Oslo. Un vento nuovo per l’arte norvegese

In completa sintonia con l’edificio di Renzo Piano che la ospita, la mostra estiva del Museo Astrup Fearnley è un confronto aperto con la scena artistica scandinava e un modo per riflettere sulla cultura di una città.

Astrud Fearnley Museet

L’elegante silhouette di una ragazza in kimono seduta, nell’orizzonte di un porto industriale, è l’immagine forte di Nobuyoshi Araki scelta per pubblicizzare la mostra estiva del Museo Astrup Fearnley a Oslo, che quest’anno è dedicata alle raccolte del gruppo immobiliare Selvaag. Non è semplicemente un focus sulla splendida collezione, ma anche il racconto della riuscita realizzazione architettonica di Renzo Piano sul lungomare della città. In un’area che fu portuale, si celebra l’ancora giovane museo e il progetto, strettamente legato a un gruppo privato che ha riqualificato l’intera zona di Tijuvholmen. È un successo per l’Astrup Fearnley il cui parco, aperto al pubblico, ospita in permanenza alcune importanti sculture della collezione. Selvaag continua la sua vocazione cominciata negli anni Cinquanta e Sessanta quando, alla costruzione di alloggi a prezzi abbordabili, il gruppo immobiliare affiancava e commissionava opere ad artisti norvegesi, creando un’occasione d’incontro con l’arte.

In anni più recenti, con l’internazionalizzazione della sua collezione, sono le belle sculture di Anish Kapoor, Louise Bourgeois, Franz West, Ellsworth Kelly a essere diventate parte integrante della passeggiata lungo il fiordo. Con Il titolo “I still believe in miracles”, prelevato letteralmente da un lavoro oramai storico di Douglas Gordon, si fa allusione a un miracolo probabilmente già avvenuto. A uno sguardo attento, la ragazza nella foto appare intenta a mangiare un pezzo di anguria, aperta brutalmente. Il colore rosso del frutto, richiama quello della sua sottoveste e ammicca al rosso mattone che fu per quasi un secolo la dominante nel fronte del porto della città. Una continuità cromatica con il colore del suo monumentale municipio, la contigua Rådhus. Edvard Munch oramai sessantenne sognò di decorarne la hall ispirandosi proprio al lavoro dei suoi stessi costruttori. Il progetto, non venne mai neppure presentato ufficialmente. Un episodio che oggi sembra una profezia alla recente crescita della densità artistica nella downtown della nuova Oslo. Probabilmente, il boom economico legato alle risorse petrolifere non ha direttamente ispirato né il noioso post-moderno del codice a barre di Bjorvika né il marmo bianco di cui è ricoperta l’Opera House di Snøhetta, ma con la “vela” di Piano questi luoghi si sono riempiti di un vento nuovo per l’arte norvegese.

L’esposizione non è dunque innocua. Il direttore Gunnar B. Kvaran, il gallerista e art advisor dei fratelli Selvaag Peder Lund, la curatrice Therese Möllenhoff intendono riflettere non solo su una collezione privata, ma direttamente sulla cultura di una città. Un modo per comprendere quello che sta succedendo intorno. Sul lungomare di Oslo, vedremo a breve allinearsi altre istituzioni culturali, che abbandonano le sedi storiche: il nuovissimo Nasjonalmuseet e il futuro Museo Munch, in fase di costruzione, ma in dirittura d’arrivo. Presentando la Selvaag Art Collection si scava precisamente nella relazione tra collezionismo privato e la sua vocazione pubblica. Un confronto aperto con la scena artistica scandinava che lascia intravedere una posta in gioco culturale decisamente più ampia. Come succedeva ai critici d’architettura di un tempo, la mostra individua una continuità di assonanze tra i lavori esposti e l’opera di Renzo Piano. Riflette sull’estetica neo-modernista che accomuna contenitore e contenuto. Nel lavoro dell’architetto italiano non ci sono segni di stanchezza o resa istituzionale, che cominciano a intravedersi nelle soluzioni dello star system architettonico contemporaneo. In una delle più belle sale del museo, con vista intimista e mozzafiato sul mare, sono allineati, in modo monastico The Lucky Stone di James Lee Byars del 1980, Lenticular 11 di Mike Kelley e Asshole, un disegno del 2017 di Paul McCarthy che è una corrosiva caricatura di Donald Trump.

Franz West,  Artist chairs, 2012
Franz West, Artist chairs, 2012

Il difficile esercizio curatoriale riesce nella cornice perfetta dell’edifico di Renzo Piano, regalando a un recente magnifico cristallo, Untitled 2016 di Roni Horn una bellezza algida e fuori dal tempo. È più che evidente che l’arte contemporanea per coinvolgere il pubblico nelle sue modalità di fruizione, deve anche ridefinire le regole del suo consumo. Vederla in un capolavoro architettonico ne consolida il valore economico per il futuro. Nel nostro caso, l’impianto estetico e antropologico diviene lapalissiano.

Piano è l’architetto del Beaubourg, ha davvero modificato la liturgia dell’approccio museale. La storia di questa sua realizzazione a Oslo è raccontata nei minimi dettagli e proprio nel cuore della mostra. Si percepisce che questa avventura è sicuramente entrata nel DNA della collezione. Piano stesso, con Emanuela Baglietto (partner in charge) e Alessandro Zanguio, ha pensato l’allestimento, ridisegnando la circolazione e ripartizione degli spazi espositivi. Ogni opera è inserita in preciso layout costruito con pannelli sospesi nello spazio in grado di prolungare l’esperienza architettonica. Gli schizzi autografi di Piano con l’immancabile tratto verde, gli appunti o le foto del cantiere si fondono nello spazio espositivo. Le splendide maquette del museo dialogano con un monumentale Paul McCarthy, il minimale Ellsworth Kelly sembra mimarne le forme e un piccolo Kapoor in oro, la sua preziosità. Tutto è decisamente in sintonia con lo splendido perimetro dell’immobile. Lo slancio dell’iconica silhouette del suo tetto arriva a lambire letteralmente il giardino sul fiordo e qui si fonde con le sue sculture. Ecco, il più evidente regalo che la Selvaag Art Collection ha fatto a una città in pieno rinnovamento. L’equazione riuscita della relazione tra pubblico e privato che si sta trasformando in un fortunato modello da seguire.

Roni Horn, Untitled (Paradoxical)
Roni Horn, Untitled (Paradoxical)
Titolo mostra:
I still believe in miracles
Date di apertura:
9 giugno – 2 settembre 2018
Sede:
Astrup Fearnley Museet
Indirizzo:
Strandpromenaden 2, Oslo
Curatori:
Gunnar B. Kvaran, Peder Lund, Therese Möllenhoff
Progetto di allestimento:
Renzo Piano Building Workshop
Gruppo di progettazione:
Emanuela Baglietto (partner in charge), Alessandro Zanguio

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