Scene di ordinario abominio

In mostra alla Fondazione Prada di Milano, le opere di Edward Kienholz sono l’espressione di uno sguardo in profondità sulla società statunitense.

La Fondazione Prada dedica una rara mostra a Edward Kienholz, grande personalità dell’arte statunitense del Novecento. “Kienholz: Five Car Stud”, a cura di Germano Celant, riunisce opere da 1959 al 1994.

“Kienholz: Five Car Stud”, vista della mostra alla Fondazione Prada, Milano. Photo Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy of Fondazione Prada

Barbara Rose in American art since 1900: a critical history, del 1967, definisce le opere di Edward Kienholz “assemblaggi scioccanti […] ed efficaci”, “inspirati a una brutalità, un sadismo e una violenza repressi inimmaginabili […] che sono nascosti sotto la superficie tirata a lucido della nostra società”. Kienholz inizia a realizzare i suoi assemblage nella seconda metà degli anni Cinquanta. Ha trascorso la giovinezza nella fattoria di famiglia, nello Stato di Washington, alle prese con attività quali riparazione di automobili, lavoro del legno e del metallo; ha passato 7 anni on the road; è approdato a Los Angeles, dove ha contribuito all’apertura di due gallerie, la seconda delle quali, la Ferus Gallery, del 1957, è diventata in poco tempo un punto di riferimento per la comunità artistica di Los Angeles.

“Kienholz: Five Car Stud”, vista della mostra alla Fondazione Prada, Milano. Photo Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy of Fondazione Prada

Al periodo dell’arrivo a Los Angeles risalgono le prime grandi installazioni e i primi ambienti in scala reale. Nel 1972 l’artista intraprenderà una collaborazione con la moglie Nancy Reddin e dal 1973 fino alla scomparsa, nel 1994, i due co-firmeranno ogni opera. Siamo negli Stati Uniti del consumismo, della cultura di massa, della guerra fredda e delle tensioni razziali. Per quanto riguarda l’arte, l’espressionismo astratto con la sua volontà di affermazione spontanea e immediata dell’individuo, sta cedendo il passo alla Land Art con il suo carattere epico; al minimalismo e all’arte concettuale con la loro riduzione all’essenziale; alla Pop Art con la sua attrazione per la società di massa. Rispetto a tutto ciò il lavoro di Kienholz rappresenta, in quel momento, una sorta di controcanto. Paragonabile a quello di pochissimi altri artisti – Bruce Conner, Jay DeFeo, Robert Rauschenberg – il suo lavoro è espressione di uno sguardo in profondità sulla società statunitense. Basate su un realismo che si coniuga con l’eccesso e la ridondanza dedotti dai costumi sociali, le sue opere enfatizzano in senso grottesco lo sporco, il malsano, lo spreco indotto dalla società dei consumi.

“Kienholz: Five Car Stud”, vista della mostra alla Fondazione Prada, Milano. Photo Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy of Fondazione Prada

Kienholz usa oggetti già consunti e scartati per creare scene di ordinario abominio: spazi domestici, interni, di bar, di postriboli, di giostre e di altri luoghi d’intrattenimento in cui si svolge una vita quotidiana fatta di solitudine, soprusi e violenza; una violenza viscerale, che disintegra ogni possibile stabilità. Nulla, in siffatta società, può durare. Il caos impera sovrano. Gli individui affondano nel vuoto emotivo. I corpi sono oggetto di una sessualità triviale e distruttiva che li sfrutta e li smembra. Una sorta di “sessualizzazione” ha investito il mondo intero. Le cose stesse, brutte e rotte, esprimono sofferenza e disperazione. L’artista evidenzia così l’insalubre e l’osceno che si nascondono sotto un perbenismo di facciata. È chiaro che in un mondo del genere l’unica certezza è il perpetrarsi di soprusi e violenza. Le sue opere sono altrettanti commenti sui temi delle convenzioni sociali, della cittadinanza, della famiglia, della moralità, del maschile e del femminile, dello spazio domestico, del piacere. In The Bronze Pinball Machine with Woman Affixed Also (1980), per esempio, un innesto di gambe di donna in un flipper, il corpo femminile è ridotto a un oggetto di puro intrattenimento sessuale. L’opera Jody, Jody, Jody (1994) s’ispira a un fatto di cronaca ed evoca un grave episodio di abuso sui minori.

