L’arte contro la guerra

Le immagini che ogni giorno arrivano dall’Ucraina richiamano orrori già visti nel passato, immortalati in grandi opere d’arte che denunciavano l’ingiustizia della guerra.

“La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico”. Aveva ragione Pablo Picasso. Inermi e increduli continuiamo a vivere momenti di preoccupazione e sgomento. Come sia possibile ancora non ci è chiaro. La guerra. Vittime innocenti d’interessi sconosciuti o poco chiari. Vittime di menzogne e follie, di politiche sbagliate e per nulla democratiche basate su interessi economici e smanie di potere.

La pittura in questo caso ci torna utile come manifesto di orrori già visti e passati, emblema di quello che è e sarà. Sui quotidiani ogni giorno vediamo immagini angoscianti di città distrutte, civili feriti e purtroppo morti. Tanti, troppi.

Philip Guston, artista americano contemporaneo, dipinge un’opera di straordinaria potenza: Bombardamento. La tela è del 1937 e l’artista sceglie di rappresentare la scena in un tondo. Nel Rinascimento sono diverse le tele che venivano dipinte utilizzando questa forma, soprattutto scene religiose. Il tondo rimandava all’idea di perfezione, donando così all’opera stessa un’idea di magnificenza assoluta.

Philip Guston, Bombardment, 1937
Philip Guston, Bombardamento, 1937

Guston invece stravolge l’idea antica del tondo e lo utilizza come escamotage, non solo tecnico, ma soprattutto emotivo. Stretti e avvolti nel turbinio della violenza i corpi vengono risucchiati senza via d’uscita, senza scampo, stretti nella violenza del destino che a loro è capitato. Gli aerei dettano la linea del racconto e nel centro esatto del dipinto arriva lo scoppio della bomba che sconvolge tutto. Il racconto risulta estremamente ordinato nella follia che rappresenta. Guston studia con una lucidità quasi folle il posto di ogni dettaglio in cui fonde tempo e dimensioni dichiarando a gran voce la follia assurda di quel gesto.

La maschera della figura sulla destra ci colpisce particolarmente, ma la figura più interessante, che riprende la scelta di una rappresentazione dal gusto antico, è la madre con il bambino in alto a sinistra. Una madonna contemporanea che stringe tra le sue braccia un bimbo nudo, come un nuovo Gesù bambino. Il richiamo è forte e potente e soprattutto pare inserito non a benedire, come nelle antiche rappresentazioni, ma a maledire l’attacco. La madre infatti guarda verso gli aerei ma con il corpo fugge. Colori freddi evidenziano la crudeltà e le forme volumetriche dei corpi amplificano il messaggio.

La foto scattata da André Luis Alves a confronto con l'opera di Beato Angelico, Deposizione dalla Croce, 1432-34
La foto scattata da André Luis Alves a confronto con l'opera di Beato Angelico, Deposizione dalla Croce, 1432-34

L’arte come denuncia, la pittura come strumento di difesa che dichiara al mondo i carnefici e gli aggressori. Attualità che genera arte. Ispirazione in qualche modo. Ci sono poi immagini di questa guerra che ricordano opere d’arte. Un’istantanea di questi giorni ha colpito l’interesse dei tanti cronisti che stanno raccontando questo momento, ovvero la statua del Cristo di Leopoli che viene trasferita in un bunker al fine di proteggerla.

La foto, scattata da André Luis Alves, freelance portoghese, immortala il trasferimento dalla cattedrale. Non è la prima volta che accade, la scultura fu portata via già durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel Museo di San Marco, a Firenze, c’è un’opera straordinaria: La Deposizione dalla Croce del Beato Angelico. Stessa scena, stessa possa, stesso dolore e una corte di persone che sostiene il corpo del Cristo. In alto un uomo sorregge il corpo per un braccio, così come nella foto, a destra invece ancora un’altra figura occupa indaffarato la scena mentre ai suoi piedi altre lo piangono. Nella foto, esattamente come nella foto.

La foto scattata da Daniel Leal a confronto con l'opera di Giuseppe Pellizza, Quarto Stato, 1901
La foto scattata da Daniel Leal a confronto con l'opera di Giuseppe Pellizza, Quarto Stato, 1901

Daniel Leal, giornalista e fotografo per la stampa francese, immortala un’altra scena e ancora un’altra opera. Un gruppo di donne avanza nella fuga tenendo per mano bambini. Il pensiero arriva a Pellizza da Volpedo e al suo noto Quarto Stato. L’intento è sempre lo stesso: la ricerca di libertà e di giustizia.

Eccola la potenza dell’arte, quella che anticipa e annuncia, che manifesta e spiega. Un monito per le nuove generazioni sperando che sempre più se ne possa tener conto.

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