamma di risposte è stata così ampia e variegata che trovo impossibile selezionarne alcune penalizzandone altre”, commenta ancora Foster. “La ragione di tanta creatività sta probabilmente nello spazio concesso agli studenti per esercitare la loro immaginazione: il fatto che abbiano visioni così diverse è eccitante”. Dopotutto, il futuro appartiene soprattutto a loro.

- Mostra:
- Motion. Autos, Art, Architecture
- Concetto e design:
- Norman Foster
- Collaboratori:
- Lekha Hileman Waitoller, Manuel Cirauqui
- Luogo:
- Museo Guggenheim Bilbao
- Apertura:
- fino al 18 settembre 2022
Immagine in apertura: Ezra Stoller General Motors Technical Center, 1949. Courtesy General Motors