Da sempre il cinema intreccia relazioni con l’architettura, che può entrare nel linguaggio filmico in vari modi: come semplice sfondo scenico o come protagonista principale del racconto. In particolare nei film noir, thriller e cosiddetti “dell’orrore”, questa relazione tra narrazione e spazio dà adito ad un disturbante squilibrio, soprattutto quando ad essere fonte e teatro di alienazione e panico è la “casa”, il luogo per eccellenza dove, in teoria, trovare un riparo sicuro non solo dai pericoli del mondo ma anche dai propri incubi. E così i film horror si arricchiscono di ambientazioni domestiche che si prestano ad ospitare vicende sinistre: è il caso dei plumbei e mortiferi edifici in stile eclettico e Art Nouveau che hanno accolto le scene dei film di Polanski, Amenábar, Argento, o degli austeri e apparentemente rassicuranti edifici dal sapore vernacolare che sono stati luoghi di ripresa dei film di Kubrick, Avati e Murphy. Ma anche la storia dell’architettura a volte entra nel copione: è il caso di opere di grandi Maestri che, con alcune loro insolite realizzazioni, vagamente evocative di rituali sacrificali precolombiani (Wright) o di dischi volanti alieni (Lautner), hanno offerto al regista (Ulmer, De Palma) ambientazioni intenzionalmente inquietanti: chissà poi se chi ci ha veramente vissuto ha mai avuto qualche brutto sogno.
Architetture da brivido: 8 case dell’orrore
Un viaggio tra icone dell’architettura del cinema horror, esempi perfetti di come un tranquillo focolare domestico si può trasformare nell’incubo peggiore.
Foto di Enryonthecloud di Wikipedia in italiano, CC BY 4.0
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- Chiara Testoni
- 30 ottobre 2022

Situato nell’Upper West Side di Manhattan, questo edificio tra il neo-gotico e il neo-rinascimentale con tetti spioventi, balconi e balaustre è stato la scena delle inquietanti vicende del film di Roman Polanski che si consumavano tra le pareti di un appartamento al suo interno, tra incubi di follia e rituali satanici.
La magione in stile eclettico inglese con austeri paramenti murari in bugnato e coperture a falde spioventi, che ha ospitato le riprese del film di Alejandro Amenábar, si situa in un’ampia tenuta dove si colloca anche l’adiacente Casona de las Fraguas, risalente al XVIII secolo. Il carattere imponente e severo del complesso non aiuta a distogliere il pensiero dall’idea che qualcuno ci fissi costantemente da dietro le finestre.
La casa del bambino urlante nel film di Dario Argento è un’ inquietante villa sulle colline torinesi. Con un impianto articolato e un trionfo di logge, bow-windows, vetrate e decorazioni floreali, l’edificio è connotato da un linguaggio eclettico tra il neobarocco e il liberty, che conferisce alla costruzione un’ aura decisamente mortifera.
Per quello che, secondo lo stesso Dario Argento, non è un remake ma “un’altra versione dei fatti” del celeberrimo “Suspiria”, Luca Guadagnino nel 2016 ha scelto di configurare le sue ambientazioni inquietanti in un edificio dal linguaggio tardo-liberty e vagamente futurista, dove le ingiurie del tempo enfatizzano l’aria plumbea e sinistra del luogo.
Ultima e più monumentale delle realizzazioni di Wright in California, questa villa in blocchi prefabbricati di calcestruzzo, dai volumi articolati e dal ricco apparato ornamentale di ispirazione Maya, è stata inserita nelle riprese esterne del film “The blak cat” del 1934 del regista austriaco Edgar G. Ulmer, fortemente debitore dell’Espressionismo europeo.
Se si vuole respirare l’aria di montagna dell’Oregon, o se si vuole ripercorrere le cupe vicende narrate da Stanley Kubrick in “The Shining”, questa poderosa costruzione con murature in pietra e tetti spioventi, dal sapore vernacolare, è la meta ideale. Basta non farsi prendere dal panico se si incontrano due diafane gemelline che sostano guardandoci con fare inquietante nei corridoi.
Con le sembianze di un serbatoio idrico, di una torre di telecomunicazioni o di un disco volante più che di una abitazione, questa villa modernista e vagamente futurista a forma ottagonale, sollevata su un unico pilastro centrale e sospesa su Mulholland Drive, è stata più volte lo scenario architettonico di riprese cinematografiche, dall’episodio del 1964 “The Duplicate Man” del programma “The Outer Limits” fino a “Body Double” di Brian De Palma.
Non ci sarebbe niente di sconcertante in una casa rurale in mattoni con qualche “murale” a forma di sorriso della bassa padana se non fosse per l’orrore che simboleggia, tra le nenie inquietanti, le figure grottesche e le inquadrature sinistre del disturbante film di Pupi Avati del 1977. Il casolare, non più esistente, si trovava nelle campagne di Malalbergo, vicino a Bologna.
La vera protagonista della serie Netflix di Ryan Murphy “The watcher” è l’ imponente e intimidatoria villa al 657 Boulevard, la casa dei sogni sul cui “benessere” - in barba alle crisi d’ansia dei proprietari - veglia un inquietante osservatore. L’edificio, situato in mezzo ad un giardino meticolosamente curato, tra tetti spioventi e auliche colonne ioniche che sostengono il porticato, sembra godere di ottima salute.