“Kienholz: Five Car Stud”, vista della mostra alla Fondazione Prada, Milano. Photo Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy of Fondazione Prada

The Caddy Court (1986–87), un insieme mobile costituito da un furgone inserito tra la parte anteriore e quella posteriore di una Cadillac. Al suo interno è collocata una rappresentazione dei giudici della Suprema Corte americana le cui teste sono state sostituite da musi infìdi di bestie impagliate: cani e lupi. Numerosi assemblaggi inglobano o simulano monitor, dai quali si proiettano verso l’esterno oggetti indecenti o animali ululanti: l’invasività del mezzo televisivo, la colonizzazione dell’immaginario, la stupidità dell’informazione sono corresponsabili di frustrazione e malinconia, che generano mostri.

“Kienholz: Five Car Stud”, vista della mostra alla Fondazione Prada, Milano. Photo Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy of Fondazione Prada

“Credo – scrive Kienholz – che s’intuisca che per molto tempo [io] abbia avuto una relazione di amore/odio con la televisione americana. Me ne sto passivamente seduto di fronte a questo meraviglioso strumento di comunicazione e vedo i miei anni andarsene in fumo e il mio cervello in pappa per colpa della robaccia – per il 95% spazzatura – che viene trasmessa. Per mettere alla prova e cercare di capire il mio progressivo imbecillimento, e forse per esprimere una qualche forma di obiettività critica, mi sono ritrovato a creare apparecchi televisivi con oggetti in qualche modo rassomiglianti ai componenti di un televisore (lattine d’olio, blocchi di cemento, taniche di benzina in disuso ecc.)”.

“Kienholz: Five Car Stud”, vista della mostra alla Fondazione Prada, Milano. Photo Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy of Fondazione Prada

D’altra parte, in tanta cupezza, Kienholz coglie sprazzi di profonda, seppur tragica e struggente, poesia; come in The Nativity (1961), bizzarra rappresentazione tridimensionale della Natività in cui le figure umane e divine sono sostituite da elementi dozzinali come decorazioni per automobili, lampade e parti di giocattoli. O come 76 J.C.s Led The Big Charade (1993–94), che trasforma in crocifissi parti di giocattoli, come bambole e carretti; una risposta alle rappresentazioni esaltate o oleografiche e più in generale alla religione nella sua forma istituzionalizzata e priva di spiritualità.

“Kienholz: Five Car Stud”, vista della mostra alla Fondazione Prada, Milano. Photo Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy of Fondazione Prada

Il suo stesso sistematico ricorso a materiali usati, sottraendo allo scarto definitivo ciò che pareva aver concluso il proprio ciclo vitale ed economico, porta con sé non solo un senso di perdita, di abbandono, ma di rinascita, ed è atto poetico per eccellenza. Ma è il rimosso più brutale a concludere la mostra, con l’imponente installazione Five Car Stud, ora acquisita dalla Fondazione Prada. Ci troviamo tra gli alberi, in un luogo isolato, al cospetto di una scena d’inaudita violenza. Un gruppo di uomini bianchi ha aggredito e sta evirando un uomo afroamericano; sconvolti spettatori, oltre a noi, una donna e un bambino. Violenza interraziale e odio per le coppie miste erano maggioritari negli USA in quel momento e Five Car Stud, ne costituisce una denuncia inequivocabile. A proposito di quest’opera Kienholz parlò del “peso di essere un americano”. Non è un caso che, presentata nel 1972 alla quinta Documenta di Kassel curata di Harald Szeemann, l’opera abbia avuto un buon riscontro di critica in Europa; non altrettanto negli Stati Uniti. A più di quarant’anni dalla sua creazione Five Car Stud, come altre opere di Kienholz, continua a sconvolgere.

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fino al 31 dicembre 2016
Kienholz: Five Car Stud
Fondazione Prada, Milano
Curatore: Germano Celant